L’inizio del fascismo sulla stampa straniera
In una bella e illuminante raccolta di «Internazionale» nel centenario della Marcia su Roma
In un periodo in cui, con l’occasione del centenario della “Marcia su Roma” ma anche degli sviluppi politici recenti in Italia e altrove, si parla con grande frequenza dell’avvento del fascismo in Italia nel 1922, tra libri e articoli diversi è interessante l’operazione progettata da Internazionale, la rivista settimanale che in ogni numero traduce “il meglio della stampa straniera”. E che ha pubblicato una raccolta degli articoli che i mezzi di informazione di tutto il mondo dedicarono cento anni fa alla presa del potere da parte di Benito Mussolini: «l’esperimento politico di Mussolini fu seguito con curiosità e attenzione dalla stampa internazionale», scrive Andrea Pipino nell’editoriale che introduce la scelta, in cui compaiono articoli preoccupati, articoli combattivi, articoli curiosi, articoli indulgenti, articoli simpatizzanti verso la tragedia antidemocratica che stava iniziando. Questi sono gli incipit di alcuni – quelli più immediatamente vicini al 28 ottobre della Marcia su Roma – degli oltre quaranta articoli scelti per Nascita di una dittatura.
Controrivoluzione internazionale
Paul Louis, L’Humanité, Francia, 30 ottobre 1922
L’insurrezione fascista e la marcia su Roma, che ha portato alla nascita del governo Mussolini, sono manifestazioni caratteristiche della reazione borghese in varie parti del mondo. Più la classe proprietaria si è sentita minacciata dalla spinta proletaria, più ha temuto la rivoluzione e più si è spinta all’offensiva. Il periodo 1919–1920 era stato pieno di pericoli per la borghesia dopo gli sconvolgimenti che in Russia, Germania, Austria e Ungheria avevano rovesciato i regimi e le loro facciate politiche. Dal 1921 al 1922, mentre il padronato attaccava le masse operaie – allungando gli orari di lavoro e riducendo i salari – il grande capitalismo, padrone del potere pubblico, limitava le libertà conquistate e rafforzava la sua dittatura.
Il terrore bianco in Finlandia, Ungheria, Jugoslavia e Romania aveva rappresentato la prima fase della reazione. Con leggi scellerate, con l’incarcerazione in massa dei militanti operai, con la decisione di dichiarare illegali i comunisti e i sindacalisti rivoluzionari nell’Europa centrale e occidentale è arrivata la seconda ondata. E oggi ecco la terza.
Brigate di galanti fascisti
Albert Beaumont, The Daily Telegraph, Regno Unito, 25 agosto 1922
Circa diciotto mesi fa la gioventù patriottica italiana, allarmata e infuriata a causa dell’ondata di disordini di matrice bolscevica e comunista che stava dilagando nel paese e che ne stava minacciando l’assetto sociale e politico, ha riunito le proprie forze in un’organizzazione – i fascisti – per combattere questi elementi sovversivi e rispondere alla forza con la forza. Il deputato Benito Mussolini è il fondatore e il leader di questo gruppo, il cui nome deriva dalla parola latina fascis, ossia un fascio di bastoni di legno legati insieme, considerato per secoli simbolo di unità e forza. Oggi pubblichiamo la prima parte di un articolo del nostro corrispondente speciale in Italia sull’avvento dei fascisti e le cause che hanno condotto alla nascita del movimento.
Milano, 18 agosto 1922
Stamattina ho avuto una lunga e intensa conversazione con il deputato Benito Mussolini, il capo e il fondatore dei fascisti italiani, argomento che all’estero ha suscitato letture profondamente sbagliate. Molti sono convinti che si tratti di un’organizzazione di giovani uomini che rompono a bastonate la testa degli avversari politici, o il cui principale scopo sia organizzare scampagnate in barca a remi la domenica e sparare a qualcosa o a qualcuno. Mussolini ha sorriso nel sentire quest’osservazione. La stampa socialista di tutto il mondo ha diffamato e frainteso il movimento fascista, che, al contrario, ha dimostrato di essere la più geniale, generosa e cavalleresca espressione delle aspirazioni idealistiche della gioventù italiana e del patriottismo del dopoguerra.
Nessun paese ha mai affrontato la propaganda rivoluzionaria e le agitazioni sovversive con un movimento tanto disinteressato e dotato di spirito di sacrificio come quello dei giovani fascisti italiani sotto la guida e l’ispirazione di Mussolini. Questo è ciò che posso dire in base alla mia osservazione degli eventi e dell’attività di Mussolini negli ultimi quattro anni. Ho assistito, qui a Milano, ad alcuni degli episodi più entusiasmanti, l’ho visto più volte all’opera, ho letto i suoi potenti articoli sul Popolo d’Italia, il suo giornale, giorno dopo giorno. Ho visto la nascita e la diffusione dei tumulti bolscevichi a Milano e nell’Italia settentrionale. Sono stato spintonato in piazza del Duomo e ho rischiato di rompermi un braccio e una gamba. Sedevo nel vagone ristorante che gli anarchici hanno incendiato alle porte di Milano e ho raccolto un proiettile che aveva frantumato il finestrino accanto a cui ero seduto. Ho visto operai ubriachi irrompere nei vagoni di prima classe e sputare addosso alle signore per il solo fatto di essere vestite con abiti di seta.
Un sintomo dei mali del mondo
A Capital, Portogallo, 28 ottobre 1922
I dispacci provenienti dall’Italia, per quanto laconici, evidenziano la gravità della crisi che il paese sta attraversando. Davanti a un’ingiunzione diversa da un normale ultimatum, il governo Facta darà le dimissioni. Di conseguenza il prossimo esecutivo avrà la composizione imposta dai fascisti. Cosa significa tutto questo? Significa una capitolazione dei poteri dello stato, con la sottomissione dei partiti e dell’esercito. Oggi in Italia comanda l’ex socialista Mussolini, alla guida di duecentomila fascisti armati, gli stessi che recentemente hanno sfilato in più di quarantamila a Napoli alla presenza del loro capo.
Alla fine è successo quello che prevedevano tutti coloro che hanno seguito gli sviluppi della politica italiana dopo la guerra. Schiacciato tra due estremismi ugualmente pericolosi, lo stato italiano non ha saputo trovare un equilibrio, e ora rischia di naufragare.
Abuso di potere
Léon Blum, Le Populaire, Francia, 31 ottobre 1922
Ecco uno degli eventi più incredibili di questo periodo storico: i fascisti sono padroni dell’Italia. In questo paese con un sistema parlamentare, in linea di principio retto dalle leggi della rappresentanza politica e della maggioranza, un partito che in parlamento dispone di una manciata di deputati arriverà al potere. E lo gestirà da solo, determinato a non dividerlo con nessuno, lasciando appena qualche ministero di minore importanza a un piccolo gruppo di burattini accuratamente scelti in altri partiti: così riuscirà a schivare le imboscate dei grandi vecchi della politica italiana come Giolitti [Giovanni, politico italiano liberale, per cinque volte presidente del Consiglio tra il 1892 e il 1921] e Salandra [Antonio, politico italiano liberale, presidente del Consiglio dal 1914 al 1916]. Il fascismo prende il potere con la forza, quasi con la forza delle armi, dopo una reale mobilitazione che gli ha permesso di controllare i principali ingranaggi politici ed economici del paese.
Lo prende con la volontà proclamata di usare a suo vantaggio tutte le prerogative del governo. Non abbiamo un ministero, ha detto Mussolini alla folla entusiasta che lo acclamava davanti al Quirinale, abbiamo un governo.
Mussolini raccontato dai fascisti britannici
The Daily Mail, Regno Unito, 1 novembre 1922
Mussolini, il leader della grande organizzazione della classe media italiana che ha costretto alle dimissioni l’esecutivo e a cui si sostituirà formando un proprio governo, è un grande e dinamico scrittore e oratore, un meraviglioso organizzatore, un trentanovenne calvo dai prodi occhi scuri, spietato, fiero, accigliato. I suoi seguaci lo chiamano “il tremendo”.
Nato in Romagna, di umili natali – il padre era un fabbro analfabeta le cui convinzioni precorrevano il bolscevismo (fu poi arrestato per la sua irruente attività politica) – Mussolini ha maturato un carattere ribelle, amante della natura e del marxismo. Quotidianamente dedito alle risse, è stato perfino espulso dal collegio per aver ferito un compagno con un coltello.
Dopo un breve periodo in cui ha esercitato la professione di maestro elementare per poche lire al mese, è emigrato in Svizzera, dove aveva cominciato a scrivere, alla soglia dei vent’anni, sonetti e articoli per il giornale socialista italiano l’Avanti! per poi diventare direttore di un giornale rivoluzionario.
Un modello per la Francia
Arthur Meyer, Le Gaulois, Francia, 1 novembre 1922
Mi manca poco per accendere le luci a festa. I motivi sono due: i comunisti sconfitti in Francia, i fascisti trionfanti in Italia. Ma per festeggiare aspetterò che al magnifico movimento nato in Italia risponda una simile iniziativa in Francia. Non dovrebbe volerci molto.
Al rumore dell’entrata vittoriosa – e pacifica – dei fascisti a Roma, i nostri novecento rappresentanti feudali hanno tremato sulle loro sedie. “È uno scandalo! Il parlamentarismo è minacciato! Il popolo ammirevole, che ha distrutto la Bastiglia massacrando innocenti, si renderà conto che sulle sue rovine si sono innalzate novecento piccole bastiglie, novecento comitati regionali che preparano le elezioni e creano deputati a loro immagine e somiglianza, che una volta eletti hanno il solo desiderio di essere rieletti? Piove sul tempio! Cittadini, armatevi! La repubblica è minacciata. Ritorna il bolscevismo”.
No, signori senatori e deputati. I bolscevichi hanno fondato il loro regime sul sangue che hanno fatto scorrere; hanno massacrato l’imperatore e la famiglia imperiale. I fascisti, invece, proclamano un regime di pace e acclamano il re. Dov’è l’analogia?
Il fiasco del fascio
L’Angely, L’Homme libre, Francia, 3 novembre 1922
Ebbene, mio caro Arthur Meyer, siete ancora convinto di voler accendere le vostre luci a festa? Alla notizia del colpo di mano che si è consumato in Italia, la vostra gioia era senza limiti. Avete detto che volevate illuminare la vostra casa a festa.
Avete letto sull’Information dell’altro ieri il telegramma che il governo francese ha cercato di nascondere, come in passato nascondeva le notizie delle manifestazioni antifrancesi in Italia? Inutile stupirsi, poiché sotto Poincaré o Briand gli uffici del quai d’Orsay sono sempre gli stessi. Ecco il dispaccio: “Roma, 1 novembre. Si conferma che un gruppo di fascisti è entrato ieri a palazzo Farnese esprimendo il desiderio di vedere la bandiera tricolore sventolare sul pennone dell’ambasciata di Francia. Il segretario d’ambasciata che ha accolto i fascisti avrebbe gentilmente risposto loro che avrebbe acconsentito alla loro richiesta e che in questo modo la Francia avrebbe reso omaggio al nuovo governo. Dopo aver avuto notizia dell’incidente, il direttorio fascista ha subito inviato le sue scuse all’ambasciata di Francia”.
Allora Arthur Meyer, sempre sicuro di voler grandi luminarie? I fascisti entrano nella politica come degli elefanti in un negozio di porcellane. Fanno danni.
Niente di nuovo sotto il sole
Henry W. Harris, The Boston Globe, Stati Uniti, 5 novembre 1922
Se negli Stati Uniti una qualche società patriottica si impadronisse di Baltimora, Filadelfia e Richmond, destituisse i sindaci con la forza, accampasse un esercito di circa centomila uomini a trenta chilometri da Washington e, con la scusa che “bisogna salvare l’America”, costringesse il presidente a sciogliere il suo gabinetto e a cederle i ministeri (e con essi tutto il potere esecutivo), gli americani residenti all’estero comincerebbero a chiedersi cosa diavolo stia succedendo.
Sostituite Baltimora, Filadelfia, Richmond e Washington con Firenze, Genova, Pisa e Roma, sostituite “società patriottica” con fascisti, e segretario di stato con primo ministro (tenendo a mente che in Italia il primo ministro esercita un potere quasi pari a quello del presidente e del segretario di stato americani messi insieme), e avrete la situazione nell’Italia di oggi così come essa appare nella mente di un americano in base ai fatti nudi e crudi. A seguito di due anni di guerra e terrore il movimento fascista (che è una società patriottica) ha occupato alcune delle principali città italiane, minacciato militarmente Roma, costretto il re a lasciare la guida del paese a Mussolini, il suo leader, e preso il controllo del governo.
Naturalmente tra gli italiani di Boston c’è fermento. L’Associazione dei veterani italiani della guerra mondiale si è dichiarata favorevole ai fascisti: girano voci sulla creazione di una sezione del movimento a Boston. La Notizia, l’unico quotidiano cittadino gestito da italiani e scritto in italiano, sta versando fiumi di inchiostro contro il fascismo: critica il suo impossibile programma, chiama a testimoniare un lungo elenco di italiani famosi contrari al fascismo e, soprattutto, incoraggia i lettori a rammentare che questa è l’America, che i fascisti sono un problema esclusivamente italiano, e che non c’è nessun bisogno di portarlo a Boston.
“Sono contento che i fascisti ci siano”, dice Joseph A. Merenda, assistente della Liberty and progress lodge of the sons of Italy. “E penso che la maggioranza degli italiani a Boston lo sia. I fascisti combattono l’anarchia e il socialismo. Ma quello che deve fare l’Italia è dimenticare le discussioni, mettersi a lavorare e produrre”. Il dottor Rocco Brindisi riassume l’atteggiamento di molti leader locali: “A me interessa la prosperità dell’Italia”, dice. “Come a me, questo è ciò che interessa alla maggior parte degli italiani di Boston. I fascisti sembrano aver buone intenzioni. Se faranno prosperare l’Italia, gliene saremo grati”.
È difficile chiedere un’opinione agli italiani arrivati di recente. Alle nostre domande gli uomini, indaffarati, rispondono sempre che non hanno tempo per pensare alla politica; chi invece sta a bighellonare controbatte filosoficamente offrendo un voto per il vino e la birra.
Una tendenza pericolosa
Constantin Graur, Adevărul, Romania, 3 novembre 1922
Quando scriviamo queste righe non abbiamo ancora una dichiarazione programmatica del governo Mussolini. Non sappiamo se abbia intenzione di procedere con cautela o di impugnare l’ascia. Non sappiamo neanche se l’ammirabile disciplina dell’organizzazione fascista esista ancora e se i capi abbiano ancora l’appoggio incondizionato delle masse fasciste. La soppressione dei quotidiani, l’arresto di Nitti e altri eventi nefasti possono essere considerati eccessi dell’ultima ora da parte di militanti inebriati dalla vittoria e non misure ordinate dal governo. Forse, a partire da domani, riceveremo telegrammi più rassicuranti. Spesso il potere con il passare del tempo si addolcisce.
Presto sapremo anche cosa vuole Mussolini. E tra un po’ capiremo anche cosa farà.
Ma intanto una cosa è certa: l’avvento del fascismo, e in particolare il modo in cui è nato, infrange esattamente quel tipo di idee politico-sociali che esso pretende di rappresentare e difendere. Il trionfo dei comunisti sarebbe stato un incidente assai dannoso; quello dei fascisti, non attraverso il parlamento, come espressione della volontà generale, ma mediante la forza brutale di un esercito privato, rappresenta una catastrofe per le classi dominanti: potrebbe infatti voler dire che ciò che chiamiamo ordine si può mantenere solo attraverso il disordine.
Si dice anche che i fascisti non abbiano fatto abbastanza per trarre le conseguenze di una situazione di fatto creata da altri: i comunisti erano pronti a demolire lo stato, a distruggere l’Italia, mentre i governi in carica, troppo deboli, non riuscivano a ostacolarli. È allora che è intervenuta l’iniziativa privata e ha eliminato il veleno.
Qui però c’è molta ingenuità! Che forza poteva avere il comunismo se è stato estirpato da un’organizzazione privata? E se una simile organizzazione privata è riuscita in questo miracolo, cosa dobbiamo pensare dell’Italia, che non è riuscita a darsi un governo capace di portare a termine tale compito? Va sottolineato che il governo aveva a disposizione i giudici, la polizia, i gendarmi, l’esercito, le risorse e anche la collaborazione di tutti i soggetti interessati al mantenimento dell’ordine in vigore, oltre al contributo di militanti disinteressati al medesimo ordine; secondo l’idea dei fascisti stessi, era necessario che ci fosse la partecipazione di tutti i militanti, senza però la necessità di un’organizzazione speciale. O forse, invece, tutto il paese, incluso il governo, i politici, la giustizia, la polizia, l’esercito, aveva aderito in massa al comunismo? In tal caso, che diritto avrebbero avuto d’imporre un ordine sociale che nessuno voleva? E soprattutto: come avrebbero potuto da soli, una manciata di uomini, trionfare contro tutti? E se hanno agito con grande efficienza, cosa gli doveva il governo?
La bambinaggine è evidente.
La verità è tutt’altra. Non sono stati i fascisti a distruggere il comunismo; il comunismo si è distrutto da solo, mentre il fascismo si è levato sulle sue rovine.