I fondi per i piccoli comuni hanno fatto arrabbiare i sindaci del Nord
Sono stati assegnati tutti al Sud per via di regole in realtà trasparenti, ma che molti amministratori ora chiedono di cambiare
Mercoledì scorso la direzione finanze del ministero dell’Interno ha pubblicato l’assegnazione dei fondi ai comuni con meno di 15mila abitanti che avevano presentato progetti per la cosiddetta rigenerazione urbana, cioè principalmente la sistemazione di strade e piazze, ma anche la riqualificazione di alloggi popolari o la costruzione di nuove piste ciclabili. In poche ore i sindaci delle regioni del Nord e del Centro hanno iniziato a protestare perché i fondi erano stati assegnati interamente ai comuni del Sud.
Sui 296 milioni stanziati dal ministero, 161 sono andati alla Campania, 60 milioni alla Sicilia, quasi 50 milioni alla Calabria, 19 milioni alla Puglia e 5 milioni alle Marche, l’unica regione del Centro che è riuscita a entrare nelle graduatorie. In totale sono stati finanziati 201 progetti presentati da 63 comuni. «È uno scandalo», ha detto Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente dell’ANCI Veneto, l’associazione che rappresenta i comuni veneti. «Si tratta di una vera e propria discriminazione nei confronti delle amministrazioni della nostra regione e del Nord più in generale. I sindaci sono stanchi di una situazione insostenibile. Stiamo assistendo al solito copione: nuovi bandi, vecchi errori».
Diversi altri sindaci di tutte le regioni del Nord sono rimasti spiazzati dal risultato del bando: gli uffici tecnici avevano lavorato a lungo per presentare progetti credibili e per questo c’era una notevole aspettativa. Le proteste hanno coinvolto anche molti sindaci delle regioni del centro e anche della Sardegna, che nonostante le difficoltà economiche non ha ricevuto nemmeno un euro. «La completa esclusione dei comuni sardi dall’elenco dei comuni beneficiari del contributo ha destato sconcerto, delusione e indignazione», ha detto Emiliano Deiana, consigliere comunale di Bortigiadas e presidente dell’ANCI Sardegna.
Il presidente dell’ANCI nazionale, il sindaco di Bari Antonio Decaro, ha detto di aver ricevuto moltissime lamentele da parte dei sindaci e per questo ha chiesto al nuovo governo di rivedere i criteri con cui i fondi vengono assegnati.
La sproporzione territoriale nell’assegnazione dei soldi non è il risultato di una scelta arbitraria o di una discriminazione, come hanno fatto intendere alcuni sindaci, ma dell’applicazione di criteri trasparenti fin dalla pubblicazione del bando. Già mesi fa era chiaro che le regole scritte e approvate dal parlamento avrebbero premiato i comuni del Sud, come era già successo in passato con bandi simili.
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I fondi per la cosiddetta rigenerazione urbana dedicati ai comuni con meno di 15mila abitanti, in totale 300 milioni di euro, erano stati stanziati dal governo nell’ultima legge di Bilancio perché i cosiddetti piccoli comuni erano stati esclusi dai bandi del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza, che aveva coinvolto soltanto quelli con più di 15mila abitanti. Il problema è che le richieste sono state moltissime: sono stati presentati 5.268 progetti per un totale di 5,6 miliardi di euro. Per decidere a quali comuni dare i soldi e a quali no è stato introdotto un criterio già utilizzato in passato: l’IVSM, l’indice di vulnerabilità sociale e materiale elaborato dall’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica.
L’indice di vulnerabilità sociale e materiale è un indicatore costruito attraverso la sintesi di sette indicatori che servono a classificare le difficoltà sociali di un territorio.
I sette indicatori sono l’incidenza percentuale di famiglie giovani con un solo genitore sul totale delle famiglie, l’incidenza percentuale delle famiglie con 6 o più componenti, l’incidenza della popolazione compresa tra 25 e 64 anni analfabeta e alfabeta senza titolo di studio, l’incidenza percentuale delle famiglie con potenziale disagio assistenziale, l’incidenza percentuale della popolazione in condizione di “affollamento grave”, data dal rapporto percentuale tra la popolazione residente in abitazioni con superficie inferiore a 40 metri quadrati e più di 4 persone, l’incidenza percentuale di giovani fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione scolastica, l’incidenza percentuale delle famiglie con potenziale disagio economico, cioè le famiglie in cui nessuno è occupato o pensionato.
Tutti questi indicatori risalgono al 2018 e, combinati tra loro, vanno a formare l’IVSM, che viene aggiornato ogni due anni. Più l’indice è alto e più la situazione del comune è difficile. Come si può osservare dalla mappa ricavata dai dati diffusi dall’ISTAT, la distribuzione territoriale dell’IVSM è molto chiara: nelle regioni del Nord i comuni hanno punteggi più bassi, e quindi ci sono meno difficoltà sociali, mentre al Sud si concentrano tutti i comuni con i punteggi più alti.
Ci sono alcune eccezioni, come molti comuni del Trentino-Alto Adige, che hanno un IVSM alto perché c’è una incidenza elevata di famiglie con 6 o più componenti: il problema dei comuni trentini e altoatesini, però, è che hanno presentato pochi progetti, 43 su 5.268, e anche se hanno un indice di vulnerabilità alto non è così alto come quello dei comuni del sud.
I comuni del Sud hanno semplicemente proposto dei progetti validi, simili a quelli presentati dai comuni del Nord, ma essendo mediamente in una situazione di maggiore difficoltà economica e sociale sono stati privilegiati nell’assegnazione dei fondi. Tra le altre cose, i risultati di questo bando dimostrano che molti comuni del Sud sembrano aver rimediato alla disattenzione nei confronti dei bandi nazionali: lo scorso anno, per esempio, la Sicilia non ottenne nemmeno un finanziamento per l’agricoltura a causa di progetti approssimativi, che non rispettavano i criteri.
La distribuzione sproporzionata rimane comunque un problema, come hanno evidenziato molte sezioni regionali dell’ANCI. I risultati di questo bando non saranno rivisti, ma è prevedibile che il governo metta mano ai criteri in vista dei prossimi bandi, limitando l’influenza dell’IVSM.
Da tempo si discute dei possibili correttivi per rendere le regole più bilanciate in quanto si tratta di bandi per la realizzazione di opere pubbliche e non legati a interventi per ridurre la marginalità sociale, per cui sarebbe più appropriato un indicatore come l’IVSM. Una delle modifiche potrebbe essere l’assegnazione dei fondi su base regionale, come già previsto da molti bandi del PNRR: lo stato distribuisce soldi a tutte le Regioni che a loro volta li assegnano ai progetti comunali sulla base di graduatorie regionali. Un altro modo per cambiare le regole potrebbe essere l’introduzione di altri indicatori nell’IVSM come per esempio il costo della vita, che è più alto nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Sud. Oppure ancora legare l’assegnazione dei soldi a graduatorie che tengano conto anche dei tempi di realizzazione delle opere e della corretta gestione dei fondi. In questo modo i comuni sarebbero incentivati a limitare gli sprechi e concludere le opere nel più breve tempo possibile.
Il problema, finora, è stato che i criteri di assegnazione dei bandi vengono decisi quasi esclusivamente da dirigenti e funzionari ministeriali, in sostanza tecnici, con limitate possibilità di intervento della politica, da una parte per scarse competenze e attenzione degli eletti e dall’altra per via dei tempi di discussione delle leggi molto ridotto.
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