Le interferenze, e i contributi, di chi assiste agli eventi sportivi
Storie di borracce o palline passate al momento giusto, o intercettate in quello sbagliato, e di come possono fare la differenza
Di solito nello sport a determinare vittorie e sconfitte, record o fallimenti, sono gli sportivi, gli allenatori, le squadre: i titolari e le riserve, i piloti e i meccanici, i capitani e i gregari e, per estensione, chiunque collabori alla preparazione degli sportivi e al miglioramento dei loro allenamenti. I tifosi, di cui nel calcio si parla talvolta come di un gruppo che diventa “il dodicesimo uomo in campo”, in genere contribuiscono in modo indiretto e quasi sempre intangibile.
Esistono però casi in cui spettatori o semplici collaboratori esterni di un evento sportivo diventano determinanti, alle volte nel bene e alcune altre volte nel male. C’è chi sostenne, per esempio, che quasi vent’anni fa i Chicago Cubs non arrivarono a vincere le World Series del baseball per colpa di un loro ormai celebre tifoso. Ed esistono elementi per sostenere che, poco più di un mese fa a Berlino, senza il prezioso contributo di chi gli ha passato tredici borracce durante la sua corsa il keniano Eliud Kipchoge non sarebbe riuscito a stabilire un nuovo record mondiale della maratona.
Kipchoge, il più forte maratoneta in attività e uno dei migliori di sempre, ha fatto il suo nuovo record e vinto la maggior parte delle maratone a cui ha preso il via per suoi notevoli meriti. La ricerca di guadagni marginali in ogni aspetto e momento della corsa, che anzitutto passa dalle sue avanzatissime scarpe, è però anche parte della sua collaborazione con Claus-Henning Schulke, altrimenti noto online come “Bottle Claus” e nelle ultime settimane presentato come essenziale complice del record di Kipchoge.
Schulke è tedesco, ha cinquantasei anni e di lavoro fa l’ingegnere edile. Da giovane corse una maratona in due ore e quarantatré minuti — un ottimo tempo — decidendo poi di aggiungere nuoto e ciclismo alla corsa così da dedicarsi al triathlon. Dalla fine degli anni Novanta Schulke iniziò a collaborare come volontario alla maratona di Berlino, tra le più importanti e veloci al mondo, come passatore ufficiale di borracce.
Non tutte le maratone prevedono questo ruolo (altrove le borracce sono sui tavoli e i maratoneti devono prendersele da soli), ma a Berlino negli anni è stata costruita una squadra di una trentina di persone, di cui Schulke è ora il capo, che prepara e passa le borracce ad atlete e atleti. Visto che i migliori maratoneti corrono a venti chilometri all’ora, non è semplice prepararsi e coordinarsi con loro per la consegna: ci vogliono pratica, scaltrezza e colpo d’occhio. Se una borraccia cade o viene mancata, chi la doveva ricevere deve fermarsi e raccoglierla, perdendo tempo, oppure farne a meno col rischio di trovarsi però senza le energie necessarie per una buona prestazione.
Dal 2017, Schulke è il fornitore di borracce personale di Kipchoge quando quest’ultimo corre a Berlino. I due si conobbero perché Schulke fu assegnato al keniano (in un anno in cui vinse ma la pioggia gli precluse la possibilità di fare un record) e l’anno successivo Kipchoge chiese espressamente che a passargli le borracce fosse ancora lui.
Prima di quella corsa i due si incontrarono e discussero tattica e tecnica del passaggio. Andò tutto bene, Kipchoge fece il suo primo record mondiale e in serata scrisse a Schulke: «Grazie per l’aiuto di oggi, il mio record di oggi non ci sarebbe senza di lei».
La coppia ha funzionato molto bene anche quest’anno, e ancor più che in passato Schulke si è fatto notare, oltre che per efficacia, per convinzione e determinazione. È stato inoltre apprezzato per le sue brevi ma convinte esultanze dopo ogni passaggio, prima di rimontare in sella alla sua bici per superare Kipchoge e, pedalando a una velocità vicina ai quaranta chilometri orari, farsi trovare pronto al successivo passaggio.
È stato calcolato che, ognuno dei passaggi, tutti riusciti, ha permesso a Kipchoge di risparmiare un paio di secondi. In tutto, il risparmio si aggira attorno ai trenta secondi, quelli grazie ai quali Kipchoge ha fatto un nuovo record.
Il corretto passaggio delle borracce è spesso fondamentale anche nel ciclismo, dove peraltro i ciclisti passano parecchio più veloce e dove a occuparsi dei rifornimenti sono gli assistenti delle squadre. Un’attenta pianificazione sul dove dare le borracce è tra l’altro alla base di una delle più notevoli imprese ciclistiche degli ultimi anni, quella che permise al britannico Chris Froome di vincere il Giro d’Italia nel 2018.
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Ma esempi di determinanti “collaboratori esterni” non riguardano solo le borracce e non solo gli sport di fatica e resistenza. Nel calcio, per esempio, accade di frequente che i raccattapalle (gli assistenti, spesso giovani calciatori della squadra di casa, che recuperano palloni e li passano ai giocatori che li devono rimettere in gioco) influiscano sul gioco, rallentando o accelerando di proposito la rimessa in gioco del pallone. Con conseguenti critiche, o elogi, da parte degli allenatori delle squadre in causa.
Una quindicina di anni fa se ne parlò, in Italia, in relazione ai veloci calci d’angolo battuti dalla Roma. Un altro caso recente e piuttosto emblematico ha riguardato una partita di Champions League che nel 2019 il Tottenham vinse in rimonta per 4-2 contro l’Olympiacos. Il gol del 2-2 fu segnato grazie a una rapida azione e in virtù di una sorta di effetto sorpresa scaturito da come il giovane raccattapalle Callum Hynes passò la palla a chi di dovere. Il ragazzo venne poi ringraziato da José Mourinho, che allora allenava il Tottenham, e che disse: «È stato eccezionale, ha letto e capito il gioco e fatto un assist molto importante». Hynes, che allora aveva quindici anni, fu poi invitato a passare un po’ di tempo con i giocatori del Tottenham.
Altre volte, però, succede che qualcuno che lo sport dovrebbe solo guardarlo finisce per influenzarlo, in genere in modo negativo. Come quelle volte in cui guardando dalla primissima fila una partita di basket qualcuno (una volta Lapo Elkann, nell’ultimo quarto di una partita ancora in bilico) prende una palla che è ancora in gioco. Come gli spettatori delle gare di ciclismo che con tracolle, cartelli, telefoni o sbadataggini varie causano la caduta di un corridore, o peggio di decine di loro.
O come il tifoso che in una combattuta partita del 2009 tra Liverpool e Sunderland lanciò in campo un pallone gonfiabile che finì per risultare determinante in quello che fu il gol del Sunderland, che poi vinse la partita. Il tifoso era del Liverpool.
I casi in cui gli spettatori finiscono per influire nel gioco sono piuttosto diffusi nel baseball, in particolare nei casi in cui una pallina finisce in una zona in cui possono arrivare a prenderla sia i giocatori in campo che gli spettatori delle prime file, allungando verso il campo le loro mani, spesso dotati di appositi guantoni. Situazioni di questo tipo sono note con il significativo nome di “interferenze” e in certi casi – quelli in cui la palla potrebbe ancora finire in campo – rappresentano un possibile “fallo”.
Per gran distacco, tra le tante interferenze della Major League, il principale campionato di baseball al mondo, la più famosa è quella di cui fu protagonista Steve Bartman, tifoso dei Chicago Cubs, squadra che non vinse le World Series per oltre un secolo, dal 1907 al 2016.
Il 14 ottobre 2003 i Cubs stavano giocando in casa al Wrigley Field contro i Florida Marlins una partita che, se vinta, avrebbe permesso loro di accedere alle World Series. All’ottavo e penultimo inning i Cubs erano avanti per 3-0 e stavano giocando in difesa quando una battuta dei Marlins finì tra il campo e le prime file di spettatori.
Credendo che la palla fosse ormai “fuori gioco” diversi tifosi tentarono di prenderla. Ci provò anche Bartman, che la toccò impedendo a un giocatore dei Cubs di prenderla. Se Moises Alou, il giocatore dei Cubs in questione, avesse preso la palla al volo avrebbe eliminato il secondo battitore avversario e avvicinato la fine di quell’inning.
Bartman invece la deviò, peraltro senza riuscire a prenderla. I Marlins poi rimontarono, vinsero 8-3, si qualificarono per le World Series e vinsero anche quelle.
Già negli ultimi minuti della partita tra Cubs e Marlins, Bartman fu individuato da gran parte dei tifosi come responsabile della rimonta degli avversari. Lasciò anzitempo lo stadio scortato dalla sicurezza e non ci si fece più vedere, delegando a un suo amico avvocato l’incarico di rispondere – in genere per dire che lui non aveva niente da dire – alle tantissime richieste di interviste o apparizioni televisive che arrivarono in seguito. Negli anni Bartman è diventato una sorta di leggenda del baseball e la sua vicenda spesso citata in serie televisive, cartoni animati e programmi comici. È stato anche protagonista di un documentario di ESPN dal titolo Catching Hell: the Steve Bartman Story.
Negli anni Bartman ha anche ricevuto, più o meno direttamente, insulti e minacce di vario genere da parte di altri tifosi. Per provare a sistemare le cose, già nel 2003 i Cubs lo invitarono a tornare al Wrigley Field, ma lui si rifiutò. Oltre che per i soliti anniversari, di lui si tornò a parlare nel 2016, quando dopo 108 lunghissimi anni di attesa i Cubs tornarono a vincere le World Series, mettendo fine a una delle più famose “maledizioni” dello sport nordamericano.
Ci fu chi chiese che fosse lui a lanciare simbolicamente la prima palla della prima gara delle finali, ma rifiutò. Nel 2017 la dirigenza dei Cubs gli fece avere uno degli anelli riservati ai vincitori, dicendo che speravano potesse concludere tutta la vicenda. Bartman ruppe il suo silenzio e rispose con un comunicato in cui si diceva profondamente emozionato e sinceramente grato: «Io e la mia famiglia ne avremo cura generazione dopo generazione», scrisse. Aggiunse poi di augurarsi che la sua esperienza potesse servire a «vedere lo sport soltanto come intrattenimento, evitando la ricerca di capri espiatori» come era successo nel suo caso.