Le soprintendenze continuano a ostacolare la transizione energetica
I vincoli di tutela del paesaggio spesso impediscono l'installazione di pannelli fotovoltaici o ne impongono di meno efficienti, come i pannelli colorati
In seguito al notevole aumento del prezzo dell’energia il governo ha introdotto nuove regole per favorire la transizione energetica. Lo stesso hanno cercato di fare Regioni e Comuni con l’obiettivo di recuperare il ritardo accumulato negli ultimi dieci anni, quando dopo i notevoli investimenti iniziali sulle fonti rinnovabili c’era stato un significativo calo nell’installazione di nuovi impianti, eolici e soprattutto fotovoltaici.
I tentativi degli enti locali di semplificare le procedure sono apprezzabili, tuttavia sono bloccati da altri enti, in particolare dalle soprintendenze, cioè gli organi dipendenti dal ministero della Cultura che si occupano di valorizzare e preservare il patrimonio culturale e che sono chiamate a dare pareri e concedere autorizzazioni spesso decisive sulla gran parte dei progetti. È un problema noto anche prima della recente crisi energetica e che oggi, spiegano amministratori locali e aziende che si occupano di questo tema, è diventato più urgente rispetto al passato perché lentezze e dinieghi rischiano di scoraggiare piccoli e grandi investitori, e in definitiva ostacolare la transizione energetica.
Una delle semplificazioni più importanti riguarda gli impianti fotovoltaici ed è stata approvata dal governo a inizio marzo con un decreto che consente l’installazione di pannelli solari senza particolari autorizzazioni. Alle persone o alle aziende basta inviare una comunicazione a E-Distribuzione, società del gruppo Enel che si occupa di gestire le richieste e di fatto ha il monopolio degli allacci alla rete elettrica, e al GSE (il Gestore dei Servizi Energetici, una società controllata dal ministero dell’Economia) prima dell’inizio dei lavori e quando l’impianto è installato.
Per gli impianti fino a 200 kilowatt serve soltanto il cosiddetto “modello unico”. La procedura semplificata vale sia per i nuovi impianti, sia per la modifica o il potenziamento di impianti già installati. Il grosso problema è che questa semplificazione vale soltanto nei casi in cui case e condomini non siano in una zona in cui c’è un vincolo ambientale, storico, artistico o paesaggistico.
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In questi casi non basta il modello unico, ma serve anche l’autorizzazione della soprintendenza o almeno il parere della commissione paesaggio, un organo tecnico del comune, formato da professionisti nominati dalla giunta comunale, che dice se un progetto va bene oppure no, e nel caso quali modifiche servono per renderlo compatibile con il contesto circostante.
Il lavoro delle soprintendenze e delle commissioni paesaggio è importante per evitare interventi impattanti dal punto di vista architettonico o che snaturino il paesaggio, ma il rigore delle loro valutazioni è sostenuto da un’impostazione quasi sempre conservativa, cioè contraria ai cambiamenti.
La posizione delle soprintendenze è quindi decisiva nell’ambito della transizione energetica, perché nelle città e in quasi tutti i comuni sono presenti vincoli ambientali, storici, artistici o paesaggistici che rallentano l’installazione di impianti eolici e fotovoltaici, in quest’ultimo caso sia quelli sugli edifici sia quelli chiamati “a terra”, cioè installati su terreni.
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Già lo scorso anno l’associazione Legambiente prese una posizione molto decisa criticando l’atteggiamento generale delle soprintendenze italiane. «Le soprintendenze sono e saranno nostre alleate quando si tratta di combattere cementificazione selvaggia e speculazione edilizia. Ma sulla transizione ecologica proprio non ci siamo. Occorre un cambio culturale, non può essere che ogni mutamento del territorio sia bocciato a prescindere dalle soprintendenze», spiegò il presidente nazionale Stefano Ciafani. «Per rispettare gli impegni presi a livello internazionale sui tagli alle emissioni di CO2 ne dovremo costruire tanti e in fretta. Ma finora dai soprintendenti sono arrivati quasi sempre dei no».
Oltre ai rifiuti categorici, spesso limitazioni e ostacoli emergono anche quando le autorizzazioni vengono concesse con prescrizioni. Uno degli accorgimenti raccomandati dalle prescrizioni è l’utilizzo di pannelli solari colorati, marroni o rossi, che dovrebbero integrarsi meglio con il contesto delle città.
Anche se può sembrare un dettaglio, la colorazione dei pannelli rallenta la transizione energetica. Il colore blu scuro tendente al nero dei pannelli fotovoltaici non è casuale: i colori scuri favoriscono l’assorbimento della luce. L’effetto fotovoltaico si crea attraverso cellule fotovoltaiche costituite da due strati congiunti e sovrapposti, uno di silicio drogato con atomi di fosforo e l’altro di silicio drogato con atomi di boro. Queste cellule hanno la capacità di convertire i fotoni in corrente continua.
Lo sviluppo della tecnologia ha consentito alle aziende di creare pannelli colorati, tipicamente di un rosso o un marrone molto scuro. Questi pannelli sono spesso imposti dalle soprintendenze, per esempio perché si avvicinano un po’ di più al colore rossastro dei tetti di molte città italiane. Il problema dei moduli colorati è che sono meno efficienti rispetto a quelli tradizionali, con un rendimento fino al 15 per cento inferiore, e molto costosi: di fatto rendono l’installazione dell’impianto fotovoltaico meno economicamente sostenibile e meno efficace dal punto di vista ambientale.
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Queste limitazioni influiscono direttamente sul lavoro degli enti locali.
Uno dei comuni che più hanno cercato di incentivare la transizione energetica è Firenze. La scorsa settimana la giunta comunale ha approvato la cosiddetta “variante al piano strutturale”, cioè nuove regole per superare le vecchie prescrizioni che impedivano l’installazione di pannelli solari in quasi tutta la città. La variante divide la città in nove aree a seconda delle caratteristiche storiche, morfologiche e di destinazione urbanistica e concede più libertà rispetto al passato. Già lo scorso anno il comune aveva rimosso la prescrizione che imponeva di mettere pannelli solari al massimo per il 30 per cento della superficie del tetto e impediva l’installazione sulla falda affacciata sulle strade.
Il comune avrebbe voluto semplificare ancora di più e liberare più aree dai vincoli, ma ha dovuto fare i conti con il parere della soprintendenza che ha imposto di escludere il centro storico, chiamato area Unesco (in questo caso ragionevolmente), e anche una zona chiamata “buffer zone” vicino alle ville medicee di Castello, nella periferia a nord della città. «È una posizione che non ci trova d’accordo perché si tratta di un’area con edificati recenti, campi sportivi. Non è un’esclusione coerente», dice l’assessora all’Urbanistica Cecilia Del Re.
Il comune è pronto a fare un tentativo di modifica per includere anche quell’area prima dell’approvazione definitiva in consiglio comunale. Anche a Firenze, però, nonostante le nuove regole sarà necessario chiedere l’autorizzazione alla commissione paesaggistica nelle aree vincolate. «Purtroppo in questo caso la competenza delle decisioni è statale e non comunale», dice Del Re.
Già oggi la maggior parte delle autorizzazioni viene data con la prescrizione di installare i più costosi e meno efficienti pannelli colorati.
La presenza di molti vincoli è un problema che non riguarda soltanto le città d’arte come Firenze o Roma, ma anche comuni di medie o piccole dimensioni, anche montani. Da tempo l’UNCEM, l’unione nazionale dei comuni montani che rappresenta moltissimi enti locali, ha chiesto al governo di rendere le procedure per le installazioni più semplici e veloci. «Fino a quando non ci sarà la volontà politica di cambiare le regole le soprintendenze continueranno a fare quello che vogliono», dice Marco Bussone, presidente dell’UNCEM. «Ma oltre a un intervento politico servirebbe anche una campagna di sensibilizzazione per informare le persone sulla possibilità di ricavare energia dalle fonti rinnovabili. C’è ancora troppa disinformazione su questo tema».
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