Gli ostaggi al teatro di Mosca, 20 anni fa
Centinaia di spettatori furono tenuti in ostaggio da un gruppo di separatisti ceceni, nella drastica operazione per liberarli morirono oltre 170 persone
Il 23 ottobre del 2002, vent’anni fa, un gruppo di separatisti ceceni entrò nel teatro Dubrovka di Mosca, prese in ostaggio tutte le circa 850 persone al suo interno e pose come condizione per la loro liberazione l’immediato ritiro dell’esercito russo dalla Cecenia, repubblica russa in cui dal 1999 era in corso una guerra. La crisi finì tre giorni dopo con almeno 170 persone uccise, tra cui i sequestratori: è uno degli episodi più discussi della presidenza di Vladimir Putin, che gestì l’emergenza in modo violento e con una serie di errori che contribuirono alla morte di numerose persone.
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I sequestratori ceceni erano circa 40 ed erano guidati da Movsar Barayev, un militante 22enne del Reggimento islamico a fini speciali (SPIR), organizzazione radicale cecena: Barayev era il nipote di Arbi Barayev, organizzatore di diversi sequestri e rapimenti nel corso della Prima guerra cecena, ucciso dalle forze speciali russe nel 2001, un anno prima dei fatti al teatro di Mosca.
I sequestratori entrarono nel teatro intorno alle 21, durante il secondo atto del musical Nord-Ost: avevano il volto coperto ed erano armati con fucili d’assalto e dispositivi esplosivi. Le donne avevano il viso coperto dal niqāb e i sequestratori comunicavano tra loro chiamandosi con nomi arabi. Spararono in aria vari colpi, si sparpagliarono nella sala principale e presero in ostaggio tutti i presenti.
Nel teatro si creò subito il panico: alcune persone svennero, altre ebbero attacchi di panico, altre ancora riuscirono a scappare da qualche finestra, soprattutto chi si trovava nelle quinte, e poi chiamarono la polizia. In tutto si stima che siano riuscite a scappare circa 90 persone. I sequestratori dissero poi agli ostaggi che era in corso un attacco suicida, ma che erano interessati ai soli cittadini russi e avrebbero quindi lasciato andare tutte le persone con un passaporto straniero: erano 75, ma il loro rilascio si sarebbe complicato nelle ore successive durante le fasi di negoziazione con le forze dell’ordine.
Le negoziazioni iniziarono subito: Barayev si mise in contatto con la polizia e disse che gli ostaggi sarebbero stati liberati solo se la Russia avesse terminato tutte le operazioni militari in Cecenia entro una settimana. I russi erano in Cecenia dal 1999: era in corso la Seconda guerra cecena, che si sarebbe conclusa nel 2009 con la vittoria della Russia e che come la Prima guerra cecena, combattuta tra il 1994 e il 1996, ruotava attorno all’indipendenza di quel territorio.
A Barayev fu risposto che la richiesta era irrealistica e i tempi richiesti troppo brevi. Barayev chiese allora la fine dei bombardamenti tramite artiglieria e aeroplani a partire dal giorno successivo, la fine delle ricerche casa per casa dei ribelli ceceni e una dichiarazione formale, da parte del presidente Vladimir Putin, in cui vi fosse un impegno a fermare la guerra in Cecenia.
Le autorità russe accettarono di sospendere i bombardamenti più pesanti a partire dal 23 ottobre. Quella notte furono liberate tra le 150 e le 200 persone, soprattutto bambini, donne incinte, musulmani, stranieri e alcune persone che necessitavano di cure mediche e che avrebbero per questo potuto creare problemi ai sequestratori, che minacciarono l’uccisione di 10 ostaggi per ogni membro del gruppo ucciso nel caso di un intervento delle forze di sicurezza russe.
Nel giro di poche ore il sequestro del teatro Dubrovka divenne un caso nazionale: gli ostaggi, probabilmente obbligati dai sequestratori, scrissero un appello al presidente russo Vladimir Putin in cui chiedevano la fine dei combattimenti in Cecenia. Diversi politici e personaggi di rilievo in Russia provarono a dare il loro contributo per persuadere gli assalitori a rinunciare al loro progetto. Le famiglie degli ostaggi organizzarono manifestazioni nelle vie centrali di Mosca, chiedendo il rilascio dei loro cari e la fine delle operazioni russe in Cecenia.
Il sequestro durò tre giorni. Le centinaia di ostaggi furono tenute all’interno dell’auditorium, mentre la buca dell’orchestra fu destinata a toilette. Ci furono diversi momenti di tensione, uno dei quali fu l’uccisione di Olga Romanova, una donna che riuscì a fare irruzione nel teatro e il cui cadavere fu portato fuori da un gruppo di medici autorizzati a entrare alcune ore dopo. Successe un episodio simile con almeno un’altra persona.
Soprattutto, le trattative non portarono da nessuna parte e l’intransigenza di entrambe le parti portò a una situazione di stallo che si sbloccò solo con la violenta operazione condotta dalle autorità russe per porre fine al sequestro.
L’operazione iniziò la mattina del 26 ottobre e fu condotta dalle forze speciali (Spetsnaz) e dai servizi segreti russi. Le forze russe circondarono l’edificio del teatro e cominciarono a diffondere un gas attorno e all’interno dell’edificio: era una specie di gas anestetico, diffuso con l’obiettivo di fare perdere i sensi agli assalitori (e di conseguenza agli ostaggi) per poi procedere all’assalto del teatro. Alcuni dei sequestratori avevano con sé delle maschere antigas, che indossarono. A quel punto le forze russe entrarono nel teatro attraverso porte di emergenza, finestre, aperture sul tetto e dai sotterranei.
L’assalto durò almeno un’ora e mezza, con sparatorie molto violente che alla fine portarono all’uccisione di tutti i sequestratori, anche quelli rimasti privi di sensi a causa dell’inalazione del gas. Iniziarono poi le operazioni di recupero degli ostaggi, moltissimi dei quali privi di sensi, i cui corpi furono allineati all’esterno del teatro. Oltre ai 40 assalitori morirono circa 130 persone.
L’utilizzo del gas da parte delle autorità russe è ancora oggi ritenuto uno degli aspetti più controversi di ciò che fu fatto per liberare gli ostaggi, e uno degli aspetti mai del tutto chiariti riguarda proprio le cause della loro morte. Si ritiene che molte persone morirono per soffocamento quando collassarono prive di sensi sulle sedie del teatro, o quando i loro corpi furono distesi, supini, all’uscita del teatro (in quella posizione la lingua tende ad aderire al palato causando il soffocamento). Secondo alcune ricostruzioni fu proprio il gas, tra conseguenze dirette e indirette, a provocare la morte dei 130 ostaggi.
Il governo russo non ha mai chiarito del tutto la composizione del gas diffuso all’interno del teatro: a seguito di molte pressioni internazionali, disse che era un derivato del fentanil, un analgesico sintetico molto potente, un narcotico oppioide. Negli anni successivi le famiglie delle persone uccise nell’assalto continuarono ad accusare il governo russo di non essere mai stato del tutto trasparente sulla gestione dell’attacco, anche con l’obiettivo di coprire le proprie responsabilità per la morte degli ostaggi.
Il 20 dicembre del 2011, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo giudicò la Russia responsabile di gravi errori e inadeguatezze nella gestione dell’attacco terroristico del 2002. Il paese fu condannato a pagare oltre un milione di euro di risarcimenti a decine di querelanti. Secondo la Corte, la Russia violò la Convenzione sui Diritti Umani con una “progettazione e attuazione” non adeguata delle operazioni di soccorso e non indagando poi a fondo sull’accaduto.
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