È cominciata una nuova “guerra commerciale” tra Stati Uniti e Cina?
Riguarda la tecnologia, dopo che l'amministrazione Biden ha imposto sorprendenti divieti all'industria cinese dei microchip: potrebbero esserci grosse conseguenze
Due degli argomenti trattati dal presidente cinese Xi Jinping nel discorso d’apertura del 20° Congresso del Partito comunista cinese riguardavano la possibilità di usare la forza per ottenere il controllo sull’isola di Taiwan e la necessità di «aumentare gli sforzi» per sviluppare autonomamente tecnologie fondamentali a livello economico e militare, come per esempio quella per fabbricare i microchip. I due discorsi sono correlati più di quanto non sembri e in particolare sono legati a una misura annunciata dagli Stati Uniti e dall’amministrazione del presidente Joe Biden pochi giorni prima del Congresso cinese: gli Stati Uniti, per la prima volta, hanno deciso di limitare l’esportazione verso la Cina di chip avanzati e della tecnologia necessaria per produrli, cosa che potrebbe mettere in eccezionale difficoltà lo sviluppo tecnologico cinese.
Le restrizioni sono senza precedenti e dovrebbero limitare quasi totalmente l’accesso della Cina ai chip avanzati, necessari per lo sviluppo delle intelligenze artificiali e dei supercomputer. Secondo vari esperti, si tratta di una delle misure più dure possibili nell’ambito di una guerra commerciale tecnologica. «Immaginate che una superpotenza dichiari guerra a una grande potenza e nessuno se ne accorga», ha scritto il Financial Times per cercare di rendere l’idea di quanto la misura dell’amministrazione Biden sia importante.
L’ultima volta che si era parlato di guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti era stato durante l’amministrazione di Donald Trump, che aveva imposto serie restrizioni all’azienda tecnologica Huawei e alle esportazioni di varie materie prime. Ma le misure sui microchip decise dall’amministrazione Biden sono più specifiche e potrebbero avere effetti potenzialmente più dirompenti. Molti hanno fatto riferimento alla Guerra fredda, quando il blocco occidentale controllava che le tecnologie più all’avanguardia non fossero cedute all’Unione Sovietica.
Gli Stati Uniti hanno compiuto questo passo, con una decisione unilaterale, dopo consultazioni con alleati non altrettanto decisi, e con un doppio obiettivo. L’effetto ricercato e dichiarato è di impedire che la Cina possa utilizzare chip avanzati per sviluppare o migliorare tecnologie militari come armi nucleari e sistemi di missili ipersonici. È un’esigenza considerata urgente visto che la politica estera cinese si sta facendo sempre più aggressiva, specie per quanto riguarda l’isola di Taiwan, un paese democratico che però la Cina rivendica come parte del proprio territorio.
Le misure che dovrebbero impedire alla Cina di arrivare a tecnologie di alto livello sono numerose: divieto di vendere ad aziende cinesi chip avanzati prodotti in America; divieto di vendere chip avanzati prodotti in altri paesi, ma che comprendano tecnologia o software americani; divieto a ogni azienda del settore che voglia avere rapporti commerciali con gli Stati Uniti di vendere tecnologie a un insieme di aziende che appartengano alla “Lista Non Verificata” (sono oltre 500 e comprendono tutte le imprese cinesi del settore, ma anche aziende di hardware e di software); divieto ai cittadini americani di lavorare per aziende cinesi del settore dei semiconduttori.
I produttori di chip non sono solamente americani, ma ci sono aziende esportatrici (da cui la Cina si rifornisce) a Taiwan, in Corea del Sud, nei Paesi Bassi e in Giappone. Molti di questi paesi erano stati contattati dal governo americano, ha raccontato il New York Times, ma avevano espresso dei timori, soprattutto di natura economica, riguardo alla misura. La norma che vieta loro di vendere chip che utilizzino tecnologie americane, però, blocca ogni possibile commercio dei chip di ultima generazione. La disposizione riguardo ai lavoratori americani delle aziende cinesi, impiegati spesso in ruoli di vertice, ha inoltre causato in questi giorni problemi immediati, con dimissioni o sospensioni cautelative.
Gli effetti a lungo termine delle misure americane potrebbero essere su larga scala e provocare un rallentamento di tutto il progresso tecnologico della Cina. Secondo molti esperti, questa è la prima volta che il governo americano tenta in maniera così esplicita di «contenere» lo sviluppo economico e tecnologico cinese.
Funzionari cinesi hanno parlato, informalmente, di un “volontario sabotaggio dello sviluppo di una nazione”. L’obiettivo è frenare la tecnologia militare, lo spionaggio informatico e le reti di sorveglianza della popolazione e delle minoranze. I chip di livello avanzato sono necessari anche per l’intelligenza artificiale necessaria per le auto a guida autonoma, per gli algoritmi alla base di alcuni social network, per il sequenziamento del DNA, per lo sviluppo della robotica. Quest’ultima è ritenuta fondamentale dal governo cinese per il futuro della produzione industriale, in un contesto di diminuzione della natalità e quindi della forza lavoro.
L’amministrazione Biden ha garantito che eccezioni al bando saranno considerate, ma per lo più negate: aziende come Intel e Samsung hanno ricevuto delle liberatorie temporanee per rifornire le loro sedi cinesi.
La Cina non ha risposto ufficialmente alla misura: negli ultimi tre anni aveva investito grandi somme ed energie per costruire un settore domestico dei microchip in grado di rivaleggiare con quello statunitense e degli altri paesi asiatici, con l’ambizione di diventare autosufficiente a livello tecnologico. Secondo i maggiori esperti non sarebbe ancora arrivata all’obiettivo e le restrizioni imposte da Biden ne rallenteranno il raggiungimento: l’accelerazione nella scelta dell’amministrazione americana potrebbe essere arrivata dopo segnali di un forte avanzamento da parte della Cina.
Jack Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale americana, ha difeso e spiegato la scelta di proteggere le tecnologie americane e i cosiddetti “colli di bottiglia” che ne limitano la diffusione: «I colli di bottiglia per le tecnologie fondamentali devono restare all’interno del nostro “giardino” e lo steccato che li difende deve essere alto, perché i concorrenti non devono poter sfruttare tecnologie dell’America e dei suoi alleati per mettere a rischio la sicurezza dell’America e dei suoi alleati».
Negli Stati Uniti le misure anti-cinesi sono uno dei pochi argomenti a essere rimasti quasi completamente sostenuti sia dai Democratici sia dai Repubblicani. Alcuni esponenti Repubblicani hanno piuttosto avanzato la richiesta di misure ancora più rigide, ma in generale gli esperti sottolineano come la Cina abbia ottenuto un avanzamento tecnologico consistente negli ultimi decenni grazie a politiche che comprendevano furto di proprietà intellettuale, sussidi statali nascosti e protezionismo mascherato.
Il divieto di esportazione danneggerà anche alcune aziende americane del settore, ma costituirà un problema al momento di difficile soluzione per quelle di Pechino. Le tecnologie americane sono ancora dominanti nel settore dei microchip, ed è probabile che la Cina si troverà di fronte a un rallentamento o a un blocco del proprio settore tecnologico più avanzato.