Che cos’è la “sovranità alimentare”
Un concetto che almeno teoricamente ha molto poco a che fare col sovranismo politico di molti partiti conservatori
Annunciando la formazione del nuovo governo, la presidente del Consiglio incaricata Giorgia Meloni ha comunicato il cambio di denominazione di alcuni ministeri. Tra questi ha attirato particolare attenzione il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, quello che finora si chiamava ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, assegnato a Francesco Lollobrigida: il concetto di «sovranità» è stato infatti associato da molti a quello di sovranismo politico, caratteristico dell’ideologia fortemente conservatrice di Giorgia Meloni e della sua coalizione di destra.
In realtà il concetto di sovranità alimentare non è né un’invenzione di Meloni né un concetto – almeno sul piano teorico – assimilabile al sovranismo politico.
La nuova denominazione del ministero dell’Agricoltura ricalca quella scelta dal governo francese, proprio quest’anno, per lo stesso ministero, che ora si chiama “ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire”. In secondo luogo, il concetto di sovranità alimentare esiste da almeno 25 anni e si può dire che indichi, semplificando molto, un modello di gestione delle risorse alimentari basato sulla sostenibilità e su principi di giustizia sociale e autodeterminazione anziché su una mercificazione del cibo basata unicamente sulla massimizzazione del profitto.
Il concetto di «sovranità alimentare» fu coniato per la prima volta nel 1996 da Via Campesina, un’organizzazione internazionale non governativa composta da decine di piccole e medie organizzazioni di contadini, donne provenienti da aree rurali e da comunità indigene di oltre 80 paesi. Fondata nel 1993, Via Campesina si impegna per un’agricoltura sostenibile, non basata sullo sfruttamento dei territori e delle persone e non dominata da grandi imprese multinazionali interessate unicamente ad utilizzare le risorse alimentari come mezzo per accrescere i propri profitti.
Nel corso degli anni il concetto di «sovranità alimentare» è stato ripreso e diffuso da molte altre organizzazioni, tra cui le Nazioni Unite. Non esiste una definizione unanime o trasversalmente condivisa di questo concetto, ma per capire cosa significa può essere utile riferirsi alla definizione data dall’organizzazione non governativa canadese Food Secure Canada, riportata anche dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).
Secondo questa definizione la sovranità alimentare è un modello di gestione delle risorse alimentari che ha come priorità e motore delle proprie politiche non la massimizzazione del profitto economico ma la soddisfazione delle esigenze alimentari delle persone; che promuove un tipo di produzione alimentare sostenibile e rispettosa del lavoro di chi produce il cibo; che punta a incoraggiare le economie alimentari locali, riducendo la distanza tra fornitori e consumatori, lo spreco e la dipendenza da società distanti dai luoghi in cui il cibo viene prodotto. In altre parole, la sovranità alimentare si propone di dare il controllo delle risorse alimentari soprattutto a chi le produce, le distribuisce e le consuma anziché a grandi aziende che le utilizzano come mezzo per arricchirsi.
La sovranità alimentare punta infine a valorizzare le conoscenze tradizionali sulla produzione delle risorse alimentari e la loro trasmissione di generazione in generazione, e promuove l’utilizzo di metodi e mezzi di gestione delle risorse alimentari che siano sostenibili dal punto di vista ambientale.
Come spiegato su Domani dallo scrittore e attivista ambientalista Fabio Ciconte, per come viene ostentato e difeso da Meloni il concetto di sovranità alimentare finisce per essere molto diverso da tutto questo: Meloni, scrive Ciconte, ha svuotato questo concetto di senso «per declinarlo in chiave conservatrice e antiecologica». L’idea è che insistere sulla sovranità alimentare serva più che altro a concentrare la produzione di risorse a livello nazionale, anche a discapito dell’adozione di mezzi e sistemi di produzione sostenibili dal punto di vista ambientale: «si scrive sovranità, si legge sovranismo», scrive Ciconte.
Un tratto che accomuna diversi partiti populisti di destra ed estrema destra europei è infatti un’opposizione alla globalizzazione economica e ad alcune sue conseguenze che nel tempo ha portato a forme più o meno aggressive di nazionalismo e, appunto, di sovranismo.