L’ultimo Mondiale della Ferrari, 15 anni fa
Quello di Kimi Raikkonen, ma anche dello spionaggio tra scuderie, di Nigel Stepney e del fertilizzante trovato nei serbatoi
di Pietro Cabrio
Il 21 ottobre 2007 il pilota finlandese Kimi Raikkonen, ingaggiato dalla Ferrari soltanto un anno prima per sostituire Michael Schumacher, arrivò primo nel Gran Premio del Brasile di Formula 1 a Interlagos. Anche grazie al settimo posto di un giovane Lewis Hamilton e al terzo posto dell’altro pilota della McLaren, il campione del mondo in carica Fernando Alonso, Raikkonen vinse quel Mondiale con un solo punto di vantaggio.
Il pilota finlandese potè festeggiare normalmente, a modo suo, il suo primo e unico titolo mondiale in carriera, che rimane anche l’ultimo vinto dalla Ferrari. Ma l’ordine di arrivo della gara corsa in Brasile fu in realtà confermato soltanto alcune ore dopo, a causa delle irregolarità riscontrate nelle temperature dei carburanti di BMW e Williams. Dato che tre piloti di queste scuderie avevano concluso la gara davanti a Hamilton, eventuali penalizzazioni sarebbero bastate per togliere il titolo a Raikkonen. Alla fine non accadde niente di tutto ciò, allora come oggi fra tante polemiche.
L’esito del Gran Premio del Brasile fu soltanto l’ultimo atto di un Mondiale tormentato, segnato da un’accesa rivalità tra Ferrari e McLaren e da un controverso caso di spionaggio che venne scoperto a stagione in corso, anche in seguito a un clamoroso tentativo di sabotaggio ai danni della Ferrari.
In quel Mondiale a lungo combattuto la Ferrari vinse 9 gare su 17. La scuderia italiana non vinceva un titolo piloti dal 2004 ma le condizioni per il 2007 si erano rivelate più favorevoli delle stagioni passate, quelle vinte dalla Renault con Alonso. Se lo sviluppo dei motori era stato bloccato dall’anno precedente, il passaggio a un unico fornitore di pneumatici per tutte le scuderie aveva dato qualche vantaggio in più alla Ferrari, l’unica tra le grandi squadre del campionato ad avere familiarità con Bridgestone, il nuovo fornitore.
Anche grazie all’introduzione di miglioramenti all’aerodinamica e alla stabilità delle sue auto, la Ferrari esordì in Australia ottenendo pole position e vittoria con giro veloce. Vinse tre dei primi quattro Gran Premi, due dei quali con il brasiliano Felipe Massa. Ma proprio in quelle gare la Ferrari finì sotto indagine: dopo l’Australia, la McLaren aveva infatti segnalato alcune possibili irregolarità in fase di progettazione. Le indagini si conclusero senza penalità per la Ferrari, che fu però costretta a modificare un sistema di zavorre mobili introdotto per migliorare la stabilità, fin lì non regolamentato.
La Ferrari perse così un piccolo vantaggio tecnico ma soprattutto si convinse che qualcuno all’interno della sua organizzazione aveva fatto trapelare informazioni riservate, dato che quel sistema di zavorre, nascosto all’interno delle monoposto, non poteva essere individuato senza essere a conoscenza dei progetti.
Il caso scoppiò definitivamente alla vigilia del Gran Premio di Montecarlo, quinta gara della stagione. In fase di ispezione delle monoposto, Francesco Uguzzoni, uno dei meccanici della Ferrari, si accorse che attorno ai bocchettoni della benzina delle due auto pronte per essere usate a Monaco c’erano dei residui di polvere che non dovevano essere lì. Le auto vennero quindi smontate e all’interno dei serbatoi fu trovato del fertilizzante in polvere a base di fosforo, sostanza che avrebbe alterato il carburante e che sarebbe stata rilevata dai controlli dei giudici di gara, con possibili sanzioni o danneggiamenti alle vetture.
La Ferrari, che aveva già avviato indagini per conto suo, fece denuncia alla giustizia ordinaria. Avendo già dei sospetti, fece esaminare l’armadietto del tecnico inglese Nigel Stepney, sui cui indumenti da lavoro vennero trovate tracce di fosforo. Furono ispezionate poi le sue comunicazioni e i dispositivi dati in dotazione, e in questo modo si scoprì che Stepney non solo aveva tentato il sabotaggio, ma anche inviato i progetti delle auto — oltre 700 pagine — al progettista inglese Mike Coughlan, suo amico e dipendente della McLaren.
Stepney aveva lavorato a lungo in Formula 1 ed era in Ferrari dagli anni Novanta. Nel tempo era arrivato a ricoprire l’incarico di capo meccanico, secondo soltanto al direttore tecnico Ross Brawn e al direttore generale Jean Todt. Nel 2006, però, Brawn aveva lasciato la Ferrari e Stepney, di fatto il suo secondo, si aspettava presumibilmente di succedergli o di vedere migliorata la sua posizione. Ma non fu così, perché la Ferrari aveva già altri piani: divise infatti la direzione tecnica da quella sportiva, affidandole a Stefano Domenicali — attuale amministratore delegato della Formula 1 — e all’ingegnere Mario Almondo.
Stepney non aveva nascosto la sua insoddisfazione per la scelta e, dopo averne parlato anche alla stampa inglese, la Ferrari lo demansionò a un ruolo di fabbrica. Fu così che, nel tentativo di cercare incarichi altrove, e forse anche con un po’ di risentimento nei confronti della Ferrari, Stepney iniziò a passare documenti riservati a Coughlan. Non si sono invece mai capiti i motivi che lo spinsero al sabotaggio.
La McLaren finì quindi sotto inchiesta, penale e sportiva, così come Stepney, che nel frattempo aveva lasciato l’Italia denunciando tra le altre cose di essere stato spiato e pedinato. Si difese dicendo di avere avuto libero accesso a quei documenti, e di non sapere come fossero finiti in possesso di Coughlan.
Nelle successive udienze la McLaren si difese sostenendo che i documenti trafugati dalla Ferrari non erano andati oltre a Coughlan, e che nei suoi progetti non erano riscontrabili similitudini con quelli della Ferrari, se non per le parti più visibili e quindi non incriminabili. Con questa posizione, e in assenza di prove che evidenziassero qualsiasi forma di plagio, la McLaren fu riconosciuta colpevole soltanto di possesso di informazioni riservate altrui, e quindi non punita.
Nel frattempo il Mondiale proseguì con una netta ripresa della McLaren e con la Ferrari che si limitava a tenere il passo. Nella squadra inglese, apparentemente più competitiva, si creò però un’accesa rivalità tra i due piloti: Alonso, due volte campione del mondo, nel pieno della carriera, e Hamilton, al primo anno in Formula 1 ma già molto competitivo e soprattutto ritenuto il “protetto” di Ron Dennis, team principal della McLaren che ne aveva sponsorizzato la carriera fin dai campionati minori.
Oltre ad aver avuto un impatto influente nell’esito del Mondiale, questa rivalità interna contribuì a minare la posizione tenuta inizialmente dalla McLaren nel caso di spionaggio. Dopo il Gran Premio d’Ungheria del 5 agosto, in cui alla scuderia erano stati tolti tutti i punti nella classifica costruttori per le condotte di Alonso e Hamilton ai box durante le qualifiche, Alonso rivelò a Dennis di essere venuto a conoscenza dai dipendenti della McLaren di alcune informazioni trapelate dalla Ferrari.
Per non incorrere in danni ancora più grossi, Dennis informò di questo la FIA (la Federazione Internazionale dell’Automobile, che organizza e regolamenta il Mondiale di Formula 1), la quale accolse il ricorso della Ferrari contro la precedente sentenza.
I piloti della McLaren, in particolare Alonso e il collaudatore Pedro de la Rosa, iniziarono a collaborare con la FIA per evitare sanzioni individuali. Dalle mail che fornirono alle indagini risultò inequivocabile che all’interno della scuderia c’era stata la diffusione delle informazioni riservate trafugate dalla Ferrari. Si ipotizzò inoltre un possibile utilizzo di suggerimenti rivelati da Stepney, come la composizione della miscela di gas usata dalla Ferrari per gonfiare le gomme.
Alla luce di quanto emerso, la FIA andò oltre l’appello della Ferrari riunendo l’intero consiglio dell’automobilismo, alla presenza delle due scuderie. La posizione della McLaren, divenuta indifendibile, portò a una multa di 100 milioni di dollari, all’azzeramento di tutti i punti ottenuti nel campionato costruttori e successivamente alla radiazione dalla Formula 1 di Stepney e Coughlan. La collaborazione dei piloti evitò invece stravolgimenti in classifica e il Mondiale rimase così in bilico fino all’ultimo.
Il 29 settembre 2010 Stepney fu ritenuto colpevole dei reati di sabotaggio, spionaggio industriale e frode sportiva. Patteggiò 1 anno e 8 mesi di reclusione con pena sospesa. Nel 2014 rimase ucciso in un incidente stradale ad Ashford, nel Regno Unito. Ancora oggi rimangono dei dubbi se si sia trattato di un incidente o di suicidio, dato che Stepney fu investito da un autoarticolato nel mezzo di una carreggiata autostradale, dopo aver parcheggiato la sua auto a bordo strada.
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