Gli account che monitorano i jet privati hanno sempre più influenza
Hanno messo in difficoltà Elon Musk e spinto Bernard Arnault a vendere il suo, rinvigorendo le richieste ambientaliste di limitarli o vietarli
Lo scorso 30 aprile l’aereo privato dell’imprenditore americano Elon Musk è decollato da San Francisco, in California, atterrando a San Jose, a poco meno di 80 chilometri di distanza, dopo un volo durato appena nove minuti. Per episodi come questo, da qualche mese è in corso una polemica che coinvolge persone pubbliche particolarmente abbienti, accusate di abusare dei jet privati per coprire tratte brevi causando un forte impatto ambientale. La questione ha riguardato anche la cantante Taylor Swift, i cui voli nel 2022 avrebbero avuto una durata media di ottanta minuti, per un totale di 8.293 tonnellate di CO2 emesse.
Anche per questo, alcuni movimenti e partiti politici hanno chiesto che la politica limiti o vieti del tutto gli aerei privati. La maggior parte dell’attenzione mediatica attorno al problema può essere fatta risalire al successo dei profili Twitter che pubblicano aggiornamenti automatici sui decolli e gli atterraggi dei jet di alcuni personaggi famosi. Per quanto riguarda gli spostamenti di Musk, ad esempio, c’è @ElonJet, i cui frequenti post dimostrano quanto l’imprenditore sia abituato a muoversi in aereo anche per le distanze più piccole, nonostante sia a capo di Tesla, azienda che ha fatto della battaglia alle emissioni la propria missione.
Altri profili simili si concentrano sui voli di celebrità statunitensi (@CelebJets) e di oligarchi russi (@RUOligarchJets). Ad averli creati e programmati è sempre la stessa persona, il diciannovenne statunitense Jack Sweeney, amante dell’aviazione e di Tesla stessa, che utilizza per i suoi profili i dati della ADS-B Exchange, un’agenzia specializzata nel tracciamento dei velivoli commerciali e privati. I suoi account funzionano quindi come dei bot, un tipo di profilo automatizzato, programmato per pubblicare tweet ogni qualvolta sono disponibili nuovi dati su un determinato aereo, che viene tracciato grazie a un codice unico che lo identifica.
A inizio anno, lo stesso Musk ha contattato Sweeney via messaggio privato su Twitter chiedendogli di chiudere il profilo @ElonJet, che ha definito un rischio per la sua sicurezza: «Non mi piace l’idea di essere abbattuto da qualche pazzo». Il giovane ha risposto chiedendo prima cinquemila, poi cinquantamila dollari in cambio della chiusura del profilo, precisando che la somma l’avrebbe aiutato a pagare il college e «a comprarmi una macchina, magari una Model 3», una delle vetture di Tesla. Musk ha prima preso in considerazione l’offerta per poi rifiutarla, dicendo che non gli sembrava giusto dover pagare per la chiusura del bot.
– Leggi anche: Quanto inquinano i jet privati delle celebrità?
In un’intervista al sito Insider, il giovane ha spiegato che l’intento originario di @ElonJet non era di denunciare l’utilizzo sfrenato di mezzi tanto inquinanti, quanto sapere «dove sta andando e cose del genere». Quanto agli altri suoi profili dello stesso tipo, ha spiegato, sono stati creati e aggiunti soprattutto su richiesta dei suoi follower.
Nonostante l’origine ingenua del progetto, account come il suo stanno avendo un forte impatto politico e culturale sia nel pubblico che tra persone famose o molto ricche, che si sono ritrovate al centro di una conversazione piuttosto critica nei loro confronti. A rendere le rivelazioni di questi bot problematiche è soprattutto il contrasto tra le emissioni provocate da questi voli e le posizioni spesso ecologiste di molte aziende. L’accusa principale è quella di «greenwashing», l’utilizzo delle tematiche ambientaliste per migliorare l’immagine pubblica di un marchio o una personalità.
In Italia è stato aperto negli scorsi mesi l’account @jetdeiricchi, che pubblica analisi simili sugli spostamenti sui jet privati di varie persone famose italiane, come Matteo Renzi, i Maneskin o Fedez, che peraltro se ne è lamentato sostenendo di essere lui stesso a favore di una maggiore tassazione di questi voli.
Altrove comunque queste polemiche stanno avendo anche degli effetti concreti. Questa settimana Bernard Arnault, l’amministratore delegato del gruppo LVMH, che comprende molti marchi di moda e lusso, tra cui Louis Vuitton, ha annunciato di voler vendere il proprio aereo privato: «Così nessuno può vedere dove vado perché adesso quando ho bisogno di un aereo lo noleggio», ha spiegato. Il caso di Arnault, che è uno degli uomini più ricchi al mondo, aveva fatto particolarmente discutere in Francia, dove il governo ha proposto un bando agli aerei privati, posizione che è stata riproposta anche in Italia durante l’ultima campagna elettorale, con un’idea simile presentata dall’alleanza di Sinistra Italiana e Europa Verde.
A tracciare e rendere pubblici i movimenti di Arnault sono profili palesemente ispirati a quelli di Sweeney, come I Fly Bernard e laviondebernard: quest’ultimo, lo scorso settembre, aveva notato che l’aereo del gruppo LVMH non era più immatricolato in Francia (è lo stesso che sarebbe stato venduto il mese successivo). In questi casi, però, l’intento è fortemente politico, come dimostra la bio scelta dal primo profilo, che cita una statistica di Greenpeace secondo cui cinquanta miliardari francesi sarebbero responsabili della stessa quantità di anidride carbonica emessa in un anno dal 50% della popolazione del Paese.
È un dato in linea con quello riportato dall’associazione senza scopo di lucro Oxfam, che nel 2020 aveva pubblicato un rapporto che stimava che l’1% più ricco della popolazione mondiale avesse lo stesso impatto ambientale della metà più povera della popolazione mondiale.
Non è un caso che la questione dei jet privati abbia fatto breccia in particolar modo in Francia: da tempo, infatti, nel paese si discute dell’enorme numero di voli privati nei suoi cieli. Secondo Bloomberg, nel 2019, un decollo su dieci registrato in tutto il paese era riconducibile a un mezzo privato: «In appena quattro ore, questi aerei di proprietà generano la stessa quantità di diossido di carbonio che una persona europea media produce in un intero anno».
La recente mossa di Arnault ha dimostrato il peso che questi profili – e il caso mediatico che hanno provocato – sembrano avere anche tra i più ricchi del mondo. Al tempo stesso, però, mostra anche quanto sia facile eludere il controllo di bot simili, affidandosi semplicemente a mezzi a noleggio non riconducibili a una persona sola.
Ci sono diverse stime su quale quota delle emissioni di gas serra vada attribuita al trasporto aereo, così come a tutti gli altri settori in cui si dividono le attività umane, ma dovrebbe essere all’incirca tra il 2 e il 3 per cento del totale. E secondo uno studio pubblicato nel 2020 sulla rivista scientifica Global Environmental Change, ai voli privati si doveva il 4 per cento di tutte le emissioni causate dal traffico aereo nel 2018. Da allora peraltro, anche a causa della pandemia, l’uso dei jet privati è aumentato. Al cambiamento climatico contribuiscono talmente tante fonti di emissioni che può essere difficile valutare il peso di quelle dei jet privati.
Se però si considerano le emissioni pro capite, è evidente che i proprietari di questi mezzi di trasporto hanno un ruolo molto maggiore delle altre persone. Uno studio di Transport & Environment (T&E), una federazione di ong europee che si occupa di mobilità sostenibile, dice che in un’ora un jet può produrre 2 tonnellate di anidride carbonica: per confronto, in un anno intero una persona media che vive nell’Unione Europea – e che quindi contribuisce individualmente al cambiamento climatico molto di più di chi invece vive in Asia o in Africa – è responsabile dell’emissione di 8 tonnellate di “CO2 equivalente”, un’unità di misura che si usa per tenere conto del fatto che non tutti i gas serra contribuiscono allo stesso modo al riscaldamento globale.