In Ciad le forze dell’ordine hanno ucciso almeno 60 manifestanti antigovernativi
Le proteste sono cominciate quando le elezioni promesse dalla dittatura militare sono state posticipate di due anni
Giovedì le forze dell’ordine del Ciad hanno sparato su centinaia di manifestanti che protestavano contro la dittatura militare che governa il paese centroafricano, uccidendo almeno sessanta persone. Le proteste si sono svolte soprattutto nelle due più grandi città del Ciad, N’Djamena e Moundou, nonostante un divieto del governo, ed erano state organizzate nella data del 20 ottobre perché era il giorno in cui la dittatura militare guidata dal presidente ad interim Mahamat Déby Itno aveva promesso che avrebbe avviato un processo di democratizzazione del paese. Itno però ha annunciato di recente che non intende cedere il potere, e questa è stata la causa scatenante delle proteste.
L’attuale leader del Ciad Mahamat Déby Itno fu arbitrariamente dichiarato capo di stato nel 2021, dopo che suo padre, Idriss Déby, morì all’improvviso in circostanze sospette. Idriss Déby era presidente del paese dal 1990 ed era appena stato riconfermato presidente con quasi l’80 per cento dei voti, in elezioni non libere. Il figlio Mahamat ne ha preso il posto su volontà dell’esercito, ignorando la linea di successione indicata dalla costituzione ciadiana in queste circostanze, e da allora guida un consiglio militare di transizione.
Nel 2021, l’opposizione denunciò la sua presa di potere, definendola un colpo di stato, ma accettò Déby Itno come leader ad interim a patto che organizzasse nuove elezioni entro 18 mesi. Questo non è accaduto: il 1° ottobre, un forum nazionale indetto da Déby Itno ha posticipato le elezioni all’ottobre 2024, garantendo altri due anni di potere ai militari. Il forum ha anche nominato Déby Itno “presidente di transizione” e ha dichiarato che potrebbe essere un candidato alle elezioni del 2024. Déby Itno ha prestato giuramento il 10 ottobre e successivamente ha nominato un “governo di unione nazionale” guidato dal primo ministro Saleh Kebzabo.
Queste decisioni hanno suscitato forti proteste antigovernative, represse duramente dalle forze dell’ordine. Secondo alcune testimonianze raccolte da Associated Press giovedì, nella capitale N’Djamena i manifestanti hanno cominciato a suonare dei fischietti alle 3 del mattino. Diverse strade sono state bloccate da barricate e pneumatici in fiamme. Man mano che il numero di manifestanti è cresciuto, la polizia ha cominciato prima a gettare gas lacrimogeno, poi a sparare sui manifestanti.
Il primo ministro Kebzabo, in una conferenza stampa, ha confermato che le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 60 persone, ma ha detto che si è trattato di autodifesa: «Quello che è successo oggi è una rivolta popolare armata per prendere il potere con la forza e i responsabili di questa violenza devono affrontare la giustizia. I manifestanti erano armati, e vanno considerati ribelli», ha detto.
Secondo gli organizzatori della protesta, i morti sarebbero almeno dieci in più, e i feriti centinaia. Tra le vittime c’è anche una giornalista ciadiana, Narcisse Oredje. Al momento però nessuna fonte indipendente ha confermato il numero effettivo di morti.
Quelle di giovedì non sono le prime proteste antigovernative che vengono violentemente represse da quando Déby Itno è al governo, ma sono quelle che hanno provocato più morti e feriti finora. A maggio, una protesta contro il sostegno francese al governo di transizione è stata a sua volta repressa con dei cannoni ad acqua dalle forze dell’ordine.
La Francia, che ha colonizzato il Ciad per sessant’anni tra il 1900 e il 1960, ha a lungo considerato il paese un alleato centrale nella sua campagna contro il jihadismo nella regione. Questa volta, però, il ministero degli Esteri francese ha condannato le violenze governative: «La Francia non ha alcun ruolo in questi eventi, che rientrano strettamente nell’ambito della politica interna del Ciad».
Il Ciad non è l’unico paese instabile nella regione subsahariana del Sahel, colpita da una forte radicalizzazione verso l’estremismo islamico e da una situazione endemica di povertà e disuguaglianze. Negli ultimi due anni ci sono stati diversi colpi di stato, riusciti o sventati. Il più recente è stato in Burkina Faso – che si trova un migliaio di chilometri a est, dopo il Niger – a inizio ottobre.
Enrica Picco, direttrice dell’International Crisis Group per l’Africa centrale, ha detto che «stiamo vedendo la giunta militare tenere saldamente il potere in Ciad. Per il momento, la società civile e l’opposizione non hanno realmente la capacità di rovesciarle. Vedremo sempre più repressione, e questo alla fine potrebbe portare alla destabilizzazione».