Il Garante della privacy ha avviato un’istruttoria sull’uso dei cosiddetti “cookie wall” nei giornali online e sui siti web
Il Garante della privacy non ha escluso «in linea di principio» la legittimità dell’uso dei cosiddetti “cookie wall” nei giornali online e più ampiamente sui siti Internet, ma ha avviato un’istruttoria – cioè una raccolta preliminare di informazioni per verificare se ci siano state o meno violazioni della privacy – sulla pratica. In una nota diffusa sul suo sito, si legge che il provvedimento è stato preso per accertare la conformità con le normative europee delle iniziative adottate in questi giorni da varie testate giornalistiche online, siti web e aziende attive su Internet rispetto al loro utilizzo.
Semplificando, i “cookie” sono piccole parti di codice che vengono conservate sul browser di un utente e che vengono utilizzate per diversi scopi, tra cui quello di ricostruire le attività online di quell’utente per mostrargli di conseguenza annunci pubblicitari personalizzati e – almeno teoricamente – basati sui suoi gusti. Il meccanismo del cosiddetto “cookie wall” invece funziona come una barriera che impedisce l’accesso a un sito se non viene dato il consenso ai cookie.
La decisione del Garante della privacy deriva dal fatto che di recente molti giornali, tra cui quelli del gruppo GEDI (che pubblica per esempio Repubblica e La Stampa) hanno aggiornato le condizioni per accedere ai contenuti dei loro siti: chi entra in un articolo o nell’homepage di questi giornali adesso trova un banner che costringe a scegliere tra l’accettazione degli stessi cookie e la sottoscrizione di un abbonamento. Significa insomma che non si possono più leggere gli articoli di quei giornali gratuitamente se non si dà il consenso all’utilizzo dei propri dati personali per finalità promozionali; l’alternativa è leggerli pagando un abbonamento.
Alcuni esperti ritengono che questo utilizzo dei “cookie di terze parti” vìoli le norme sulla privacy degli utenti, ma ci sono anche interpretazioni diverse che lo ritengono accettabile. Sulla questione, nei singoli paesi l’interpretazione della normativa europea varia in maniera anche piuttosto notevole: in Italia si attende ancora un’indicazione definitiva da parte delle autorità.
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