In Somalia decine di migliaia di bambini rischiano di morire di fame
La siccità va avanti da quasi due anni e il paese è vicino allo stato di carestia: durante l'ultima, nel 2011, ci furono 260mila morti
«Oggi in Somalia c’è un bambino che entra in una struttura sanitaria per problemi di grave denutrizione per ogni minuto di ogni giorno. In tutto il mese di agosto sono stati 44mila i bambini ricoverati per questo». Lo ha fatto sapere martedì James Elder, portavoce del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF), durante una conferenza stampa sull’attuale gravissima situazione che sta riguardando una buona parte del paese africano.
In Somalia ci sono ogni anno due stagioni delle piogge: una tra metà marzo e maggio, e una più breve tra ottobre e novembre. Dalla fine del 2020 tutte le stagioni delle piogge che si sono succedute (quattro finora) sono state siccitose e secondo le previsioni anche quella teoricamente in corso non sarà da meno. È la più lunga siccità degli ultimi quarant’anni.
Ma non è il solo problema della Somalia, che è il quinto paese più povero del mondo. Dal 1986 è in corso una guerra civile tra gruppi locali, che ha avuto diverse evoluzioni e che negli ultimi anni si è combattuta in particolare tra il gruppo terroristico al Shabaab, che è affiliato ad al Qaida, e il governo centrale. Per questo c’è instabilità politica, economica e molta violenza. L’aspettativa di vita di chi vive in Somalia è la sesta più bassa al mondo.
Ora c’è il rischio concreto che nei prossimi mesi alcune parti del paese si trovino ufficialmente in condizione di “carestia”, che secondo i criteri della Classificazione integrata della fase di sicurezza alimentare (IPC), quella riconosciuta dalla comunità internazionale, si verifica quando in una data regione almeno il 20 per cento della popolazione ha problemi a trovare da mangiare, circa 1 bambino su 3 ha gravi problemi di denutrizione e ogni giorno ci sono almeno 2 morti ogni 10mila abitanti a causa della denutrizione stessa o per problemi correlati.
I bambini molto piccoli sono tra le persone più in pericolo in queste condizioni, e le statistiche citate da Elder potrebbero essere riduttive rispetto al reale problema di denutrizione, visto che non tutte le famiglie riescono a portarli in una struttura sanitaria per tempo.
Secondo le previsioni dell’IPC pubblicate a metà settembre, tra ottobre e novembre alcune regioni nel sud della Somalia potrebbero trovarsi nella condizione di carestia: la regione di Baidoa e quella di Bur Acaba.
L’ultima volta che la Somalia si trovò in condizioni di carestia fu nel 2011, quando 260mila persone, per la metà bambini con meno di 5 anni, morirono a causa della scarsità di cibo. È stata la peggiore carestia di questo secolo finora. Il fatto che non si siano ancora raggiunti i criteri per dichiararla in via ufficiale non significa che la situazione non sia grave: quando venne dichiarata nel 2011 era già morta circa la metà delle persone conteggiate nel dato complessivo sulle vittime.
Elder ha detto che questa volta le cose potrebbero anche andare peggio: «Nel 2011, dopo tre stagioni delle piogge senza pioggia, la popolazione che viveva nelle zone colpite dalla siccità era la metà di quella che vive nelle aree colpite dalla siccità attuale. Peraltro all’epoca sia i raccolti che le precipitazioni erano in via di miglioramento». Per questo l’UNICEF teme che possa morire per la denutrizione un numero di bambini «in un ordine di grandezza mai visto negli ultimi cinquant’anni».
Attualmente le persone che vivono nelle zone colpite dalla prolungata siccità sono 7,8 milioni, cioè la metà della popolazione dell’intera Somalia. Quelle a rischio di subire gli effetti della carestia sono 213mila secondo le stime delle Nazioni Unite.
Anche gli altri paesi del Corno d’Africa – Eritrea, Etiopia e Gibuti – stanno affrontando una lunga siccità, ma la Somalia è quello più colpito per via delle sue numerose vulnerabilità economiche, politiche e di sicurezza. Circa l’80 per cento del cibo consumato in Somalia è importato e la crisi mondiale dei commerci aggravata dalle conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina ha fatto salire tantissimo i prezzi dei prodotti alimentari, oltre quelli del 2011.
L’aumento dei prezzi del cibo ha reso più difficili anche gli aiuti umanitari, perché anche per le ong che se ne occupano il cibo costa di più. A questo si aggiungono i problemi che le organizzazioni devono affrontare per raggiungere le persone che hanno bisogno e che vivono in zone particolarmente poco sicure, come quelle controllate da al Shabaab: dato che i rischi per andarci sono maggiori, sono maggiori le risorse economiche necessarie per farlo. E le ong rischiano anche di finire nei guai con gli Stati Uniti, perché se i loro aiuti finiscono nelle mani del gruppo terroristico possono essere accusati di averlo sostenuto secondo le leggi antiterrorismo.
Per questo molti gruppi umanitari, a partire dall’UNICEF, stanno cercando di ottenere maggiore attenzione sui problemi della Somalia, per ottenere finanziamenti e cercare di limitare i danni della probabile imminente carestia.