Quando parliamo dei problemi legati alle droghe parliamo delle cose sbagliate
Lo spiega Vanessa Roghi nel libro "Eroina", in cui racconta la storia di questa sostanza in Italia tra casi giudiziari e vicende politiche
I problemi sociali e sanitari legati al consumo di alcune droghe illegali che creano dipendenza sono una questione nota da più di un secolo, e su cui tuttavia si discute spesso in modo riduttivo, restando legati a slogan politici che spesso riguardano altre cose, come il decoro delle città o certi valori morali. Succede anche perché la storia delle sostanze psicoattive, delle politiche portate avanti per gestirle, dei casi giudiziari in cui sono state coinvolte e in generale dell’evoluzione dei nostri approcci nei loro confronti non è molto nota.
Per cercare di migliorare il dibattito su questo tema, sempre attuale perché le persone non hanno mai smesso di usare le droghe, al contrario ne hanno sempre di più a disposizione, la storica Vanessa Roghi ha ricostruito la storia italiana della sostanza tuttora considerata la più pericolosa in un libro appena uscito: Eroina. Partendo dall’incontro con una donna che ha iniziato a fumare l’eroina a 13 anni nel 2002, e che poi ha avuto diverse esperienze in comunità terapeutiche e carceri, questo saggio racconta come mai certi problemi non sono mai stati risolti. Ne pubblichiamo un estratto.
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Desirée Mariottini è stata trovata morta la mattina del 19 ottobre 2018 nel quartiere romano di San Lorenzo. «Secondo la ricostruzione della procura, quando morì, la ragazza frequentava lo stabile abbandonato in Via dei Lucani da quasi due settimane: lì si procurava sostanze stupefacenti e le consumava. Andava e veniva da quel posto, dove la notte del 19 ottobre è deceduta dopo aver assunto un mix di droghe e psicofarmaci. Quando si è sentita male, nessuno ha chiamato il 118 e la giovane, ridotta all’incoscienza, è stata violentata. Desirée non si è opposta in alcun modo: non
poteva farlo perché non era in sé, non si reggeva in piedi mentre gli aggressori, senza nessuna pietà le erano addosso. Dopo gli abusi l’hanno abbandonata a terra, tremante, si sono allontanati e l’hanno lasciata morire.»
Il giorno dopo la sua morte sono stati individuati i responsabili: degli immigrati irregolari di origini senegalesi che le avrebbero dato eroina, metadone e altre sostanze legali e illegali, e l’avrebbero stuprata. Dopo due anni di processo gli imputati sono stati condannati a due ergastoli e altre due condanne a 27 anni e 24 anni e mezzo, mentre uno di loro è tornato libero per scadenza dei termini di custodia cautelare.
La morte di Desirée, che oggi a malapena ricordiamo, è diventata una vera e propria questione di Stato quando l’allora ministro dell’Interno, il leghista Matteo Salvini, ha deciso di andare a San Lorenzo per deporre un fiore là dove era morta la ragazza. Non l’aveva fatto per nessun’altra donna uccisa, neppure prima della sua elezione. I giornali, dal canto loro, hanno iniziato a ricostruire le cause «inevitabili» della morte di Desirée, a tracciare un profilo di predestinata. La campagna mediatica ha cavalcato l’indignazione generale diffusa da un clima fortemente ostile nei confronti dei migranti, come era successo qualche mese prima quando a Macerata era morta un’altra giovane donna, Pamela Mastropietro, in una situazione analoga. Dipendenza da sostanze
come eroina e farmaci, immigrati irregolari, una morte terribile.
I due casi, tuttavia, non hanno riaperto la riflessione pubblica sulle droghe, lo spaccio, la marginalità sociale che ha prodotto i delitti. Penso a quanto ha scritto in un libro recente riferito ai margini d’Italia lo storico inglese David Forgacs: «Nessun luogo è mai intrinsecamente marginale, periferico o remoto. Un luogo e i suoi abitanti sono sempre marginali, periferici o remoti in relazione a qualche centro situato altrove. Quando si richiama l’attenzione sulla loro marginalità, su ciò che manca rispetto a quel centro collocato altrove, si rischia, spesso inconsapevolmente, di ridurre l’attenzione da prestare al modo in cui funzionano al loro interno come comunità, agli individui che costituiscono tale comunità e al modo in cui essi vedono sé stessi e il mondo, insomma, alla loro soggettività». Ecco, la morte di Desirée non è servita a niente, né a ragionare di questa soggettività, né a mettere in crisi la nostra idea di margine, visto che la ragazza è morta al centro e non in periferia.
In pochi si sono chiesti come fosse stato possibile che una ragazza di 16 anni potesse morire così nel cuore di Roma, nel quartiere studentesco più popoloso d’Europa. In una via al centro di polemiche urbanistiche da anni, in uno stabile in abbandono, nel quartiere dove l’illegalità è stata spesso denunciata da inchieste giornalistiche ma dove alla fine si colpiscono soltanto iniziative a carattere spiccatamente sociale come il Cinema Palazzo occupato o il centro per la riduzione del danno a Scalo di San Lorenzo, chiuso dal 2012 dalla giunta di destra di Gianni Alemanno e mai più riaperto.
Invece di cercare di capire la dinamica degli eventi, le ragioni di questa morte, si è combattuta una battaglia ideologica e due narrazioni si sono contrapposte: quella securitaria e razzista da un lato, quella contro la violenza sulle donne dall’altro. In tutti e due i casi Desirée è diventata il simbolo di qualcosa. Ma lei, con la sua storia, è scomparsa, uccisa un’altra volta, negata nel suo essere corpo, nella sua vita di ragazza, figlia, amica, nipote cresciuta nell’Italia degli anni Dieci del nuovo millennio. Nella sua vita Desirée non ha interessato nessun giornalista, nessun ricercatore, nessun uomo politico quasi che fosse «nata come soggetto pubblico nell’istante in cui è morta». […]
La morte di Desirée diventa così l’epicentro di una storia di lunga durata che, lungi dal fare tesoro delle esperienze fallimentari della guerra ai drogati «combattute» nel corso del Novecento, lungi dall’affrontare in modo serio le dipendenze problematiche, l’abuso fra i giovanissimi, ha ricacciato tutti, consumatori e spacciatori, nello stesso angolo dove regna l’illegalità, la paura di essere arrestati, la demolizione di ogni principio basilare di riduzione del danno in base al quale, se una persona accanto a te sta male, dovresti poter chiamare un’ambulanza senza dover temere niente.
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