I comuni stanno strapagando i loro nuovi siti finanziati dal PNRR
I fondi previsti sono eccessivi e ci sono pochi obblighi di giustificare le spese, perciò i prezzi degli appalti si sono gonfiati
Nei prossimi due anni la maggior parte dei siti internet dei comuni italiani sarà rifatta grazie ai soldi del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza. In totale sono stati stanziati 2 miliardi di euro per favorire la transizione digitale degli enti locali, cioè per rendere i servizi pubblici online più veloci e accessibili: è il più grande investimento fatto negli ultimi anni nella cosiddetta digitalizzazione.
Sono stati previsti oltre 800 milioni di euro per incentivare la sostituzione degli attuali siti internet dei comuni con nuovi portali più efficienti e con più funzioni rispetto al passato. Sono tantissimi soldi, e sono distribuiti e spesi con modalità che secondo gli addetti ai lavori stanno falsando il mercato, gonfiando i prezzi di questo genere di appalti. In sostanza, ai comuni rifare i siti sta costando molto più del normale.
I primi bandi sono stati pubblicati ad aprile nell’ambito della linea di investimento 1.4 del PNRR chiamata “servizi digitali e cittadinanza digitale”. Il rifacimento del sito internet è considerato un obiettivo essenziale del piano per potenziare i servizi digitali come il pagamento delle tasse e delle multe online, la richiesta di autorizzazioni e permessi, l’accesso ai servizi come l’anagrafe, l’iscrizione a graduatorie, la domanda di contributi e agevolazioni. Per questo, oltre al rifacimento del sito, i bandi hanno previsto per i comuni la possibilità di chiedere soldi per un massimo di quattro servizi digitali.
L’assegnazione dei fondi è basata sul meccanismo dei voucher: ai comuni che presentano la richiesta vengono distribuiti i soldi a seconda del numero di abitanti, senza altri criteri, e con una base di partenza molto generosa rispetto ai prezzi di mercato per quanto riguarda il rifacimento di un sito.
I comuni con meno di cinquemila abitanti ricevono 28.902 euro soltanto per rifare il sito internet e 12.755 euro per ogni servizio richiesto, per un massimo di quattro servizi. Ai comuni tra cinquemila e ventimila abitanti vanno 51.654 euro per il sito e 25.895 per ogni servizio, e così via fino alle città di oltre 250mila abitanti a cui vengono concessi 500.243 euro per il sito internet e 77.684 per ogni servizio. Una città può quindi ricevere fino a poco più di 800mila euro soltanto per il rifacimento del sito e l’implementazione di quattro servizi.
Per fare un confronto basta osservare quanto costava rifare un sito internet di un comune prima dei bandi del PNRR. Negli albi pretori consultabili online e nella piattaforma di acquisti per la pubblica amministrazione si possono trovare cifre diverse a seconda dei servizi richiesti: per un comune con meno di 50mila abitanti si va un minimo di 3.000 euro per il semplice rifacimento grafico fino a un massimo di 50.000 euro per rifare completamente il portale istituzionale, servizi digitali compresi.
Un buon esempio riguarda il comune di Settimo Torinese, di 45mila abitanti, che inaugurò il nuovo sito un anno fa, il 13 settembre 2021. Per la realizzazione del nuovo sito, lo spostamento dei dati dal vecchio al nuovo, la manutenzione triennale e l’attivazione di servizi come il riconoscimento via SPID e l’app IO, cioè un lavoro basato sugli stessi criteri e requisiti del bando del PNRR, furono spesi complessivamente 22.900 euro. Lo stesso comune, nonostante abbia inaugurato il nuovo portale un anno fa, ha partecipato al bando e ha ricevuto 280.932 euro.
Allo stesso bando, pubblicato lo scorso aprile, hanno risposto 3.360 comuni, il 43 per cento del totale, a cui sono stati stanziati i primi 400 milioni di euro, di cui il 40 per cento nelle regioni del sud.
Quasi tutti i comuni più piccoli hanno chiesto sia i fondi per il rifacimento del sito che quelli per tutti e quattro i servizi digitali disponibili, per un totale di 79.922 euro. Tra gli importi più significativi ci sono i 516mila euro assegnati ai grandi comuni: Siracusa, Messina, Brescia, Trieste, Modena, Giugliano in Campania. Il 19 settembre è stato pubblicato un secondo avviso con altri 280 milioni di euro.
A questi soldi vanno aggiunti i fondi previsti da altri bandi pubblicati per servizi come lo SPID, un sistema di riconoscimento con il quale si può accedere a una serie di servizi online della pubblica amministrazione con un unico nome utente e un’unica password, o il passaggio al cloud, cioè lo spostamento dei dati dai data center locali vecchi e non sicuri a un sistema di archiviazione esterno che consente di conservarli e spostarli su diversi server per renderli disponibili sempre e ovunque tramite internet. Per la migrazione al cloud è stato stanziato un miliardo, 900 milioni per nuovi data center, 600 milioni per la sicurezza informatica e quasi altrettanti per il servizio di pagamenti digitali PagoPa e per l’implementazione dell’app di servizi pubblici chiamata Io.
Peraltro le aziende che realizzano materialmente i siti devono rispettare requisiti e indicazioni introdotte da Designers Italia, un progetto basato sulla partecipazione e il contributo di designer e professionisti interni ed esterni alla pubblica amministrazione che hanno lavorato allo sviluppo di un prototipo di sito uguale per tutte le amministrazioni, snello e accessibile. Grazie al lavoro di Designers Italia sono disponibili modelli già pronti con istruzioni dettagliate e piattaforme predisposte per facilitare il lavoro di chi deve mettere online i nuovi siti. Di fatto, il lavoro dei fornitori è facilitato e meno gravoso rispetto a quando i siti internet dei comuni erano progettati da zero, diversi l’uno dall’altro.
Il bando per il rifacimento dei siti concede ai comuni con meno di cinquemila abitanti al massimo 6 mesi per individuare un fornitore e firmare un contratto, e 9 mesi dalla firma per finire il sito. Come per molte altre opere del PNRR, le procedure sono state semplificate. I soldi vengono assegnati tutti insieme e non importa come vengono spesi: l’importante è che alla scadenza del tempo concesso dal bando sia stato messo online il nuovo sito internet con le caratteristiche richieste.
I voucher e le procedure semplificate sono stati pensati per consentire a tutti i comuni di partecipare, anche agli enti locali piccoli che non hanno una struttura organizzativa per seguire i complessi passaggi burocratici di un normale bando. Ma nonostante le intenzioni, sta causando effetti distorsivi sul mercato.
Tanti soldi a disposizione e meccanismi laschi di rendicontazione, infatti, favoriscono i fornitori più bravi a rispondere alle richieste dei comuni, che si ritrovano con moltissimi soldi da spendere senza vincoli o preoccupazioni in quanto stanziati dal PNRR. «L’errore è stato fatto nella stima iniziale dei fondi del PNRR per questi servizi: sono stati messi molti più soldi rispetto a quanti servissero effettivamente», spiega il manager di un’azienda che fornisce servizi digitali ai comuni, che preferisce rimanere anonimo. «Non sono state fatte adeguate indagini di mercato. Quando le cifre sono state comunicate e comprese nel piano non è stato più possibile tornare indietro. A quel punto sono state divise per il numero dei comuni e ci si è accorti che c’erano a disposizione moltissimi soldi».
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Per i comuni più grandi, che hanno più potere negoziale nei confronti delle aziende e dei fornitori, si tratta comunque di un’opportunità: con così tanti soldi a disposizione, infatti, si può trattare per includere più servizi e migliorie rispetto a quelli previsti nel bando. I comuni più piccoli, invece, hanno meno possibilità di trattare e si ritrovano ad accettare senza valutare con attenzione le offerte. Anzi, spesso sono le stesse aziende a spiegare ai dipendenti dei comuni come presentare le domande per ottenere le risorse economiche e mantenere forniture vantaggiose.
In questo modo viene meno uno degli obiettivi del processo di digitalizzazione, cioè favorire l’autonomia dei comuni e in generale della pubblica amministrazione dai fornitori che da anni controllano software e dati.
Una delle priorità del lavoro dell’Agenzia per l’Italia digitale, infatti, è la cosiddetta interoperabilità, cioè lo scambio costante e trasparente di informazioni tra enti locali e imprese che finora hanno gestito i servizi digitali pubblici. «L’architettura comunicativa dei nuovi siti è più avanzata rispetto al passato e per questo sono necessari investimenti», dice Michele Vianello, esperto di innovazione della pubblica amministrazione e consulente di molti comuni. «Questi soldi sono spesi bene se permetteranno di mettere fine ai sistemi chiusi, che rendevano i comuni subalterni ai fornitori nella gestione di molti servizi».
Secondo Vianello, però, è molto importante che i comuni facciano confronti sul prezzo e sulla qualità dei prodotti offerti dalle aziende per spendere meglio i soldi a disposizione. «Va preteso dai Comuni l’utilizzo di procedure comparative improntate alla qualità e al prezzo anche per evitare rischi di prezzi sproporzionati drogati dall’entità delle risorse messe a disposizione dal bando PNRR», spiega. I comuni che sono consapevoli dei prezzi di mercato possono chiedere più servizi digitali e di fatto trattare sulla fornitura, mentre chi si affida soltanto alle aziende rischia di spendere molti più soldi rispetto a quanti ne servano effettivamente. È un problema che riguarda molte altre opere del PNRR o in generale del meccanismo dei bonus: i comuni non hanno alcun motivo di trattare o di scegliere il preventivo più conveniente perché paga tutto lo Stato.
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