Imbrattare i “Girasoli” aiuta la causa ambientalista?
Il gesto dimostrativo di due attiviste ha attirato molte critiche, ma le azioni radicali e non violente hanno tutta una loro importanza
Dopo l’atto dimostrativo con il quale due ragazze hanno gettato della salsa di pomodoro contro un quadro di Van Gogh, in molti si sono chiesti se iniziative di questo tipo aiutino davvero gli attivisti a sostenere le loro cause o se non siano banalmente una distrazione da queste ultime. È una domanda che riemerge ciclicamente ogni volta che vengono organizzate iniziative simili, soprattutto da quando Internet e i social network rendono possibile una loro maggiore visibilità con fotografie e video degli atti dimostrativi che vengono ripresi da migliaia, talvolta milioni, di account e in seguito dai mezzi di comunicazione tradizionali.
Il 14 ottobre due attiviste del gruppo ambientalista “Just Stop Oil” (letteralmente “Fermate il petrolio e basta”) sono entrate in una sala della National Gallery di Londra, hanno estratto una latta di salsa di pomodoro e hanno imbrattato una delle versioni dei “Girasoli”, tra le opere più famose di Van Gogh. Le due attiviste hanno poi incollato ciascuna una mano alla parete cui era appeso il quadro, sostenendo che l’iniziativa fosse per sensibilizzare su alcuni provvedimenti del governo britannico, che avrebbero avuto un forte impatto sull’ambiente e sulle generazioni future.
Il quadro di Van Gogh era protetto da una lastra di vetro e non ha subìto danni, se non per qualche lieve macchia alla cornice in legno. Le due attiviste sono state arrestate poco dopo l’atto dimostrativo e il quadro è stato ricollocato al proprio posto alcune ore dopo essere stato ripulito e controllato per la presenza di eventuali danni.
“Just Stop Oil” ha fatto poi sapere che prima di lanciare la salsa di pomodoro le attiviste si erano assicurate che la protezione in vetro fosse sufficiente, in modo da non causare danni permanenti al quadro di Van Gogh. Le immagini erano però intanto circolate molto online, suscitando l’indignazione di moltissime persone che ritenevano che il dipinto fosse stato rovinato per sempre. Anche quando era diventato evidente che il quadro non avesse subìto danni, le critiche sono comunque proseguite: secondo molti imbrattare un’opera d’arte non è una scelta condivisibile per portare avanti istanze, anche molto importanti come quelle per la preservazione dell’ambiente.
In passato “Just Stop Oil” aveva già organizzato iniziative simili. Lo scorso luglio due attivisti si erano incollati a un dipinto di John Constable sempre alla National Gallery, mentre nello stesso periodo altri si erano incollati a una copia dell’“Ultima cena” di Leonardo da Vinci esposta alla Royal Academy of Arts.
Ultimamente le opere d’arte sono tornate a essere prese di mira dagli attivisti che vogliono attirare l’attenzione per svariate cause. Il 22 luglio scorso un gruppo di attivisti di “Ultima generazione” si era incollato al vetro che protegge “La Primavera” di Sandro Botticelli, mostrando poi uno striscione con le scritte «No gas, no carbone». Il dipinto di Botticelli – esposto agli Uffizi a Firenze – non aveva subito alcun danno, mentre i tre attivisti avevano ricevuto una denuncia per interruzione di pubblico servizio, resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata e deturpamento e imbrattamento di cose.
In generale, atti dimostrativi di questo tipo suscitano grande interesse, ma spesso per motivi diversi da quelli attesi dagli attivisti. Soprattutto nel caso di iniziative che riguardano le opere d’arte, la reazione della maggior parte delle persone è contraria e di indignazione, mentre sono meno quelli che simpatizzano e mostrano di condividere i metodi della protesta.
Nel caso dei “Girasoli” e della salsa al pomodoro, si è parlato quasi esclusivamente dell’atto dimostrativo, dei rischi che ha corso il quadro e delle conseguenze per le due attiviste, mentre il tema della preservazione dell’ambiente è rimasto in secondo piano, quasi marginale nel dibattito pubblico. Chi sostiene l’utilità di queste iniziative segnala invece come servano a far comunque parlare e a dare rilevanza a gruppi che altrimenti non avrebbero visibilità, e che ritengono di condurre campagne per migliorare il mondo. Ora più persone sanno che cosa sia “Just Stop Oil” rispetto a prima del 14 ottobre, e quindi l’atto dimostrativo ha raggiunto il proprio scopo.
È difficile valutare quanto e se l’imbrattamento alla National Gallery abbia comunicato qualcosa delle importanti istanze sostenute dalle attiviste, ed eventualmente se lo abbia fatto nella maniera giusta. È molto probabile per esempio che a diversi giorni di distanza dall’episodio in pochi sappiano che “Just Stop Oil” stesse protestando contro «l’inazione del governo» britannico nell’agire contro il carovita e la crisi climatica, e che in particolare la protesta riguardasse «una nuova serie di concessioni per il petrolio e il gas».
In un articolo di opinione sul New York Times, l’analista politico Ross Douthat ha colto alcune contraddizioni nelle modalità e nei contenuti della protesta, segnalando come chiedere che l’energia costi meno e al tempo stesso che non si utilizzino i combustibili fossili in questo periodo sia molto difficile. In Europa molti governi hanno dovuto riaprire le inquinanti centrali a carbone, per esempio, per sopperire alle minori forniture di gas dalla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina. Pur mantenendo l’impegno per ridurre il consumo di combustibili fossili, hanno dovuto temporaneamente provvedere in altro modo, anche per evitare che il prezzo dell’energia aumentasse ancora di più.
Sul Washington Post, il critico d’arte Philip Kennicott ha scritto: «È ridicolo attaccare l’arte nel nome della sopravvivenza, visto che l’arte è uno strumento di sopravvivenza. Ma atti come questi suggeriscono un nuovo modo di pensare all’arte, nei termini del clima, che potrebbero aiutare a rendere più profondo il nostro senso di vicinanza sia all’arte sia all’ambiente». Kennicott ha ricordato che gli atti svolti finora sono stati inoltre simbolici e non destinati a distruggere opere d’arte, anche se diventando più comuni potrebbero aumentare i rischi di azioni più drastiche, che potrebbero rovinare irreparabilmente un quadro, una scultura o un’installazione.
E gli emuli potrebbero essere favoriti proprio dalla grande attenzione dei media per atti come quello della National Gallery: i gesti dimostrativi riceverebbero ulteriori attenzioni, ma anche probabilmente condanne molto più severe da parte delle persone, come del resto si è già visto nei minuti subito dopo il lancio della salsa di pomodoro contro il Van Gogh, quando in pochi sapevano che il dipinto fosse protetto da un vetro.
Kennicott conclude riconoscendo che «lanciare dalla salsa di pomodoro a un Van Gogh non mi farà sentire più appassionato al salvataggio del nostro pianeta, né mi aiuterà a pensare in modo più pragmatico a che cosa dovremmo fare. Ma capisco perché i giovani, avendo davanti lo scenario della loro stessa distruzione, cerchino un modo per farsi notare per dirci: smettiamola di buttare via tutto quanto».
James Ozden, ex attivista che ora studia i movimenti e fornisce loro consulenza, ha invece segnalato che alcuni studi nelle scienze sociali hanno evidenziato come i gruppi radicali e non violenti siano positivi per portare avanti determinate cause. Secondo queste ricerche, le loro attività non allontanano le persone dai principî per cui si battono e semmai favoriscono un loro avvicinamento alle correnti meno radicali dei movimenti. In un certo senso, atti dimostrativi non violenti danno maggiore visibilità all’organizzazione, favorendo poi un interesse per le sue parti più moderate, che riescono a comunicare più efficacemente le proprie istanze.
Sulla base di quelle ricerche e di altre evidenze, Ozden scrive che «le tattiche radicali e non violente rendono più probabile che aumenti il sostegno per i gruppi più moderati, in modo tale da fare aumentare le opportunità di un intero movimento di raggiungere i propri scopi». Gli studi in questi ambiti delle scienze sociali non sono semplici da realizzare a causa delle numerose variabili, non ultime quelle determinate dall’indole e dal comportamento dei singoli, ma suggeriscono comunque che conclusioni come “facendo così vi inimicate chi potrebbe sostenervi” siano talvolta semplicistiche.
Gli atti dimostrativi, non necessariamente legati all’arte, esistono da ben prima di Internet e dei social network, naturalmente, e hanno dato un loro contribuito a portare avanti determinate istanze, anche se non sempre ne serbiamo un ricordo. Molti hanno in mente l’immagine di Thích Quảng Ðức, monaco buddhista vietnamita che si diede fuoco in strada a Saigon in segno di protesta. Pochi però ricordano che lo fece contro la dittatura di Ngô Đình Diệm, il dittatore cattolico che nella prima metà degli anni Sessanta perseguiva politiche per opprimere la religione buddhista nel Vietnam. E sempre in quel periodo Martin Luther King Jr. non era ben visto dalla maggior parte della popolazione statunitense, nonostante oggi sia considerato uno dei protagonisti nella lotta di emancipazione della comunità afroamericana negli Stati Uniti.
Rimanendo fuori dai musei e dalle gallerie d’arte, nell’ultimo periodo sono stati organizzati frequenti sit-in da movimenti e attivisti che chiedono azioni più incisive da parte dei governi contro il riscaldamento globale. Ultima Generazione e Extinction Rebellion hanno per esempio bloccato il Grande Raccordo Anulare all’inizio dell’estate, fermando per alcune ore parte del traffico intorno a Roma. La protesta aveva ricevuto numerose critiche da parte degli automobilisti direttamente coinvolti, mentre aveva ricevuto reazioni meno negative sui social network rispetto al Van Gogh. Il blocco del traffico era apparso più in tema con le istanze degli attivisti per il clima, considerato che i veicoli con motori termici sono tra i principali responsabili dell’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera (uno dei principali gas serra).
Iniziative simili sono state condotte in altri paesi europei e negli Stati Uniti, con reazioni simili soprattutto da parte degli automobilisti. Alcuni hanno inveito contro gli attivisti, ricordando loro che un sit-in per strada danneggia le persone comuni, ma non i decisori politici che dovrebbero adottare nuove e più incisive misure contro il riscaldamento globale. Alcuni osservatori hanno però segnalato come sia responsabilità di tutti ridurre le emissioni di gas serra, e che quindi manifestazioni di quel tipo siano importanti su più livelli.
Chi partecipa ai sit-in dà risposte simili a chi lancia salsa di pomodoro sui quadri o tenta altri atti dimostrativi: in assenza di queste iniziative, l’attenzione verso l’esistenza dei gruppi di attivisti e i movimenti è pressoché assente da parte dei media e della popolazione, di conseguenza l’unico modo per suscitare un poco di interesse è fare qualcosa di radicale, mantenendosi comunque nella non violenza.
Come si è reso evidente nei casi più recenti, le iniziative radicali portano con sé il rischio di esporre più i loro autori delle cause che sostengono. Il rischio conseguente è che si perdano di vista gli obiettivi rientrando in un attivismo che viene spesso definito “performativo”, nel quale un certo atto viene eseguito proprio per ottenere maggiore visibilità e avere un più alto capitale sociale, lasciando in secondo piano la causa per cui è stato fatto. I social network hanno amplificato alcune declinazioni di questo fenomeno per esempio con il cosiddetto “attivismo da click”, nel quale ci si limita sostanzialmente a condividere un tweet o un video di impegno sociale, non solo per farlo circolare, ma per mostrare agli altri di essere sensibili a determinate cause. L’impegno per molti si esaurisce con qualche clic con il mouse, senza proseguire nell’attivismo vero e proprio, con un maggiore coinvolgimento.
L’attivismo performativo e quello da clic sono quasi sempre descritti con toni negativi, eppure non tutti gli osservatori sono convinti che non abbiano un ruolo nel portare avanti le istanze di particolari gruppi o movimenti. Questi guadagnano comunque una visibilità che altrimenti non avrebbero su Internet, grazie a quelle dinamiche, guadagnando e poi mantenendo una certa rilevanza nel dibattito pubblico. Senza contare gli articoli di 21 paragrafi che finiscono per parlarne, come quello che avete appena finito di leggere.