Alle elezioni in Nigeria c’è un candidato interessante
Alle elezioni del 2019 il suo partito aveva preso cinquemila voti, ora Peter Obi è primo nei sondaggi per il voto di febbraio
È cominciata da alcune settimane la campagna elettorale per le elezioni con cui il prossimo febbraio la Nigeria sceglierà il suo nuovo presidente, il vicepresidente e i rappresentanti di Camera e Senato. I primi sondaggi mostrano che a essere in vantaggio non è uno dei candidati dei due principali partiti che hanno guidato il paese dell’Africa occidentale dalla fine del governo militare, nel 1999: quello che finora sembra avere più consensi è Peter Obi, candidato di un partito praticamente sconosciuto che si presenta come diverso dai suoi rivali e predecessori e promette di cambiare il paese.
La Nigeria si trova nell’Africa occidentale e con circa 213 milioni di abitanti di lingue, religioni ed etnie diverse è il paese più popoloso del continente, oltre che uno dei più ricchi e influenti. È una repubblica federale dove il presidente è sia capo di stato che di governo. La sua economia è la più solida tra tutte quelle dei paesi africani.
Obi si è candidato lo scorso maggio con il Partito laburista, che per dare l’idea alle elezioni del 2019 aveva ottenuto poco più di 5mila voti sui 28 milioni di quelli espressi: adesso secondo due sondaggi è in vantaggio di oltre 15 punti percentuali sia su Bola Tinubu, candidato del Congresso di tutti i progressisti (APC), il partito dell’attuale presidente Muhammadu Buhari, sia su Atiku Abubakar, del Partito democratico popolare (PDP), il partito di cui aveva fatto parte fino a pochi mesi fa, all’opposizione.
Come ha osservato di recente l’Economist, il successo piuttosto inaspettato che sta avendo Obi in questo avvio di campagna elettorale è una novità per la Nigeria: il paese ha enormi riserve di gas, petrolio e minerali, ampie terre fertili e una popolazione molto giovane, ma è tormentato dai problemi di corruzione e malgoverno e dalla grave inadeguatezza dei servizi pubblici. Da tempo, gli analisti sostengono che la Nigeria avrebbe tutte le caratteristiche per una rapidissima crescita economica, che viene sistematicamente bloccata, in buona parte, dall’inadeguatezza della sua classe politica.
In questo contesto Obi è riuscito a raccogliere ampi consensi soprattutto tra i giovani che abitano nelle aree urbane e si dicono sfiduciati nei confronti dei partiti tradizionali.
Obi ha 61 anni, è cattolico ed è originario dello stato di Anambra, nel sud-est del paese, di cui è stato governatore fra il 2007 e il 2014. Prima di occuparsi di politica si laureò in Filosofia e proseguì la formazione in ambito economico seguendo i programmi di alcune prestigiose università negli Stati Uniti e in Inghilterra. Alle elezioni del 2019 si presentò come candidato alla vicepresidenza con Abubakar, poi sconfitto da Buhari, che dopo aver completato il suo secondo mandato ora non può più presentarsi.
Come gran parte dei politici nigeriani Obi ha molte ricchezze, che ha ottenuto soprattutto grazie alle sue attività imprenditoriali. Ha però un atteggiamento molto più sobrio di quello dell’élite dei politici del paese: per esempio ha ridotto le automobili della sua scorta e insiste per portare da solo i propri bagagli quando è in viaggio.
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A livello politico, dice che la sua «priorità numero uno» è migliorare la sicurezza del paese, che negli ultimi anni ha subìto numerosi attacchi terroristici nel nord e nel nord-est, mentre nella parte sud-orientale ha registrato un aumento delle violenze, spesso attribuite ai separatisti di etnia Igbo (quella di Obi). Sembra aver guadagnato la fiducia di molti elettori con la promessa di creare un governo competente e responsabile e di superare quella sorta di “sistema” con cui a lungo i politici nigeriani avevano prima convinto a votare per loro e poi favorito i gruppi religiosi o etnici da cui provenivano.
Obi propone anche di riorganizzare la struttura delle forze dell’ordine, di liberalizzare alcuni settori in larga parte controllati dallo stato (come quello minerario) e di aumentare gli investimenti nella sanità, nell’istruzione e nei sussidi pubblici. Insiste inoltre sul fatto di aver migliorato le condizioni di vita nello stato di Anambra – come conferma il rapporto dell’ONU che analizza ogni anno l’“indice di sviluppo umano” in oltre 200 paesi – e di aver lasciato i conti in attivo. In un’intervista data all’Economist ha tuttavia evitato di chiarire cosa avrebbe intenzione di fare con le tasse, visto che un aumento potrebbe servire per investire nelle carenti infrastrutture statali.
In confronto ai suoi rivali «è più o meno un santo», ha detto all’Economist Ebenezer Obadare, analista del Council on Foreign Relations, un think tank di New York. Questo però non vuol dire che sia necessariamente «pulito», ha commentato Obadare.
Abubakar, un politico di 75 anni di lunga esperienza che si era candidato altre cinque volte alla presidenza senza essere mai eletto, è stato accusato nel 2010 di aver trasferito 40 milioni di dollari di origine «sospetta» negli Stati Uniti. Tinubu, ex governatore dello stato di Lagos, che di anni ne ha 70, ha raggiunto lo scorso gennaio un accordo extragiudiziale con il governo statunitense per un caso in cui era stato accusato tra le altre cose di traffico internazionale di droga, evasione fiscale e riciclaggio di denaro.
Anche Obi, osservano i suoi critici, ha avuto i suoi guai. Nell’ambito della grossa inchiesta giornalistica sugli affari di centinaia di politici e personaggi pubblici dei “Pandora Papers”, è emerso che Obi controllava una società offshore non dichiarata alle Isole Vergini britanniche; è stato inoltre criticato per non aver dichiarato tutti i suoi beni al momento della nomina a governatore statale, come previsto dalla legge.
I suoi rivali lo accusano di voler sfruttare le elezioni come strumento per ottenere ancora più ricchezze e sostengono che nonostante gli ampi consensi non abbia i voti necessari per vincere.
In Nigeria per vincere le elezioni al primo turno non bisogna solo ottenere più voti rispetto agli sfidanti, ma è anche necessario avere almeno il 25 per cento delle preferenze in due terzi dei 36 stati del paese e al territorio della capitale Abuja.
Non è detto che Obi riesca a farcela, soprattutto perché non sembra essere molto popolare in una decina di stati del nord del paese che tendono a votare per candidati che provengono da quelle stesse aree e sono musulmani, come Abubakar e Tinubu: lui invece è cristiano e proviene dal sud-est della Nigeria. In più, il Partito laburista ha pochi membri, non esprime alcun governatore statale e al momento ha solo un senatore in parlamento: al di là del successo che Obi sta raccogliendo attraverso i social network tra i suoi sostenitori (che si fanno chiamare “OBIdient”), al partito manca in sostanza quella struttura che permette di rafforzare i rapporti con l’elettorato.
C’è poi il rischio che i partiti più radicati impediscano che le operazioni di voto si svolgano in maniera libera ed equa, ha osservato Ayisha Osori, avvocata, giornalista e analista dell’organizzazione filantropica Open Society Foundations. Secondo Osori, l’APC cercherà di limitare l’accesso al voto nelle aree del paese in cui il consenso per Obi è più forte e di condizionare quindi l’esito delle elezioni, col rischio di provocare conflitti.
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