Quando qualcuno pensò fosse una buona idea buttare milioni di copertoni al largo della Florida
Per disfarsene e creare contemporaneamente un nuovo ecosistema: cosa poteva andare storto?
Nei primi anni Settanta gli abitanti di Fort Lauderdale, città pochi chilometri a nord di Miami, in Florida, assistettero a scene alquanto insolite. A poca distanza dalla costa, centinaia di imbarcazioni private passarono giorni a gettare nell’oceano enormi quantità di copertoni usati, assistite da una nave della marina militare statunitense. Stavano costruendo la Osborne Reef, una nuova barriera artificiale che nell’idea dei suoi promotori avrebbe dovuto favorire la vita marina, ma che in pochi decenni si sarebbe trasformata in un enorme disastro ambientale, ancora oggi non completamente sanato.
Negli anni Sessanta i copertoni usati di automobili, camion e altri veicoli erano diventati un bel grattacapo per molti paesi, compresi gli Stati Uniti. In mancanza di sistemi adeguati per il riciclo, venivano ammassati in discariche spesso illegali realizzate nelle aree rurali con gravi rischi per l’ambiente. Non era raro che alcune di queste discariche prendessero fuoco, con incendi che potevano durare settimane (come insegnano i Simpson) e che causavano l’emissione di molti gas nocivi, o che complici umidità e piogge diventassero infestate dalle zanzare.
L’esigenza di disfarsene per evitare simili problemi aveva portato a varie soluzioni creative e discutibili, soprattutto sul piano della preservazione dell’ambiente, compresa quella di gettare i copertoni nell’oceano con la scusa di creare nuove barriere sul fondale che avrebbero permesso alla vita marina di prosperare.
E fu proprio partendo da questi presupposti che nel 1972 fu costituita in Florida la Broward Artificial Reef (BARINC), una società che aveva proposto la costruzione di una grande barriera artificiale fatta di copertoni che avrebbe permesso di liberarsi di questi rifiuti, e al tempo stesso di creare una nuova area al largo di Fort Lauderdale Beach dove si sarebbe potuta praticare la pesca sportiva.
BARINC presentò il proprio progetto alla contea di Broward, dove si trova Fort Lauderdale, portando come esempio la creazione di barriere artificiali già realizzate all’epoca in altri paesi, come Indonesia, Australia e Malesia. Nella zona in cui avrebbe voluto depositare i copertoni c’era inoltre già una piccola barriera artificiale, realizzata con alcuni blocchi di cemento. La contea approvò il progetto e fu coinvolta Goodyear, una delle più grandi aziende produttrici di copertoni.
Al culmine dell’iniziativa, in un tratto di mare a un paio di chilometri dalla costa e a una profondità di 20 metri furono collocati complessivamente due milioni di copertoni usati. La costruzione della Osborne Reef era stata ampiamente pubblicizzata, con Goodyear che aveva fatto sorvolare la zona a uno dei propri dirigibili, dal quale a un certo punto era stato lanciato un copertone verniciato color oro per battezzare la nuova barriera. A lavoro completato, circa 150mila metri quadrati del fondale erano ricoperti da pile di copertoni.
A pochi anni di distanza dal completamento dell’opera divenne evidente che la Osborne Reef non fosse il posto preferito dalla fauna marina. La maggior parte dei copertoni era stata calata in pile tenute insieme tra loro da nastri di nylon o da grandi graffette di acciaio, che però in pochi anni avevano ceduto facendo sì che i copertoni diventassero instabili e inadatti a ospitare organismi marini. La loro mobilità ebbe inoltre effetti negativi sulle poche forme di vita che erano riuscite ad attaccarsi alla gomma.
Le acque al largo di Fort Lauderdale possono inoltre essere turbolente a causa dei forti venti e delle correnti marine. In mancanza di ancoraggi, i copertoni si spostavano quindi di svariati metri sul fondale, andando spesso a sbattere contro una barriera corallina nelle vicinanze, danneggiandola seriamente. La Osborne Reef si stava trasformando in un disastro ambientale, ma per molti anni non furono prese contromisure per evitare che le cose peggiorassero.
Solo nel 2001 la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa tra le altre cose degli ecosistemi marini, finanziò un piccolo progetto per avviare la rimozione dei copertoni. Il finanziamento era di poche decine di migliaia di dollari, insufficienti per rimuovere grandi quantità di copertoni. I tecnici riuscirono a recuperarne appena 1.600 sugli oltre due milioni depositati negli anni Settanta.
L’esperienza del progetto finanziato dalla NOAA rese evidente la necessità di organizzare un piano più strutturato, ma trovare i fondi necessari non era semplice. Nel 2002 il Dipartimento per la protezione dell’ambiente della Florida impose alcune nuove regole alle aziende che costruivano lungo la costa, chiedendo come mitigazione dei danni causati dalle loro attività la rimozione di parte dei copertoni dalla Osborne Reef.
Nel 2007 nelle attività di recupero furono coinvolti l’esercito e la guardia costiera degli Stati Uniti, con alcuni progetti per mettere insieme la necessità di ripulire il fondale con quella di formare i sommozzatori in varie attività sottomarine. L’iniziativa rese possibile il recupero di alcune centinaia di migliaia di copertoni in un paio di anni, con le attività che si concentrarono nei punti della Osborne Reef più vicini alle barriere coralline, dove i copertoni avevano causato ingenti danni. L’operazione fu un successo riconosciuto dall’allora presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ma la maggior parte dei copertoni gettati in mare negli anni Settanta continuava ancora a essere là sotto.
Dopo l’esperienza con l’esercito e la guardia costiera, le attività tornarono nuovamente sotto il controllo dei privati. Tra il 2016 e il 2019 lo stato della Florida finanziò con 4,3 milioni di dollari alcuni progetti di recupero, affidando a Industrial Divers Corporation (IDC) il compito di recuperare quanti più copertoni possibili dalla Osborne Reef. Al ritmo massimo di 5mila recuperi al giorno, IDC nell’estate del 2020 aveva raggiunto i 250mila copertoni recuperati, segnando un altro importante progresso.
A partire dal 2021, alle attività si è unita 4ocean, una società che si definisce senza scopo di lucro e che si occupa di recupero degli ambienti marini attraverso la rimozione di rifiuti e altri inquinanti dagli oceani. Per finanziare le proprie attività, 4ocean vende a 29 dollari un braccialetto realizzato riciclando i copertoni, impegnandosi a recuperare almeno mezzo chilo di rifiuti dalla Osborne Reef per ogni bracciale venduto. Molti copertoni non sono però nelle condizioni di essere riutilizzati e vengono conferiti a un impianto in Florida, che provvede a smaltirli incenerendoli per produrre energia elettrica.
È difficile fare una stima accurata sulla quantità di copertoni attualmente presente sul fondale al largo di Fort Lauderdale. Sono certamente ancora alcune centinaia di migliaia e il recupero è spesso condizionato dalle condizioni atmosferiche e del mare, che rendono difficoltose le immersioni. Non ci sono particolari sistemi automatizzati e il lavoro deve essere svolto quasi esclusivamente dai sommozzatori.
Jason Jakovenko, un sub dell’esercito statunitense, aveva descritto efficacemente l’impressione che si ha quando si raggiunge il fondale: «Quando inizi a raggiungere i sei metri di immersione inizi a vederla all’orizzonte, davvero, sembra di vedere la Luna o qualcosa di simile. È strano, non assomiglia a nulla di ciò che potresti immaginare, ci sono solo copertoni a perdita d’occhio là sotto».
La Florida non fu l’unico caso di barriere artificiali costruite con i copertoni e finite male. In Indonesia e Malesia, dove ne furono realizzate alcune tra gli anni Sessanta e Ottanta, si sono verificati problemi simili a quelli della Osborne Reef, con un grave inquinamento del mare. Tempeste e mare grosso fanno sì che spesso alcuni copertoni raggiungano le spiagge, costituendo un ulteriore problema per l’ambiente. Le attività di recupero sono costose e difficili da realizzare, con il risultato che molti ecosistemi marini subiscono la presenza dei copertoni e continueranno a subirla nei prossimi decenni.