Bisognerebbe legalizzare la cocaina?
Lo sostiene l'Economist in un editoriale sorprendente e perentorio, argomentando che i benefici sarebbero maggiori dei costi
La settimana scorsa il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha cancellato le pene di più di 6mila persone condannate per il reato federale di possesso di marijuana. Biden aveva motivato questa decisione dicendo che non aveva senso che tante persone fossero in carcere per quel motivo, soprattutto dal momento che la cannabis è ormai legale in 19 stati americani. Prendendo spunto da questa notizia l’Economist, una delle più prestigiose riviste del Regno Unito che da anni porta avanti una campagna in favore della legalizzazione della cannabis in una sezione chiamata “Legalise it” (“Legalizzala”), ha pubblicato un editoriale intitolato “Biden è troppo timoroso. È il momento di legalizzare la cocaina”.
Negli ultimi anni il dibattito sul tema – soprattutto quello sulla depenalizzazione e la legalizzazione delle droghe cosiddette “leggere”, come la cannabis – è diventato sempre più vivace e molti paesi hanno adottato misure alternative all’approccio proibizionistico che dagli anni Settanta sembrava l’unico possibile. La proposta dell’Economist però risulta comunque piuttosto ardita, dal momento che l’idea di legalizzare una droga considerata “pesante” come la cocaina è giudicata da molti ancora estrema e poco realistica, negli Stati Uniti così come nella maggior parte dei paesi del mondo.
Il primo argomento che cita l’Economist a sostegno della sua tesi è noto: la cosiddetta “guerra alle droghe” iniziata dall’ex presidente americano Richard Nixon più di cinquant’anni fa non ha mai portato i risultati sperati. Anzi, è sempre più diffusa la convinzione che sia stata un fallimento: la quantità di cocaina che arriva negli Stati Uniti da altri paesi non ha fatto che aumentare e così anche il numero di droghe disponibili nel paese. Negli ultimi vent’anni i governi statunitensi hanno fatto tentativi di ogni tipo per fermare la produzione di cocaina nei paesi del Sud America – che sono i principali esportatori – ma questa non è mai diminuita, se mai si spostava da altre parti.
L’Economist ricorda anche che i paesi che producono ed esportano cocaina sono i paesi dove la criminalità e la violenza sono più alte: il numero di omicidi in Colombia è tre volte superiore a quello degli Stati Uniti, e la situazione è ancora peggiore in Messico. In questi paesi le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di droga sono così ricche da arrivare a corrompere anche i massimi organi dello stato.
Il presidente colombiano Gustavo Petro ha proposto recentemente di decriminalizzare la coltivazione delle foglie di coca (quelle da cui si estrae la sostanza stupefacente) e permettere ai cittadini di consumare cocaina in modo sicuro. Cambiare le leggi in Colombia però, dice l’Economist, è inutile se non si fa lo stesso anche nei paesi più ricchi, come gli Stati Uniti, che sono tra i principali mercati per chi la commercia illegalmente.
L’Economist sostiene anche che depenalizzare l’uso di cocaina non sia sufficiente, ma che per cambiare le cose sia necessario legalizzarla. Depenalizzazione e legalizzazione sono spesso considerati sinonimi quando si parla di droghe, ma non sono la stessa cosa. Nel primo caso si intende l’eliminazione di sanzioni penali per le persone che consumano droghe illegali, che vengono sostituite con sanzioni amministrative come multe o la sospensione della patente. Legalizzare una sostanza invece significa autorizzarne la produzione e il commercio, oltre che l’uso, entro determinati limiti e in maniera regolamentata. La legalizzazione comporta un grande cambiamento nell’atteggiamento degli stati nei confronti della sostanza in questione.
Limitarsi a depenalizzare la cocaina significherebbe, secondo l’Economist, lasciare la produzione in mano alle organizzazioni criminali e probabilmente creare una maggiore domanda (visto che verrebbe meno il deterrente delle sanzioni penali). «La vera risposta è la piena legalizzazione», si legge sull’Economist, «che consente ai non criminali di fornire un prodotto rigorosamente regolamentato e altamente tassato, proprio come fanno i produttori di whisky e sigarette». In questa situazione le gang criminali che oggi spacciano cocaina illegalmente perderebbero gran parte dei loro guadagni e con essi anche gran parte del loro potere.
Una rigida regolamentazione della produzione e della vendita, tra l’altro, ridurrebbe anche i rischi legati al consumo: per esempio perché eviterebbe la circolazione della cocaina “tagliata”, cioè mischiata con altre polveri, come attualmente viene spesso venduta dalle organizzazioni criminali. Negli ultimi anni soprattutto negli Stati Uniti le morti legate al consumo di cocaina sono aumentate perché veniva mischiata con il fentanyl, un oppioide più economico e molto più dannoso per la salute.
Naturalmente la legalizzazione della cocaina avrebbe anche dei costi: più persone vi avrebbero accesso, col rischio di sviluppare dipendenza e avere danni alla salute anche gravi, come problemi circolatori e cardiaci, psicosi e allucinazioni.
Secondo l’Economist però gli studi scientifici sugli effetti della cocaina sono pochi e non possiamo dire con certezza se la dipendenza che crea sia superiore o meno a quella creata da alcol e tabacco. Sicuramente, conclude l’Economist, andrebbero impiegate risorse per gestire la questione da un punto di vista sanitario, ma sarebbero inferiori a quelle che i governi impiegano oggi nella “guerra” contro i traffici illegali. «I benefici – una cocaina più sicura, strade più sicure e una maggiore stabilità politica nelle Americhe – superano ampiamente i costi».
Al momento sono pochi i politici disposti a passare come permissivi sul tema delle droghe, ma «i sostenitori devono continuare a insistere su questo punto».