La Camera invece non ha ancora un nuovo presidente
Si dovrà aspettare almeno venerdì mattina, ma quello che è successo al Senato potrebbe complicare le cose
Diversamente dal Senato, dove è stato eletto presidente Ignazio La Russa al primo scrutinio, l’elezione del presidente della Camera è stata rimandata al secondo giorno di votazioni, venerdì. Il motivo è che alla Camera serve una maggioranza più ampia per eleggere il presidente nei primi scrutini: nelle prime tre votazioni che si sono svolte finora bisognava raggiungere una maggioranza dei due terzi (dei componenti nella prima, dei votanti nella seconda e nella terza) e l’esito è stato che quasi tutti i deputati hanno lasciato scheda bianca: trovare un candidato che mettesse d’accordo due terzi dei deputati sarebbe stato impossibile.
Si va quindi al quarto scrutinio, che per il regolamento della Camera deve svolgersi nel secondo giorno di legislatura ed è stato fissato per le 10.30 di venerdì. A quel punto basterà la maggioranza assoluta dei voti, cioè più della metà: il numero preciso naturalmente varia in base ai presenti, ma la coalizione di destra è comunque sicura di poter eleggere un candidato con i soli suoi voti, che teoricamente sono in tutto 235.
Il modo in cui è avvenuta l’elezione di La Russa al Senato, con quasi tutti i senatori di Forza Italia che hanno deciso di non votare e un inaspettato e misterioso appoggio di un gruppo di senatori di opposizione, potrebbe però complicare le cose anche alla Camera.
Gli accordi interni alla coalizione di destra prevedevano che la carica più importante, quella del presidente del Senato, spettasse a Fratelli d’Italia, il partito più votato alle elezioni, di cui La Russa è uno dei maggiori esponenti. Il presidente della Camera invece dovrebbe andare alla Lega, che è il secondo partito della coalizione: fino alla mattina di giovedì il candidato più probabile sembrava essere Riccardo Molinari, 39enne piemontese che ha fatto una carriera piuttosto rapida nel partito, arrivando ai vertici dopo essere stato eletto in parlamento solo nel 2018. Nell’ultima legislatura era stato anche capogruppo della Lega alla Camera.
In mattinata persino Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia e della coalizione, aveva garantito sul suo nome: «Anche qui la situazione è tranquillissima. Mi pare che l’indicazione sia quella di Riccardo Molinari, punto a chiudere anche qui velocemente», aveva detto all’Ansa.
Durante la giornata però i cronisti politici più vicini alla destra hanno raccontato come Molinari abbia progressivamente perso popolarità, forse proprio all’interno della Lega, che ora sembra preferire altri nomi: quelli più citati dalle fonti parlamentari dei giornali sono il vicesegretario della Lega Lorenzo Fontana, che è già stato ministro per la Famiglia e poi per gli Affari europei ed è noto per essere un estremista di destra ultracattolico; Nicola Molteni, deputato dal 2008 e considerato molto vicino a Matteo Salvini; e Giancarlo Giorgetti, ministro per lo Sviluppo economico uscente e tra i maggiori dirigenti della Lega, a capo della corrente interna al partito più critica con il segretario Salvini. Al momento però l’unica cosa certa è che non c’è ancora un candidato certo.
Giorgetti durante la giornata alla Camera ha anche confermato che quello che stava succedendo in Senato avrebbe influito sulle votazioni alla Camera, parlando con il Corriere della Sera: «Mi sembra importante vedere l’esito del voto al Senato. Poi qui verrà di conseguenza».
Al Senato è successo che la maggioranza, in una situazione probabilmente più unica che rara nella storia repubblicana, ha eletto il presidente di una camera spaccandosi però nel voto, e ricevendo diversi voti dai partiti di opposizione. Non è ancora chiaro da chi, né il motivo per cui sia stato fatto: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Azione-Italia Viva finora hanno negato, per lo più accusandosi a vicenda. Una prima conseguenza diretta di questa situazione la si vedrà domani al quarto scrutinio, perché il Partito Democratico ha manifestato l’intenzione di scegliere un candidato “di bandiera” da far votare ai suoi deputati in modo da poter dimostrare che non ci saranno tra di loro “franchi tiratori”, cioè deputati che votano contro le indicazioni del partito.
Il motivo per cui la maggioranza si è spaccata invece sono le trattative per la composizione del governo, all’interno delle quali si è compreso chiaramente che Forza Italia non è stata accontentata: lo stesso Berlusconi alla fine della giornata al Senato ha detto che il suo partito ha voluto dare un segnale perché era stato messo un veto contro uno di loro nel governo. L’esponente contro cui è stato messo il veto sembra essere Licia Ronzulli, una dirigente molto vicina a Berlusconi.
In ogni caso, il “segnale” dato da Forza Italia è stato in gran parte ridimensionato dal fatto che La Russa sia stato comunque eletto al primo scrutinio, per quanto Berlusconi abbia cercato di mostrarsi in controllo della situazione sostenendo di essere consapevole che sarebbe successo. Per questo non si sa bene cosa aspettarsi dagli scrutini di venerdì: se a Forza Italia venissero date le garanzie richieste nella formazione del governo, allora si potrebbe arrivare a un’elezione già nella prima votazione utile, la quarta, perché la destra unita ha i numeri per farlo.
Se invece Forza Italia e Berlusconi dovessero restare ancora insoddisfatti delle promesse ricevute, allora potrebbe di nuovo crearsi una situazione caotica simile a quella di oggi in Senato: Forza Italia ha 45 deputati, decisivi per il raggiungimento della maggioranza assoluta da parte della coalizione di destra.