Per alcuni musicisti vale sempre meno la pena fare i tour
I rischi legati al Covid e l'inflazione rendono concreto il rischio di spendere più soldi di quelli che si guadagnano
Gli Animal Collective, un gruppo statunitense che fa rock sperimentale molto popolare tra gli amanti del genere, avrebbero dovuto passare il mese di novembre a suonare in diverse città d’Europa. Il 10 ottobre, però, hanno annunciato che l’intero tour europeo è cancellato. In un post su Instagram, la band ha spiegato che, nonostante ami tantissimo suonare dal vivo, al momento andare in tour non è economicamente sostenibile. «Dalla svalutazione della moneta all’aumento dei costi di spedizioni e trasporto e molto altro», hanno scritto, «semplicemente non siamo riusciti a creare un budget per questo tour che non ci facesse perdere soldi, anche nel caso in cui tutto fosse andato per il meglio».
Non sono i primi a fare una scelta simile quest’anno. Negli ultimi mesi, artisti di fama internazionale come Justin Bieber, Shawn Mendes, Disclosure e Arlo Parks hanno deciso a loro volta di cancellare i propri tour, interamente o in parte, mentre altri, come gli Strokes o le Wet Leg, hanno dovuto cancellare singole date. Le ragioni date dai singoli artisti sono molteplici, ma ci sono alcuni temi ricorrenti: il rischio costante dovuto al Covid, l’aumento proibitivo dei costi, e il peso psicologico che accompagna il fatto di dover stare lontani da casa per settimane o mesi, senza essere sicuri che ci sarà un profitto economico.
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Dopo due anni in cui la maggior parte dei concerti è stata annullata o cancellata come conseguenza delle restrizioni per limitare i contagi si parlava del 2022 come dell’anno del relativo ritorno alla normalità. Questa ripresa era considerata molto importante, oltre che per i lavoratori e le lavoratrici del mondo dello spettacolo, anche per l’intera industria musicale, che con il contrarsi delle vendite dovute alla diffusione dello streaming fa ormai grande affidamento sui concerti. Per molti musicisti sono diventati la principale fonte di reddito.
Tantissimi artisti avevano perciò annunciato grossi tour e, secondo Live Nation Entertainment, enorme multinazionale che gestisce la vendita di biglietti per spettacoli dal vivo a livello internazionale, soltanto nella prima metà di quest’anno sono stati venduti oltre 100 milioni di biglietti per concerti: più di tutti quelli venduti nel 2019 messi insieme.
In parte, lo stesso fatto che migliaia di band e cantanti siano tornate in tour nello stesso periodo ha contribuito al caos. I musicisti si sono trovati a competere tra loro per i locali, i palazzetti e gli stadi in cui suonare, e negli ultimi mesi ci sono stati diversi casi di grandi concerti rivolti a un pubblico sovrapponibile organizzati lo stesso giorno nella stessa città: il 3 luglio, ad esempio, Elton John e i Rolling Stones hanno suonato entrambi a Londra, in due posti diversi, contemporaneamente. A fine luglio, è successo di nuovo con il concerto di Lady Gaga e quello di Phoebe Bridgers. Più in piccolo, qualche giorno fa a Milano hanno suonato la stessa sera i Sigur Rós e i Godspeed You! Black Emperor, due band che per certi versi fanno un rock simile e che hanno molti fan in comune.
«Troppi artisti sono in tournée allo stesso tempo, causando una carenza di quasi tutto, che si tratti di valvole per amplificatori per chitarra precedentemente fornite dalla Russia, furgoni o roadie (i tecnici che seguono i musicisti, ndr)», ha riassunto Ashley Carman su Bloomberg.
Effettivamente, una serie di circostanze esterne al mondo della musica, come il protrarsi della pandemia, le conseguenze di Brexit e l’invasione russa dell’Ucraina, hanno continuato a pesare sui costi d’organizzazione dei tour. Il coronavirus continua a circolare, e sebbene non ci siano all’orizzonte rischi di nuove restrizioni agli eventi gli artisti continuano a rischiare di contagiarsi, circostanza che costringe a complicate riprogrammazioni o più spesso alla cancellazione di alcune date, con i relativi obblighi di rimborso.
In Italia, spiega Emiliano Colasanti, cofondatore dell’etichetta discografica 42 Records, che produce artisti come Cosmo e I Cani, il fatto che i tour normalmente siano dilazionati nell’arco di vari mesi e le date siano normalmente nei weekend permette di avere abbastanza tempo per isolare e sostituire temporaneamente i membri delle troupe che si ammalano, e quindi i concerti saltano principalmente quando ad ammalarsi sono figure insostituibili.
Nel caso di tour internazionali – ancora peggio se transcontinentali – la questione è più delicata, perché spesso sono necessarie spese extra per una stanza d’albergo in cui isolare chi si ammala ed è più difficile trovare qualcuno che sostituisca le persone positive. In genere, gli assicuratori coprono la cancellazione di una data dovuta a malattie come l’influenza, ma non le spese impreviste legate al coronavirus, che vengono quindi normalmente coperte dagli artisti stessi.
Bill Zysblat, che ha organizzato le tournée di artisti come Rolling Stones e Lady Gaga, ha raccontato al Financial Times che i costi per la cancellazione di anche solo uno o due spettacoli a causa del coronavirus sono altissimi: «se una delle nostre date in uno stadio salta, possiamo trovarci di fronte a una perdita di 3, 4 o anche 5 milioni di dollari, tra l’affitto dello stadio, i voli, i giorni spesi per la costruzione del set e il rimborso dei biglietti».
A questa moltiplicazione dei possibili costi collaterali si aggiunge il problema dell’inflazione, che ha toccato la maggior parte dei settori. «In questo momento il problema più grande è espatriare. Tra il costo degli strumenti da affittare, dei materiali e dei tecnici, anche suonare nel proprio Paese è diventato più costoso e si rischia di andare in perdita, ma sono soprattutto le band americane che devono venire in Europa e quelle europee che devono andare negli Stati Uniti che cancellano i tour», spiega Colasanti, che sta accompagnando Cosmo per un tour europeo.
Diversi degli artisti che hanno annunciato la cancellazione delle proprie tournée hanno sottolineato la situazione di disagio mentale legata allo stare in tour in un momento tanto stressante. Gli Animal Collective, per esempio, hanno detto di «non voler mettere a rischio la nostra salute fisica e mentale». Ancora prima, Arlo Parks aveva cancellato il proprio tour citando problemi di salute mentale «debilitanti» e dicendosi «a pezzi». All’inizio del proprio tour nordamericano, Demi Lovato aveva annunciato che sarebbe stata la sua ultima tournée: su Instagram, aveva scritto di non farcela più.
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«Al picco della pandemia, si sperava che l’effettiva chiusura dei tour avrebbe consentito all’industria musicale di risolvere la miriade di problemi che i musicisti devono affrontare mentre cercano di guadagnarsi da vivere in tour. Ciò ovviamente non è accaduto, e gli artisti hanno cominciato a domandarsi se tutto questo – essere in viaggio per mesi con il peso fisico e mentale che ne consegue, oltre alle aspettative altissime che arrivano insieme alla fama – ne valga davvero la pena», ha scritto su Vulture Larry Fitzmaurice.
Una delle soluzioni che alcuni artisti molto popolari come Harry Styles o gli LCD Soundsystem hanno cominciato a esplorare è quella delle “residency” – ovvero la pratica di suonare quasi ogni giorno nello stesso posto per diverse settimane di fila, invece di muoversi di città in città. L’opzione, però, non è percorribile da musicisti meno noti. A subire maggiormente le conseguenze di questa situazione sembrano essere in definitiva i musicisti e le band di media notorietà, quelli abbastanza seguiti e famosi da poter fare tour internazionali, ma con strutture organizzative e logistiche alle spalle più precarie e meno tutelate economicamente in caso di imprevisti.