La rotta balcanica dei migranti ora passa dalla Serbia
Da qualche tempo è diventata uno dei principali paesi di transito verso l'Europa occidentale, per via di una politica peculiare sui visti
Dall’inizio del 2022 il numero di migranti e richiedenti asilo che percorre la cosiddetta “rotta balcanica” per entrare nell’Unione Europea è in aumento rispetto agli anni scorsi. I numeri registrati nel periodo di picco della rotta, fra 2015 e 2016, sono lontani: nel frattempo diversi paesi hanno chiuso le frontiere e aumentato la sorveglianza dei propri confini, dentro e fuori dall’Unione Europea, con pratiche discutibili e scarso rispetto dei diritti umani. Il flusso comunque non si è mai interrotto del tutto, e negli ultimi mesi è tornato piuttosto ingente.
Secondo dati del Rapporto su migrazione e asilo della Commissione Europea, pubblicato la settimana scorsa, nei primi otto mesi del 2022 sono stati registrati 86.581 tentativi di passare il confine nei paesi dei Balcani occidentali, una regione che comprende Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Albania, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. I tentativi sono stati quasi il triplo rispetto ai primi otto mesi del 2021 e dieci volte tanto rispetto allo stesso periodo del 2019.
Politico scrive che in un evento privato il vicepresidente della Commissione Europea, il greco Margaritis Schinas, ha attribuito l’aumento del flusso soprattutto a una specifica politica della Serbia, un paese che non fa parte dell’Unione Europea ma da cui partono diversi migranti e richiedenti asilo che provano a entrare nei paesi dell’Europa occidentale.
Da molti anni la Serbia per ragioni storiche, culturali e geografiche cerca di tenere una delicata politica di equidistanza dall’Unione Europea, dalla Russia e dalla Cina. Nello spirito di questa apertura ha una politica sui visti per entrare nel proprio territorio molto liberale: dal 2017 per esempio è l’unico paese europeo in cui i cittadini dell’India possono entrare senza visto. Possono entrare in Serbia senza visto anche cittadini da Burundi, Tunisia, Turchia, Cuba e Russia, motivo per cui nelle ultime settimane moltissimi giovani russi che vogliono sfuggire alla mobilitazione parziale dell’esercito stanno scappando in Serbia.
Di questa politica stanno approfittando soprattutto molti tunisini e indiani, che a quanto pare l’hanno scoperta soltanto da poco. Di recente Le Monde ha parlato con una coppia di indiani di religione sikh arrivati a Belgrado in aereo direttamente dall’India, che hanno deciso di lasciare spiegando di essere discriminati sistematicamente dalla maggioranza di etnia hindu e religione induista.
I due hanno passato i giorni successivi al loro arrivo in un hotel di Belgrado. Dopo due giorni di viaggio sono arrivati a Subotica, un paese al confine con l’Ungheria, dove un trafficante ha promesso loro di portarli in taxi dietro pagamento di cinquemila euro. Nel frattempo dormono sul pavimento di un centro per migranti da 150 posti. Quando Le Monde ha parlato con loro, nel centro vivevano circa 350 persone.
La politica dei visti della Serbia non è l’unica ragione con cui funzionari ed esperti di immigrazione si spiegano il recente aumento dei flussi. Nel suo Rapporto la Commissione scrive per esempio che i numeri attuali sono dovuti anche a «movimenti di migranti già presenti nella regione», che provano più volte a entrare nei territori dell’Unione Europea.
Quello che la Commissione non dice è che gli stati di frontiera come Croazia e Ungheria sono noti per respingere con la violenza migranti e richiedenti asilo, e vengono accusati da anni dagli esperti di accoglienza e migrazione di fare respingimenti di massa, vietati dalle norme europee e da diversi trattati internazionali.
Ad aprile Balkan Insight aveva calcolato che nei centri e nei campi per migranti gestiti dallo stato serbo erano presenti 3.679 migranti, «e molti di più vivono in appartamenti, ostelli, case private o campeggi nelle foreste». Molti di loro provengono da molto lontano – per esempio dall’Afghanistan o dalla Siria – e verosimilmente proveranno più volte a entrare nel territorio dell’Unione Europea.
Un’altra ragione per cui la Serbia è diventata per molti migranti una tappa obbligata della rotta balcanica è che per via della guerra in Ucraina «ci sono più controlli in paesi come la Moldavia e la Romania», ha spiegato a InfoMigrants Sophie Duval, che lavora per la ong francese CCFD-Terre.
Per cercare di ridurre i flussi migratori, ormai da anni una delle priorità dell’Unione Europea, i governi europei hanno scelto di fare pressione sulla Serbia per uniformarsi alle norme europee in fatto di rilascio dei visti.
Di recente la ministra dell’Interno tedesca, la socialdemocratica Nancy Faeser, ha detto che la politica serba sui visti è «inaccettabile». A inizio ottobre il primo ministro serbo Aleksandar Vučić ha partecipato a una riunione informale con alcuni capi di governo dell’Europa orientale, al termine della quale ha annunciato che la Serbia cercherà di armonizzare la propria politica dei visti a quella dell’Unione Europea. «La Serbia non può essere usata come un paese di ingresso per l’immigrazione illegale», ha spiegato Vučić, senza però fornire ulteriori dettagli su come e quando introdurrà le modifiche promesse.