Sta iniziando la nuova legislatura
I parlamentari si stanno presentando alle camere, che forse già questa settimana avranno dei nuovi presidenti
Lunedì i parlamentari eletti lo scorso 25 settembre hanno cominciato a presentarsi alle sedi di Camera e Senato per i primi appuntamenti della nuova legislatura, la diciannovesima, che però non si è ancora formalmente aperta: l’inizio ufficiale è previsto per giovedì 13 ottobre, alle 10 alla Camera e alle 10.30 al Senato. L’articolo 61 della Costituzione stabilisce che la prima riunione delle nuove camere si tenga non oltre venti giorni dopo le elezioni.
Il “primo giorno in parlamento” dei neoeletti è stato molto raccontato sui media: alcuni sono arrivati alle camere per la prima volta e si sono mostrati un po’ spaesati sulla burocrazia da sbrigare, altri già esperti si sono mossi con più sicurezza. Le prime operazioni da compiere sono più che altro di registrazione, sia per i deputati che per i senatori, a cui è richiesto di presentarsi con un documento e con la convocazione ricevuta dopo l’elezione.
#XIXLegislatura, i deputati entrano alla Camera a partire da oggi per gli adempimenti connessi all'inizio del proprio mandato.
📹Nel video alcune immagini presso il Centro unico della Sala del Mappamondo, dove sono stati accolti dal personale di Montecitorio #OpenCamera pic.twitter.com/SrJMPmAoWY
— Camera dei deputati (@Montecitorio) October 10, 2022
Devono farsi fotografare, registrare la propria firma autografa e fornire i dati anagrafici, mentre vengono consegnati loro il regolamento della camera di appartenenza, una copia della Costituzione, il codice di attivazione dei servizi informatici (che servono, tra le altre cose, anche per presentare gli emendamenti online) e il tesserino per le votazioni elettroniche, su cui i nuovi vengono istruiti. Non tutti i 400 parlamentari e i 200 senatori eletti lo hanno fatto lunedì: c’è tempo fino alla fine della settimana.
I regolamenti della Camera dei deputati prevedono che la legislatura venga aperta dall’ex vicepresidente più anziano, in questo caso Ettore Rosato di Italia Viva (se non fosse stato presente, si sarebbe andati a ritroso ai vecchi vicepresidenti della Camera o eventualmente al deputato più anziano in aula). Al Senato invece spetta al più anziano: teoricamente sarebbe il 97enne senatore a vita Giorgio Napolitano, che aprì già la diciottesima legislatura nel 2018, ma dovrebbe essere assente per ragioni di salute. Al suo posto lo farà Liliana Segre, anche lei senatrice a vita, che di anni ne ha 92.
Aperta ufficialmente la legislatura in ciascuna delle due camere, la prima cosa da fare è eleggerne i rispettivi presidenti. Entrambe le votazioni avvengono a scrutinio segreto, ma con regole diverse sulla maggioranza da raggiungere per l’elezione: alla Camera al primo scrutinio serve una maggioranza dei due terzi dei componenti (quindi 267 voti); al secondo e al terzo scrutinio una maggioranza dei due terzi dei voti espressi (quindi il numero può variare), all’interno dei quali si contano anche le schede bianche; dal quarto in poi basta la maggioranza assoluta dei voti, cioè più della metà (anche qui quindi il numero può variare).
Al Senato invece nei primi due scrutini basta già la maggioranza assoluta dei componenti (quindi 104 voti su 206 senatori, contando i 6 a vita). Dal terzo serve la maggioranza assoluta dei presenti, e in caso non si raggiunga nemmeno così si procede nello stesso giorno a un ballottaggio tra i due candidati più votati nella terza votazione, in cui viene eletto chi tra i due prenda più voti. A parità di voti viene eletto il più anziano.
Solitamente le votazioni per i due presidenti delle camere non richiedono più di uno o due giorni: ce ne vollero due persino all’inizio della scorsa legislatura per eleggere Roberto Fico alla Camera (al quarto scrutinio) ed Elisabetta Casellati al Senato (al terzo), nonostante le elezioni avessero prodotto un parlamento assai più frammentato di quello che si insedierà giovedì. Ci si aspetta, insomma, che entro venerdì 14 ottobre entrambi i presidenti possano già essere eletti.
Questa volta le discussioni sono soprattutto interne alla coalizione di destra, e potrebbero essere meno semplici del previsto perché dall’assegnazione della presidenza delle camere potrebbero dipendere anche alcune scelte sui ministri del prossimo governo. Il Corriere della Sera scrive che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia vorrebbero proporre alla presidenza del Senato un loro eletto e politico di lunga esperienza, Ignazio La Russa, già vicepresidente nell’ultima legislatura. Alla Lega lascerebbero invece la presidenza della Camera (sempre il Corriere fa il nome di Riccardo Molinari), ma sembra che la Lega stia invece chiedendo la presidenza del Senato, proponendo Roberto Calderoli.
Se Meloni dovesse cedere su questo punto, è probabile che alla Lega verrà fatta qualche concessione in meno sulle pretese avanzate per i ministeri, e viceversa la Lega potrebbe avere qualche margine in più di manovra nelle prossime trattative per il governo se dovesse “accontentarsi” della presidenza della Camera.
Per alcuni decenni, dalla fine degli anni Sessanta in poi, fu una prassi consolidata della politica italiana che la maggioranza emersa dalle elezioni lasciasse la presidenza della Camera all’opposizione, per una questione di contrappesi. I presidenti delle camere infatti hanno un ruolo importante nella decisione di modalità e tempistiche delle discussioni in aula, e quindi possono influenzare quando e come vengono approvate le leggi. Questa pratica, che distribuiva parte dei poteri istituzionali all’opposizione, venne accantonata con la Seconda Repubblica: nel 1994 il centrodestra di Silvio Berlusconi non volle rieleggere Giovanni Spadolini come presidente del Senato, ma pretese di nominare un’esponente della propria coalizione, Irene Pivetti della Lega, anche come presidente della Camera. Da allora le maggioranze si sono sempre tenute entrambe le presidenze.
Eletti i presidenti si passerà poi sia alla Camera che al Senato all’elezione di quattro vicepresidenti, di tre questori (che hanno il compito di vigilare sull’applicazione delle norme della Camera e di far applicare le direttive del presidente) e di otto segretari.
Entro due giorni dalla prima seduta delle camere deputati e senatori dovranno aderire ai gruppi parlamentari, che teoricamente dovrebbero riflettere l’appartenenza ai partiti politici con cui sono stati eletti: servono almeno 20 deputati per costituire un gruppo alla Camera e 10 senatori al Senato, chi non fa parte di nessun gruppo confluisce nel “gruppo misto”. Nel corso della legislatura non è raro che i parlamentari cambino gruppo, o che più parlamentari si stacchino dai loro gruppi precedenti per formarne un altro (nell’ultima lo fecero per esempio quelli che seguirono Matteo Renzi nella formazione del gruppo di Italia Viva, soprattutto dal PD ma non solo).
Dopo le elezioni alle camere potranno cominciare le consultazioni, una fase non regolata dalla Costituzione ma instauratasi per convenzione come prassi consolidata (viene definita “consuetudine costituzionale”): il presidente della Repubblica convoca al Quirinale i presidenti dei vari gruppi parlamentari, i leader delle coalizioni, i presidenti delle camere e gli ex presidenti della Repubblica. Al termine delle consultazioni il presidente deciderà se e a chi assegnare l’incarico per la formazione del nuovo governo: in questo caso a Giorgia Meloni, a meno di avvenimenti al momento imprevedibili.
Solitamente per la formazione dei governi in Italia ci vogliono fra i 30 e i 35 giorni dalle elezioni. Nel 2018 ci vollero quasi tre mesi per riuscire a mettere d’accordo una maggioranza formata da Movimento 5 Stelle e Lega. In questo caso i tempi dovrebbero essere più brevi, vista la chiara maggioranza di destra emersa dopo il 25 settembre: un buon precedente da guardare potrebbe essere quello del 2001, quando vinse chiaramente il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi e il governo si formò l’11 giugno, meno di un mese dopo le elezioni del 13 maggio.
È probabile insomma che le consultazioni e la formazione del governo si terranno tra la fine della prossima settimana e l’inizio della successiva. Molto dipenderà dagli accordi tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sui ministeri, sulla buona riuscita dei quali si misurerà già la tenuta della coalizione al governo.
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