Il dibattito sul Nobel a Ben Bernanke
L'ex presidente della FED è stato premiato per studi degli anni Ottanta, ma il suo operato più recente è giudicato controverso
L’assegnazione del Nobel per l’Economia di quest’anno a Ben Bernanke, ex presidente della Federal Reserve (la banca centrale statunitense, FED), ha creato alcune perplessità tra gli osservatori. Bernanke è stato presidente della FED dal 2006 al 2014 e ha avuto un ruolo importantissimo durante la crisi finanziaria del 2008, ma non tutti sono concordi nel dire che la sua gestione sia stata delle migliori. Spesso è stato criticato per aver sottovalutato la bolla immobiliare che ha poi portato alla crisi dei mutui sub-prime, al fallimento della banca d’affari Lehman Brothers e infine alla crisi finanziaria che si è poi diffusa al resto del mondo.
Il premio gli è stato assegnato assieme agli economisti Douglas W. Diamond e Philip H. Dybvig «per le loro ricerche sulle banche e le crisi finanziarie». È la prima volta nella storia del premio che questo viene dato a un ex banchiere centrale: solitamente i premiati sono accademici e professori universitari. Il Nobel per l’Economia, in ogni caso, gli è stato assegnato per i suoi studi e non per la sua azione come banchiere centrale.
Le ragioni del premio
Bernanke, Diamond e Dybvig hanno ricevuto il premio per i loro studi compiuti all’inizio degli anni Ottanta. Secondo la commissione dei Nobel, i tre economisti hanno esteso notevolmente le conoscenze sul ruolo delle banche nei cicli economici, e in particolare durante le crisi finanziarie. Dai loro lavori è emerso quanto sia importante evitare che le banche arrivino al fallimento, anche fornendo strumenti per sostenerle temporaneamente per evitare contraccolpi ancora più gravi sull’economia.
Bernanke ha dedicato una parte importante dei propri studi alla Grande depressione, la grave crisi economica e finanziaria globale iniziata alla fine degli anni Venti del Novecento. Ha analizzato il comportamento e l’evoluzione nella gestione delle banche quando le crisi diventano lunghe e sempre più profonde. Bernanke nel 1983 dimostrò che a rendere tanto grave e prolungato il disastro degli anni Trenta, con decine di milioni di disoccupati e tutto quanto ne seguì, fu la paralisi del sistema creditizio, con innumerevoli fallimenti di banche.
Nello stesso anno, Diamond e Dybvig hanno elaborato una teoria su come le banche falliscono e su quali danni provocano quando falliscono. Il loro modello, conosciuto anche come il “modello DD”, ha spiegato il fenomeno delle cosiddette corse agli sportelli, nelle quali i correntisti si accalcano agli sportelli di una banca per ritirare il proprio denaro, nel timore che la banca fallisca e di perdere così le somme depositate. Spesso questi comportamenti vengono definiti irrazionali, dettati più dal panico che da fattori reali. Una famosa scena del film Mary Poppins viene spesso usata come metafora di questo fenomeno.
Il modello dei due economisti premi Nobel ci spiega invece che le corse agli sportelli sono il frutto di un comportamento individuale che è razionale, nonostante l’esito collettivo sia quello di portare una banca al suo fallimento, un finale che tutti quanti eviteremmo. L’attività di una banca si basa su un equilibrio tutto sommato rischioso. Le banche raccolgono denaro dai correntisti e lo usano in larga parte per investire, concedere mutui e prestiti. Quindi le banche non hanno mai a disposizione tutti i soldi dei correntisti, confidando nel fatto che è improbabile che tutti quanti ritirino la totalità dei fondi nello stesso momento.
Se un correntista si aspetta che gli altri ritirino oggi dalla banca solo quanto è necessario per fare fronte alle loro esigenze di consumo, riterrà che la banca sia al sicuro e di conseguenza farà così anche lui: ritirerà dal suo conto corrente solo quanto gli serve. Se tutti condividono questa aspettativa, tutti faranno così e la banca sarà effettivamente al sicuro: si tratta di una profezia che si autoavvera. Ma se un depositante si aspetta che tutti gli altri vadano oggi in banca a ritirare il loro denaro, la sua risposta sarà quella di correre in banca a ritirare il suo, sapendo che domani potrebbe essere troppo tardi. Se tutti condividono questa aspettativa, andranno a ritirare i loro depositi e la banca fallirà. Se una banca fallisce, molti correntisti perderanno i loro risparmi, con delle conseguenze enormi dal punto di vista economico e sociale.
Le idee dei tre economisti premiati furono ai tempi fortemente innovative e sono oggi una componente importantissima della teoria economica.
Le critiche mosse a Bernanke, infatti, non riguardano l’importanza dei loro studi all’interno del patrimonio delle scienze economiche, ma l’opportunità di consegnare il premio a un ex banchiere centrale che è stato spesso criticato per come ha gestito la crisi finanziaria, e proprio nel momento in cui, a detta di molti, stanno venendo fuori le distorsioni delle politiche monetarie di Bernanke, che sono state poi imitate dal resto del mondo.
Queste discussioni dipendono anche dal fatto che il Nobel – specie i premi di maggior portata sociale e politica, come quello per la Pace e quello per l’Economia – viene spesso interpretato come un premio che ha ricadute sul presente: non è un caso che quest’anno il premio Nobel per la Pace, per esempio, sia stato dato a un attivista e a due organizzazioni coinvolte nel conflitto tra Ucraina e Russia.
La crisi finanziaria del 2008
Per capire le critiche bisogna fare un passo indietro e capire le origini della crisi finanziaria che Bernanke si è trovato ad affrontare. Tutte le banche centrali del mondo hanno la missione fondamentale di mantenere la stabilità dei prezzi, e quindi l’inflazione sotto controllo.
Questo obiettivo viene perseguito tramite le cosiddette politiche monetarie, la principale delle quali è la regolazione dei tassi di interesse con cui le stesse banche centrali prestano soldi alle altre banche. Più questi tassi sono bassi, più le banche chiedono soldi a prestito e più denaro circola nel sistema. Le banche centrali li aumentano quando ritengono che il sistema si sia “surriscaldato” e i prezzi sono in aumento: significa che si sta generando inflazione e le banche centrali decidono di aumentare i tassi di interesse per frenare la crescita dell’economia ed evitare che i prezzi salgano troppo (come sta accadendo in questi mesi).
Dagli anni Ottanta fino ai primi anni Duemila, la FED ha agito in maniera piuttosto conservatrice, tenendo i tassi bassi. Quando ci fu l’attentato terroristico dell’11 settembre a New York e a Washington la FED (di cui al tempo Bernanke era uno dei dirigenti, ma non il presidente) rispose con un abbassamento netto dei tassi di interesse, inondando di fatto il mercato di dollari per sostenere l’economia.
Quando i tassi di interesse fissati da una banca centrale sono bassi, significa che circola molto denaro: è più facile ottenere prestiti e anche i tassi di interesse praticati ai clienti delle banche si abbassano. Per tutto il periodo dei tassi di interesse bassi le banche fecero molta fatica a ottenere guadagni interessanti, visto il costo basso del denaro che concedevano in prestito: scommettere in operazioni molto rischiose, ma che consentivano forti guadagni, fu particolarmente attraente per i banchieri.
Negli anni Duemila, sotto le presidenze di Bill Clinton e George W. Bush, ci fu poi una grande opera di deregolamentazione di Wall Street, che ha permesso alle banche di fare cose molto più rischiose e di indebitarsi molto più di quanto potessero fare prima. I tassi bassi e i magri ritorni economici che causavano incentivarono le banche a essere sempre più spericolate. Nacque da qui la bolla dei mutui subprime, che in poche parole si può riassumere e semplificare così: le banche avevano talmente tanti soldi fermi che non rendevano nulla (o che rendevano poco) che cominciarono a prestare denaro a chiunque, anche a chi non aveva le carte in regola per restituire il prestito.
Molti mutui erogati significava molte case comprate e molte case comprate significava aumento costante del valore delle case per via della legge della domanda e dell’offerta. Quando la FED decise finalmente di alzare di nuovo i tassi, l’intero meccanismo si inceppò di colpo. Le rate dei mutui a tasso variabile (cioè legati all’andamento di un tasso di interesse, come per esempio il tasso di interesse praticato dalla FED) aumentarono e molti americani non furono in grado di ripagarli. Le banche e le altre società finanziarie si ripresero le case messe a garanzia dei prestiti e cercarono di venderle per rientrare del loro investimento, ma con migliaia di casa rimesse improvvisamente sul mercato, il valore degli immobili crollò di colpo, lasciando enormi vuoti nei bilanci delle società finanziarie.
Nel frattempo, le grosse banche d’affari hanno speculato su questi mutui, impacchettando, spezzettando e impacchettando di nuovo i mutui iniziali in titoli derivati (che non a caso venivano chiamati “salsicce”). Erano titoli estremamente complicati di cui era quasi impossibile capire con facilità quale fosse la base che li garantiva all’origine. Lehman Brothers era tra le banche d’affari più esposte a queste operazioni e fallì nel settembre 2008.
– Leggi anche: Una scena di “La grande scommessa”
Le critiche a Bernanke
Durante il proprio incarico come presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke ha dovuto affrontare la grave crisi finanziaria ed economica iniziata proprio col fallimento di Lehman Brothers, che ha messo in luce tutte le storture della finanza più spregiudicata di Wall Street.
Il Wall Street Journal ha scritto un editoriale piuttosto polemico sull’assegnazione del Nobel e molto duro sulle decisioni di Ben Bernanke in quel periodo. Secondo il giornale americano, Ben Bernanke avrebbe innanzitutto favorito la speculazione molto aggressiva dell’inizio degli anni Duemila: negli anni precedenti al suo incarico come presidente della FED faceva già parte del Consiglio direttivo della banca centrale e avrebbe convinto il board e l’allora presidente Alan Greenspan a tenere bassi in modo piuttosto insolito i tassi di interesse nel 2003, anche se l’economia stava andando bene e non c’era particolarmente bisogno di uno stimolo monetario.
Questo, secondo il Wall Street Journal, avrebbe contribuito al surriscaldamento e alla bolla del mercato immobiliare, grazie alla concessione di mutui a tassi bassissimi.
Poi, da presidente della FED, secondo molti, non avrebbe visto in tempo i segnali che portarono alla crisi. Nei verbali delle riunioni della FED risalenti al 2007 si legge molto poco delle condizioni del mercato e delle fragilità che sarebbero venute fuori a breve. Molti si sono chiesti come sia stato possibile che una banca centrale non avesse il minimo sentore delle attività di speculazione troppo spericolate che conducevano le banche a Wall Street.
L’errore di Bernanke e della FED, sempre secondo il Wall Street Journal, è stato quello di considerare la stabilità finanziaria come una questione puramente normativa e di sola competenza legislativa, ignorando di fatto gli incentivi che la politica monetaria è capace di creare. Probabilmente, con tassi di interesse un po’ più alti, per le banche d’affari non sarebbe stato conveniente speculare così tanto.
Un’ulteriore responsabilità che viene assegnata a Bernanke riguarda gli strumenti non convenzionali che usò per evitare il totale tracollo finanziario degli Stati Uniti. Si deve a lui il famoso quantitative easing, quella politica monetaria per cui la banca centrale acquista titoli finanziari in quantità massicce per immettere liquidità nel sistema e risollevare così l’economia. L’approccio di Bernanke fu particolarmente aggressivo, tanto che si arrivò a parlare di helicopter money, ossia di denaro calato dall’alto sul sistema economico e finanziario, come se fosse lanciato da un elicottero. Da una parte è una politica molto efficace proprio per la sua aggressività, dall’altra però distribuisce soldi anche a chi non ne avrebbe bisogno, causando potenzialmente distorsioni e aumentando le disuguaglianze.
Alla luce di quanto succede in questi mesi, con i prezzi che aumentano tantissimo e un’inflazione che non si vedeva da decenni, molti vedono in queste politiche l’origine di queste storture. Era dalla crisi del 2008 che i tassi di interesse erano vicini allo zero, per cercare di far risollevare l’economia da uno dei momenti più difficili. Secondo alcuni, l’aggressività di questa politica, imitata poi anche dalla Banca Centrale Europea di Mario Draghi, avrebbe gettato le basi per il surriscaldamento dell’economia che abbiamo visto in questi anni. Molti altri commentatori, invece, sostengono che senza il quantitative easing l’economia non sarebbe mai riuscita a riprendersi dal 2008.
Tuttavia, c’è da considerare come alla condizione di oggi si sia arrivati dopo una pandemia e durante una guerra: la ripartenza repentina del sistema economico dopo i vari lockdown, con i consumatori che hanno ripreso tutto d’un tratto a spendere, ha generato molti problemi nelle catene di approvvigionamento di materie prime e prodotti finiti, generando così un aumento dei prezzi consistente; a questo si è poi aggiunta la guerra in Ucraina, che ha fatto rincarare notevolmente il gas e l’energia. È difficile credere che dietro all’inflazione notevole di questi mesi ci siano politiche che risalgono a 15 anni fa.
Bisogna ricordare inoltre che il premio Nobel è stato assegnato a Bernanke e agli altri come studioso e non come banchiere centrale. Tanto che un altro economista premio Nobel e opinionista del New York Times, Paul Krugman, famoso anche per aver sempre criticato l’operato di Bernanke, ha parlato di un Nobel meritatissimo per il contributo notevole che i tre premiati avrebbero dato alla conoscenza economica.
Anyway, a richly deserved prize. As usual, a number of other people besides Bernanke deserved to share. (Would I say that about my own? Yes!) But this is a prize for work that really did contribute in an important way to understanding 15/
— Paul Krugman (@paulkrugman) October 10, 2022