Come sta andando la mobilitazione delle truppe russe?
Il governo dice di aver già arruolato 200.000 soldati, ma non è detto che avrà il tempo di addestrarli adeguatamente
Meno di un mese fa, il 21 settembre, Vladimir Putin annunciava alla Russia la “mobilitazione parziale” di uomini fra i 18 e i 50 anni da inviare al fronte in Ucraina. L’obiettivo era arruolare 300.000 soldati, che secondo le dichiarazioni ufficiali sarebbero stati scelti fra i “riservisti”: negli ultimi giorni l’operazione di reclutamento, secondo il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, sarebbe arrivata a due terzi, con oltre 200mila arruolati.
Alcuni di questi nuovi soldati sarebbero già stati mandati al fronte, ma non è ancora del tutto chiaro quale sarà il loro impatto. Anche perché, come ritengono vari esperti, la Russia non ha ancora deciso del tutto cosa fare con le enormi quantità di nuovi coscritti che sono entrati o stanno per entrare nel suo esercito: se inviarli immediatamente al fronte per frenare l’avanzata ucraina, correndo il rischio che siano impreparati e male addestrati, oppure se prendersi il tempo necessario per l’addestramento, correndo però il rischio di perdere altro territorio a favore degli ucraini.
La mobilitazione ha provocato problemi e critiche in Russia: ha causato la fuga all’estero di un numero importante di russi e generato un forte sentimento di opposizione interno, anche in settori della popolazione che finora avevano guardato alla guerra in Ucraina con approvazione o sostanziale disinteresse.
Fin dai primi giorni dell’annuncio, molti esperti avevano mostrato grossi dubbi sulla possibilità che una coscrizione di leva, che in Russia non si realizzava dalla Seconda guerra mondiale, potesse avere un impatto in una guerra moderna. Dal 2008 la Russia, come numerosi altri paesi, aveva deciso di rendere il suo esercito sempre più professionale, con militari di carriera, e meno dipendente dalla leva, in un tentativo di modernizzare le sue forze armate che si è rivelato decisamente insufficiente.
Le grandi perdite fra i 150.000 militari inizialmente stanziati per la cosiddetta “Operazione speciale” e i successi della controffensiva ucraina hanno spinto Vladimir Putin a un cambio di politica, già auspicato dai nazionalisti più critici sulla gestione della guerra. Secondo le stime del ministero della Difesa americano la Russia e i separatisti delle autoproclamate repubbliche del Donbass avrebbero perso 80.000 soldati fra morti, feriti e prigionieri. Il governo russo sostiene invece che i morti nel proprio contingente siano seimila appena.
Ora l’esercito sta ammassando uomini, in una coscrizione obbligatoria che non ha riguardato solo i riservisti e che mostra molte differenze a seconda delle regioni del paese: quelle della Russia asiatica, dove vivono le minoranze etniche e le fasce più povere della popolazione, sembrano esserne state interessate in misura percentualmente maggiore.
I metodi di impiego di tale grande numero di uomini pongono però dei problemi di non facile soluzione per l’esercito russo: addestrare e rendere pronti a un conflitto i militari di leva presupporrebbe almeno 3-4 mesi di preparazione, potenzialmente troppi per un esercito che nelle regioni occupate viene descritto come “esausto e poco motivato”. L’altra possibilità è quella di avere forze fresche subito, riducendo al minimo l’addestramento e inserendo i coscritti nelle unità già presenti sul territorio ucraino. In questo modo riempirebbero i vuoti lasciati da chi è stato ferito, ucciso o catturato, ma costituirebbero un rinforzo solo numerico e forse poco efficiente.
Molte testimonianze dai social network, ma anche dai report dei servizi di intelligence, fanno pensare che la Russia abbia scelto almeno in parte la seconda via, fornendo un supporto immediato ma impreparato ai comandanti delle forze in Ucraina. Alcuni soldati russi, ad esempio, sui social si lamentano di un addestramento ridotto a una giornata in cui hanno sparato tre colpi con un fucile automatico. Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio di Difesa ucraino, e quindi fonte molto parziale, seppur informata, ha detto recentemente: «Molti dei russi mobilitati sono già al fronte, molti sono stati catturati, molti sono stati già distrutti».
Russians who were mobilized 11 days ago are now on the front in Svatove. They received one day of training which consisted of firing 3 bursts from a machine gun. pic.twitter.com/hJb7FKShL9
— Jack Ryan 🇺🇸🇺🇦 (@jackryan212) October 11, 2022
Più probabilmente la Russia sta inviando parte dei rinforzi immediatamente, mentre altri sono in fase di formazione. Il ministro della Difesa Shoigu aveva annunciato l’installazione di 80 campi e 6 centri di addestramento, anche se un ulteriore problema può essere costituito dalla carenza di addestratori, con i soldati professionisti e più esperti in gran parte impegnati direttamente nel conflitto. Una testimonianza dei problemi organizzativi arriva anche dal rinvio della leva classica, quella annuale, posticipata di un mese e ridotta nei numeri.
Alcuni dei campi di addestramento sono stati mostrati pubblicamente sui media da alcune autorità locali, come quelli di San Pietroburgo, Krasnodar, Rostov o della base militare di Pechenga, nella regione al nord della Russia al confine con la Norvegia. L’obiettivo di alcuni di questi articoli e video era smentire che le condizioni dei soldati fossero difficili, con attrezzature vetuste ed equipaggiamento inadeguato, come invece era trapelato dai social network. I comandanti di alcuni di questi centri hanno dichiarato che la fase di addestramento durerà un mese.
L’esercito russo ha fretta perché, come ha stimato Jeremy Fleming, direttore dell’agenzia governativa britannica di sicurezza e intelligence, «le forze russe sono esauste e il ricorso all’uso di prigionieri e alla mobilitazione di decine di migliaia di coscritti senza esperienza è segno di una situazione disperata». Secondo le informazioni di Fleming l’esercito russo sarebbe anche a corto di munizioni: un problema che si aggiungerebbe a una generale disorganizzazione e a casi non così isolati di «sabotaggi e rifiuti di eseguire ordini».
Dal giorno dell’annuncio della mobilitazione parziale avrebbero inoltre lasciato la Russia almeno 700mila cittadini, secondo i dati dell’edizione russa della rivista Forbes. Molti di questi si sarebbero diretti verso i paesi dell’Asia centrale più disposti ad accogliere i russi, fra cui Kazakistan, Mongolia e Georgia.