I giornalisti e le vostre foto di catastrofi
Chiedere il permesso di ripubblicarle per raccontare le notizie in diretta è una pratica comune per i media anglosassoni, che ci hanno costruito intorno dei rituali
di Jeremy Barr - The Washington Post
Quando la scorsa settimana ha pubblicato una fotografia della casa di sua madre allagata dall’uragano Ian, Beth Booker ha ricevuto messaggi di preoccupazione e solidarietà a non finire. Sono arrivate in abbondanza anche le richieste da parte dei mezzi di informazione di utilizzare le sue foto per raccontare la notizia. «Ho ricevuto molti messaggi privati in cui mi chiedevano di intervistare mia madre e di usare le mie foto» ha scritto Booker su Twitter. «La-sua-casa-è-sott’acqua. Siamo letteralmente nell’occhio del ciclone. No, non abbiamo tempo per le interviste».
Sui social media, da cui testate locali, nazionali e globali attingono costantemente immagini degne di nota scattate da gente qualunque, è diventato un rituale quasi quotidiano per i giornalisti chiedere a persone comuni il permesso di ripubblicare immagini di un disastro naturale. Alcune agenzie di stampa, come Reuters, hanno persino degli account di Twitter dedicati.
You don’t need any answers, just visit Edinburg and you’ll see it by yourself. The best person to answer your question should be the mayor of Edinburgh
— stan isaac mugi (@stan_mugi) August 26, 2022
Sono giornalisti che non cercano esclusivamente foto che ritraggano situazioni di vita o di morte. Ad agosto, per esempio, un giornalista della tv News 12 Long Island si è precipitato su Twitter per chiedere il permesso di usare una foto scattata a una fila «assurda» di persone fuori da una pizzeria che stava per chiudere a Holbrook, nello stato di New York. Ma la pratica è soprattutto comune dopo una calamità naturale o un evento meteorologico estremo quando riguardano un’ampia fascia di territorio.
«Fotografi e videomaker non possono essere ovunque e spesso non ci sono quando si verifica la catastrofe: per questo i notiziari televisivi vanno a caccia di immagini sui social media» dice Mark Feldstein, professore di giornalismo televisivo al Philip Merrill College of Journalism della University of Maryland. È anche una caccia relativamente facile. La spropositata disponibilità di immagini virali che mostrano la distruzione portata dall’uragano Ian in Florida e nel South Carolina permette alle reti televisive di passare semplicemente alla persona successiva, se la prima dice di no o non risponde.
Hi there – Sara with CNN here. Are you safe?? Did you take this video? If so, can CNN use your photo/video on all CNN media, worldwide in perpetuity along with affiliate distribution? Thanks and stay safe!
— Sara Smart (@CNN_Sara) September 30, 2022
Se da un lato la richiesta da parte dei giornalisti di utilizzare il lavoro altrui non è certo una novità, dall’altro la natura pubblica dei social media ha svelato il dietro le quinte della procedura e dato modo a chiunque di commentarlo. Qualcuno è rimasto infastidito nel vedere aziende giornalistiche multimilionarie implorare di fatto del materiale gratuito, di solito offrendo in cambio al fotografo amatoriale nient’altro che una citazione in didascalia. E poi c’è la questione di come queste richieste vengono formulate, spesso e volentieri con un artificioso misto di tono preoccupato e di solenne legalese.
«Oddio! Spero che stiate tutti bene!» ha scritto a Beth Booker un membro della redazione di ABC Action News, dopo aver visto la casa sommersa di sua madre a Fort Myers Beach. «Mi chiedevo se detenesse i diritti di questa foto/questo video. In tal caso ABC Action News vorrebbe per sé e per i suoi affiliati della Scripps il permesso di utilizzare la foto/il video su tutte le nostre piattaforme (televisive e digitali). Ovviamente il suo nome sarà indicato!»
Barbara S. Cochran, veterana di NBC News e CBS News, oggi professoressa emerita presso la scuola di giornalismo dell’Università del Missouri, l’ha paragonato alla secolare pratica giornalistica di bussare alla porta di parenti e conoscenti di una vittima di omicidio per chiedere una fotografia. In entrambi i casi, dice Cochran, il giornalista che fa la richiesta è tenuto a rispettare il volere della persona che ha scattato la fotografia e ad accettare un eventuale «no» come risposta.
Idk who Amanda is, so, no. Now, if you credit me, Amelia Vogler, then yes, you may. Thanks, Daily Guardian!
— Amelia Vogler (she/her/hers) (@Amelia_Vogler) May 31, 2019
«C’è un momento in un’emergenza, qualunque essa sia, in cui l’emergenza è ancora in corso, e se prendi contatti con i coinvolti in qualità di giornalista ti stai muovendo in un terreno minato» dice Kelly McBride, studiosa di etica dell’informazione. Per McBride negli ultimi anni i giornalisti sono generalmente molto migliorati nel mostrare empatia e compassione quando chiedono il permesso di ripubblicare le foto. E respinge le accuse di chi dipinge i media come parassiti del dolore della gente comune: «Penso che il dovere di un giornalista sia raccontare una storia nella maniera più accurata possibile, e setacciare i social media per documentare un fenomeno della portata di un uragano è chiaramente una strategia sensata. Se non lo fai, il tuo pezzo sarà probabilmente meno completo».
Tatto a parte, c’è poi la questione dei soldi. Nel 2019, quando un account ufficiale di Fox News chiese a un utente di Twitter il permesso di utilizzare la sua foto di una gru crollata a Dallas, la risposta arrivò in pochi minuti: «Certo, quanto?».
La replica della maggior parte delle testate, di solito, è «niente». C’è chi le accusa di appoggiarsi alle fotografie delle persone comuni in modo da escludere i fotografi professionisti e tagliare i costi, mettendo ulteriormente a dura prova una professione già indebolita. E alcuni dei suddetti fotografi professionisti sono arrivati al punto di intercedere sui social a favore dei dilettanti, esortandoli a chiedere un compenso prima di rinunciare ai diritti sulle proprie immagini.
«Le aziende giornalistiche traggono profitto da queste interviste, e grazie ai video spettacolari girati dai cellulari ottengono molti clic e molto pubblico, ma per averli spesso non vogliono pagare» dice Feldstein. «C’è uno sfruttamento un po’ macabro in questo fatto che i notiziari guadagnino dalla disperazione di altri senza ricompensarli per il loro aiuto quando più ne avrebbero bisogno».
*long exhale, leaning back in chair*
now. we wait.
— Rob DiRienzo (@RobDiRienzo) February 14, 2018
Molti fotografi dilettanti alla fine autorizzano i giornalisti a usare le loro foto gratuitamente. Vedere in televisione una fotografia che hai scattato è sempre emozionante, e per chi racconta disastri naturali o si batte per cause che richiederebbero maggiore attenzione la visibilità può essere un buon compromesso, in assenza di un compenso. «È possibile, a mio avviso, che chi pubblica un video voglia semplicemente che altri siano testimoni di ciò cui ha assistito» spiega Cochran. «Vuole condividere la propria esperienza. Trovo del tutto giustificabile che i giornalisti gli chiedano di farlo, e nella maggior parte dei casi i destinatari della richiesta non hanno nulla in contrario».
Dan Shelley, presidente della Radio Television Digital News Association, ha individuato un’altra potenziale complicazione: è importante che i giornalisti si assicurino che la persona che ha pubblicato l’immagine ne sia effettivamente l’autrice. Se una tv mostra un’immagine senza il permesso dell’autore, può essere citata in giudizio dal legittimo proprietario per violazione del copyright. «Anche se è stato involontario e le testate giornalistiche hanno agito in buona fede, le denunce per violazione sono comunque frequenti» ha affermato.
Pur avendo inizialmente espresso preoccupazione per le richieste dei media di intervistare sua madre e utilizzare le immagini, il giorno dopo Beth Booker ha deciso di concedere un’autorizzazione generale. «Va bene» ha scritto. «Avete la mia completa autorizzazione a usare queste foto e condividere la nostra storia. Sono disposta a tutto pur di attirare l’attenzione su mia madre e ricongiungermi con lei prima possibile. Condividete in lungo e in largo per tenere viva la speranza». La sua storia si è conclusa felicemente: la madre è stata trovata.
© 2022, The Washington Post
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(traduzione di Sara Reggiani)