La storia dell’uomo dietro al successo del pistacchio in Spagna
Nonostante gli scettici, l'agronomo José Francisco Couceiro è riuscito a far sviluppare la coltivazione della pianta nel paese
Fino a qualche anno fa il paesaggio della comunità autonoma spagnola di Castiglia-La Mancia, a sud di Madrid, era caratterizzato perlopiù da vigneti, oliveti e coltivazioni di cereali: oggi si vedono sempre più spesso distese di alberi di pistacchio, una pianta da frutto originaria del Medio Oriente e molto diffusa nelle regioni mediterranee, Italia compresa. Il País ha raccontato la storia del principale responsabile del successo della coltivazione del pistacchio in Spagna: José Francisco Couceiro, un agronomo che cominciò a occuparsene nella seconda metà degli anni Ottanta.
Nel 1986 l’allora ventottenne Couceiro ottenne l’incarico di cercare coltivazioni alternative a quelle tradizionali del territorio di Castiglia-La Mancia. Cominciò quindi a chiedere informazioni e consigli ad agronomi di altri paesi che avevano climi simili a quello della regione: estati molto calde e soleggiate, con poche precipitazioni, e inverni abbastanza freddi. Ricevette risposte scritte da colleghi di Siria, Iran e Iraq, e avvolto in un foglio di carta bagnata gli fu recapitato anche un germoglio di pistacchio.
L’anno successivo, piantò il primo albero di pistacchio nell’ambito di un progetto sperimentale in una tenuta del Centro di indagine agroambientale El Chaparrillo, a nord-ovest di Ciudad Real, circa 190 chilometri a sud di Madrid. Inizialmente l’idea di piantare pistacchi in Spagna fu accolta con grande scetticismo dagli agricoltori e dagli esperti. Un agronomo che era passato dalla tenuta un giorno aveva definito l’iniziativa una «bella stronzata!»; anche Ladislao López, un viticoltore che aveva cominciato a lavorare nella zona nel 1993, ha raccontato al País di aver pensato che Couceiro fosse pazzo. Tutti però dovettero ricredersi.
Couceiro non fu il primo a introdurre la coltivazione del pistacchio in Spagna: ci era riuscito già l’agronomo Francisco Vargas, che nel 1975 aveva cominciato a piantarne vicino a Tarragona, in Catalogna, nel nord-est. Fu tuttavia quello che riuscì a espandere in maniera significativa la sua coltivazione nel paese.
Secondo i suoi calcoli, attualmente gli alberi di pistacchio in Spagna occupano una superficie totale di circa 700 chilometri quadrati, più o meno 4 volte la superficie della città di Milano. La coltivazione della pianta è aumentata soprattutto negli ultimi dieci anni, estendendosi in particolare anche all’Andalusia, nel sud.
Couceiro ha raccontato al País che per dieci anni aveva lavorato «in solitudine e nel silenzio», in un contesto che ha descritto simile a quello del Don Chisciotte della Mancia, il celeberrimo romanzo di Miguel de Cervantes: «Solo, completamente solo, qui con il pistacchio». Poi, dopo molti esperimenti mal riusciti, assieme a un piccolo gruppo di collaboratori era riuscito a capire come far fruttare le piante al meglio.
Il pistacchio è una pianta grossa e longeva, che si adatta bene anche a terreni secchi e poco profondi. Può vivere fino a 300 anni ma cresce molto lentamente e ci impiega almeno 5-6 anni prima di dare frutti. Il freddo prolungato in tarda primavera può comprometterne la produzione.
Con vari esperimenti Couceiro capì che il modo migliore per far rendere le piante era innestare la gemma della varietà di pistacchio che arrivava dall’Iran sul tronco di un albero autoctono, conosciuto in spagnolo come “cornicabra”, nome spagnolo con cui è conosciuto il terebinto, un arbusto spontaneo che cresce nella macchia mediterranea. Oggi questi alberi con tronco spagnolo e rami iraniani, per così dire, possono produrre fino a una tonnellata di pistacchi ogni 10mila metri quadrati di terreno; assicurano anche buoni margini di profitto, visto che il prezzo medio dei pistacchi all’ingrosso può superare i 6mila euro alla tonnellata (per fare un confronto, quello dei pomodori è di circa 1.000).
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Dato il successo delle prime coltivazioni, la comunità locale cominciò a distribuire gratuitamente gemme di pistacchio a chiunque le volesse coltivare, e quelli che decisero di farlo diventarono ricchi, racconta Couceiro. Adesso però le cose stanno un po’ cambiando.
Negli ultimi tempi molti terreni della provincia di Castiglia-La Mancia sono stati comprati da società di investimento o singoli investitori (tra cui molti calciatori) che vogliono appunto impiegarli per la coltivazione di quello che è stato definito “il nuovo oro verde”, dal colore dei frutti del pistacchio. Nonostante l’interesse allargato per la coltivazione del pistacchio, secondo Couceiro è però possibile che queste nuove coltivazioni non avranno molto successo.
Couceiro ha spiegato che a molti agricoltori viene detto in maniera errata che i pistacchi possono crescere un po’ ovunque, col risultato che parecchi non vengono piantati in regioni con il clima adatto. Di recente per esempio se ne sono visti anche in Galizia o nella provincia di León, nel nord-ovest della Spagna, dove il clima è più freddo e umido: e l’umidità «è un veleno per il pistacchio», ha detto Couceiro.
In più, spesso nelle nuove coltivazioni non viene usato il tronco della specie di terebinto autoctona innestato con le gemme di pistacchio, ma una pianta che è stata creata tramite ibridazione negli Stati Uniti ed è quella impiegata comunemente per la coltivazione del pistacchio in California (UCB-1). Queste piante sono forti e crescono molto rapidamente. Il problema è che nei terreni spagnoli le loro radici non riescono a penetrare in profondità per assorbire l’acqua e i nutrienti: per usare una metafora, è come se dieci persone bevessero con una cannuccia dallo stesso bicchiere di granita: «Immaginate quanto riuscirebbero a bere», dice Couceiro.
«L’UCB-1 e la cornicabra sono come un dinosauro e una vacca. Chi tra loro muore per primo, il dinosauro o la vacca?», si è chiesto Couceiro. «Il dinosauro», ha risposto, «perché ha bisogno di cinque o dieci volte quello di cui ha bisogno una vacca». Con pochi nutrienti a disposizione, per quanto resistenti, queste piante produrrebbero infatti pistacchi che non si schiudono. Dato il tempo che serve a queste piante per produrre i propri frutti inoltre è probabile che un agricoltore scopra di aver commesso un errore anche dopo molti anni.
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