Il Congresso del Partito comunista cinese, spiegato
Sarà quello in cui Xi Jinping sarà nominato per un terzo mandato, e avvierà una nuova e incerta fase politica per la Cina
di Guido Alberto Casanova
Il prossimo 16 ottobre si riunirà il Congresso nazionale del Partito comunista cinese (PCC), durante il quale migliaia di delegati provenienti da ogni provincia del paese andranno a Pechino per l’appuntamento più importante della vita politica cinese. Durante il congresso vengono selezionati i dirigenti che guideranno il partito – e quindi anche il paese – per i successivi 5 anni.
Il ventesimo Congresso, quello di ottobre, si preannuncia però su un altro livello rispetto a tutti quelli degli ultimi 30 anni poiché il PCC sarà chiamato a prendere delle decisioni storiche: anzitutto, è praticamente certo che confermerà Xi Jinping (segretario del partito e presidente della Repubblica popolare cinese) per un terzo mandato, contravvenendo a tutte le pratiche messe in atto negli ultimi decenni sull’avvicendamento dei vertici dello stato.
Poiché la Cina è una dittatura, in mancanza di elezioni generali il Congresso del PCC è l’unico meccanismo esistente per permettere il ricambio della dirigenza del paese. Nonostante non sia l’unico partito presente in Cina (ne esistono altri ma sono ridotti a formazioni satellite e di fatto irrilevanti), l’art. 1 della Costituzione della Repubblica Popolare affida al solo PCC il ruolo istituzionale di guida politica del paese.
Nella pratica quindi le cariche istituzionali più alte del paese vengono ricoperte da funzionari del partito. Ad esempio, nella Cina post-maoista si è pian piano affermata la consuetudine di combinare nella stessa persona le cariche di segretario generale del partito e presidente della repubblica: chi viene eletto a guidare il PCC durante il congresso viene quindi nominato automaticamente anche per la presidenza della Repubblica Popolare, una carica la cui elezione ogni 5 anni spetta al parlamento cinese controllato dallo stesso PCC.
La carica di segretario generale è ricoperta dal 2012 da Xi Jinping (che inoltre è presidente cinese dal 2013), e in teoria quest’anno dovrebbe abbandonarla, perché da circa trent’anni le convenzioni e pratiche politiche dentro al partito limitano il numero di mandati a due da cinque anni ciascuno. Ma a meno di sorprese clamorose, Xi sarà rinnovato per un terzo mandato, e questo aprirà una nuova e incerta fase nella politica cinese.
Come funziona il Congresso
Come in Occidente con le elezioni, il Congresso è il momento più importante nella vita del partito, che a oggi conta oltre 96,71 milioni di membri in tutta la Cina. I suoi meccanismi non sono semplicissimi e bisogna fare un leggero sforzo per seguire il filo.
A partecipare saranno circa 2.300 membri, selezionati dai rami locali del PCC e dalle organizzazioni del partito, a cui spetterà il compito di scegliere i circa 200 membri del Comitato centrale, che costituisce il nucleo del partito. A sua volta, il Comitato centrale ha il ruolo chiave di nominare la dirigenza esecutiva. L’elezione più importante è quella del Politburo, composto da 25 membri tra i quali saranno poi selezionati quei funzionari più importanti che andranno a formare il Comitato permanente del Politburo (che oggi conta sette membri), cioè l’organo esecutivo ristretto a cui appartiene il segretario generale e attraverso cui il PCC governa la Cina.
Ovviamente non si tratta di un’elezione libera e le candidature per tutti questi organi collegiali sono negoziate in anticipo e a porte chiuse tra i vertici del partito. In sostanza, le votazioni del congresso e del comitato centrale si limitano ad approvare scelte già prese conferendo alla nuova dirigenza la legittimazione politica della base.
Il terzo mandato
Il ventesimo Congresso però non sarà solo un semplice rinnovo della dirigenza del PCC. È infatti opinione unanime tra gli osservatori che il presidente Xi Jinping intenda rompere coi regolamenti e riscrivere il sistema di governo che negli ultimi decenni ha guidato la Cina.
A partire dalla sua elezione a segretario generale nel 2012, Xi ha compiuto una radicale centralizzazione del potere assumendo in prima persona sempre più cariche di partito e di governo. È una netta rottura con il sistema di limitazioni del potere che si era consolidato nella Cina post-maoista, il cui architetto Deng Xiaoping intendeva rifondare le istituzioni della Repubblica Popolare per impedire che venissero ripetuti gli eccessi commessi da Mao Zedong. Uno dei più importanti limiti stabiliti da Deng era la consuetudine che qualsiasi leader cinese non potesse governare per più di 10 anni: massimo due mandati da segretario generale, concomitanti con i due da presidente previsti dalla Costituzione.
Già allo scorso Congresso, nel 2017, si era potuto intuire che Xi e il partito avessero collettivamente deciso di superare la consuetudine dei due mandati. Solitamente quando deve essere eletto un nuovo segretario generale questo viene scelto all’interno della leadership eletta al congresso precedente. Perciò, il possibile successore di Xi (i cui 10 anni di mandato scadono appunto nel 2022) avrebbe dovuto essere ammesso nel Comitato permanente già nel 2017. Eppure, nessuno dei profili emersi allo scorso congresso si adattava alla figura di candidato a nuovo segretario generale, e questa mancanza di un successore apparente è stata interpretata come un primo indizio del fatto che Xi sarebbe potuto restare in carica oltre i 10 anni.
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Nel marzo del 2018, poi, è arrivato un ulteriore segnale in questo senso, quando il parlamento cinese ha emendato la costituzione per abolire il limite dei due mandati da presidente.
Quanto accaduto in Cina negli ultimi anni lascia presagire che Xi, il leader più potente dai tempi di Mao, resterà al potere. Una prima cosa da osservare sarà quale titolo adotterà al ventesimo Congresso, che può apparire una questione irrilevante ma nella tradizione comunista non lo è.
Xi potrebbe mantenere il titolo di segretario generale del partito, infrangendo la convenzione dei due mandati ma lasciando la struttura del partito intatta, oppure potrebbe farsi riconoscere dal PCC la carica di presidente del partito, abolita negli anni ’80: si tratterebbe di una riforma sostanziale della governance cinese poiché la presidenza del partito, al contrario della carica di segretario generale che è inserita all’interno del Comitato permanente, è una carica apicale non collegiale che concentra il massimo potere decisionale in un’unica persona. Di fatto, questo fu il titolo che usò Mao Zedong.
Un secondo punto da osservare sarà la nuova composizione del Politburo e in particolare del Comitato permanente. Alcuni degli attuali sette membri del Comitato hanno sorpassato i 68 anni di età, il limite convenzionale oltre il quale i membri del PCC vanno in pensione, e andrebbero per forza sostituiti con nuovi dirigenti. Il profilo dei politici che per la prima volta entreranno nel Comitato permanente dirà molto sull’orientamento della nuova dirigenza, soprattutto sulla base delle loro esperienze di partito e dei loro legami personali. Da osservare saranno i profili che in passato hanno avuto rapporti stretti con Xi.
Il terzo punto riguarda il possibile successore. Questo è un tema molto complesso. Sebbene con ogni probabilità Xi Jinping rimarrà al potere, teoricamente potrebbe anche designare un potenziale successore che da qui a 5 o 10 anni prenderà il suo posto. È una prospettiva molto remota, perché a pochi giorni dall’inizio del Congresso non ci sono indizi concreti su chi possa essere questa persona. È probabile quindi che non ci sia ancora una persona designata a succedere a Xi nel corso del prossimo decennio. Come ha spiegato bene Filippo Fasulo, analista dell’ISPI che è stato intervistato nella newsletter del giornalista Simone Pieranni, identificare un possibile successore imporrebbe già di per sé un limite implicito al potere di Xi e ciò appare in contraddizione con l’accentramento operato dal segretario generale negli ultimi 10 anni.
Al di là delle cariche, però, il Congresso nazionale è il momento in cui il partito si riunisce, esprime i giudizi sull’operato dell’ultimo quinquennio e formalizza le linee politiche elaborate dalla dirigenza. Dal rallentamento economico alla strategia “zero COVID”, dalla propaganda interna alla questione dell’unificazione di Taiwan, i membri del ventesimo Congresso guidati da Xi Jinping imprimeranno una nuova direzione alla politica cinese.
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Se quindi c’è un quarto punto da osservare, e riguarda le priorità politiche che emergeranno dalla relazione sugli ultimi 5 anni pronunciata dal segretario generale. Ci si aspettano annunci e proposte di riforme importanti.