“The Bear”, la serie tv più celebrata degli ultimi mesi
È ambientata in un ristorante squattrinato di Chicago, è piaciuta tantissimo alla critica e da qualche giorno è disponibile anche in Italia
La serie tv più celebrata dalla critica internazionale negli ultimi mesi è stata molto probabilmente The Bear, che da qualche giorno è disponibile anche in Italia su Disney+. Ha otto episodi, tutti piuttosto brevi, ed è stata pubblicata originariamente sulla piattaforma statunitense Hulu il 23 giugno, mettendoci un po’ ad attirare tutte le attenzioni che ha attirato. Da allora è stata definita «un’esperienza a metà fra un lungo e avvolgente abbraccio e un’aggressione dolorosissima», una serie «da assaporare», «troppo bella per guardarla tutta di fila», «una serie straordinaria, non tanto per quello che racconta ma per come lo fa».
In estrema sintesi The Bear racconta la storia di Carmen, un giovane e talentuosissimo chef di lontane origini italiane che dopo la morte del fratello maggiore, Michael, si ritrova a dover gestire la tavola calda di famiglia in un quartiere malfamato di Chicago. Il ristorante è in perdita e ci lavorano una serie di dipendenti demotivati e scettici dei cambiamenti che vorrebbe portare Carmen, abituato a lavorare in ambienti molto più professionali. I problemi che deve affrontare al ristorante rendono complicatissima la vita di Carmen, già molto provato dal lutto per Michael e da anni di violenze psicologiche e vessazioni nel suo ultimo posto di lavoro. Il titolo della serie richiama un orso che Carmen vede in un sogno, verosimilmente una metafora dei suoi molti problemi.
The Bear parla di cibo e ristorazione ma lo fa in un modo accessibile anche a chi non ha mai messo piede nella cucina di un ristorante, mostrando situazioni familiari soprattutto a chi è entrato da poco nel mercato del lavoro: orari dilatati, relazioni tossiche con i propri superiori, un generale e soffocante senso di precarietà.
«La parola che più leggerete riguardo a questa serie è “stressante”», ha notato Carina Chocano sul New York Times: «ed è spesso accompagnata da descrizioni del suo ambiente di lavoro come “deprimente”, “tossico”, “violento”. Sono dei complimenti: nonostante i suoi occasionali eccessi, la serie mostra qualcosa di vero e in cui possiamo a immedesimarci».
Il cibo mantiene comunque un ruolo centrale. Per recitare nella serie i protagonisti hanno dovuto imparare a cucinare in maniera semi-professionale. Una delle attrici ricorda di aver passato «giorni e giorni ad affettare cipolle, carote e peperoni», oltre ad aver ricevuto dalla produzione una decina di manuali di cucina da studiare.
Per rendere in maniera più accurata possibile quello che avviene nella cucina di un ristorante la produzione della serie aveva un’apposita consulente, la chef Courtney Storer, che al magazine Delish ha raccontato di avere voluto mostrare «l’aspetto fisico» di una cucina: «la gente che trasporta cose in giro, carica i carrelli… Lo vedi anche dal ritmo della serie ma anche dal volume dei suoni, dalla forma delle cose. C’è sempre qualcuno che rosola, affetta, o si china per afferrare un oggetto».
L’estetica di The Bear è molto lontana da quella patinata e un po’ eterea di prodotti come Chef’s Table, una serie di grande successo di Netflix che racconta filosofia e metodo di lavoro di chef famosi e rispettati. «Abbiamo visto parecchi film che parlano dei problemi degli chef di alta cucina, come Chef o Il sapore del successo: ma in pochi hanno avuto il coraggio di mostrare la realtà cruda e caotica del ristorante squattrinato all’angolo della strada», ha scritto la critica culinaria Amy McCarthy su Eater, uno dei siti di news più rispettati che si occupa di cibo e ristorazione.
Da quando è uscito The Bear le tavole calde di Chicago che più assomigliano a quella mostrata nella serie hanno raccontato di aumenti nelle vendite soprattutto dell’Italian Beef, un panino al roastbeef condito con la giardiniera. Dall’uscita della serie la tavola calda dove sono state girate le scene in esterno di The Bear ha più che triplicato le vendite dei suoi Italian Beef. Ad agosto Goldbelly, un’azienda di consegne a domicilio attiva negli Stati Uniti, ha registrato un aumento del 30 per cento delle vendite di panini Italian Beef rispetto al periodo precedente all’uscita di The Bear.
Ma appunto, The Bear non è soltanto una serie su una tavola calda: fra i suoi temi principali ci sono anche l’elaborazione del lutto, il suicidio, l’impatto della tossicodipendenza su familiari e amici della persona che ne soffre, la trasformazione urbana dei quartieri popolari, la difficoltà di emergere in alcuni settori lavorativi per chi appartiene a una minoranza etnica.
Si ride anche, a volte. Uno degli episodi più leggeri è ambientato durante una festa per bambini in cui una confezione di ansiolitici finisce in un boccione di succo d’arancia. In una scena piuttosto memorabile e incredibilmente poco violenta, uno dei personaggi principali riceve una coltellata nel sedere. In un altro episodio esplode, letteralmente, un water. Le risate degli spettatori però durano pochissimo: la tavola calda di Carmen è in condizioni economiche talmente precarie che non può permettersi di chiudere nemmeno per un giorno, e ad ogni nuovo guaio il suo gestore deve inventarsi modi acrobatici di risolverlo o aggirarlo, nel minor tempo possibile.
Critici e spettatori hanno apprezzato anche gli aspetti formali di The Bear: un ritmo molto serrato, che segue il lavoro della cucina del locale di Carmen, così come i dialoghi ben scritti e la tridimensionalità dei personaggi secondari. Fra di loro risaltano soprattutto Sydney Adamu, una chef afroamericana ambiziosa ma inesperta a cui Carmen sceglie di delegare un pezzo del suo lavoro; Richard “Richie” Jerimovich, migliore amico di Michael nonché volgarissimo tuttofare della tavola calda di Carmen; e Tina, una dipendente ispanica di mezza età molto scettica di Carmen e dei suoi metodi.
Gran parte di The Bear si regge comunque sul personaggio di Carmen, interpretato da Jeremy Allen White. Carmen funziona, hanno notato diversi critici, anche perché è costruito al contrario di certi noti chef televisivi: parla pochissimo, ha una personalità sensibile e poco ingombrante, e non passa le giornate a maltrattare i suoi dipendenti.
Finora White era noto soprattutto per fare parte del cast principale di Shameless, una serie incentrata su una famiglia problematica di Chicago di buon successo negli Stati Uniti ma quasi sconosciuta in Italia. The Bear è uscito troppo tardi per essere premiato agli Emmy di quest’anno, ma si parla già del fatto che nella prossima edizione potrebbe ricevere moltissime nomination, compresa quella per White come migliore attore in una serie drammatica.
The Bear è stata scritta, prodotta e quasi interamente diretta da Christopher Storer, che è cresciuto a Chicago ma lavora da vent’anni a Los Angeles dove si è occupato a lungo di piccole produzioni e stand up comedy. The Bear è di gran lunga il suo prodotto di maggior successo. Meno di tre settimane dopo la sua uscita è stato rinnovato per una seconda stagione, che uscirà nel 2023. In questa lunga intervista a Esquire, Storer ha anticipato alcuni dei temi che proverà a sviluppare nella prossima stagione, oltre a qualche aneddoto su come è nata la serie.