Ci sarà mai più qualcuno famoso come Elvis e Marilyn?
I fattori storici, culturali e tecnologici alla base della loro celebrità duratura e intergenerazionale sono da molti considerati irripetibili
Nelle frequenti conversazioni incentrate sui confronti tra fenomeni del passato e del presente che appaiono in qualche misura paragonabili (invenzioni, atleti o geni, per esempio) emergono spesso due diverse inclinazioni. Una è quella a esaltare grandezze, capacità e valori dei fenomeni del passato, ritenendoli irripetibili sotto diversi aspetti. E l’altra è quella a ritenere l’osservazione del presente inevitabilmente condizionata da limiti di prospettiva che nel caso dei fenomeni del passato non si pongono, o sembrano meno influenti.
Un particolare confronto di questo tipo è quello tra persone celebri del presente e del passato, e in particolare quelle generalmente ritenute le più famose in assoluto nell’immaginario collettivo. Prime fra tutte, Marilyn Monroe ed Elvis Presley, che in quell’immaginario sono percepiti come entità quasi mitologiche, rappresentazione massima della cultura pop.
I tentativi di rispondere alla domanda se sia oggi possibile per una qualsiasi persona famosa esserlo più di quanto Elvis e Marilyn lo furono in vita – e lo sono ancora – non si concentrano soltanto su cosa quelle persone realizzarono per diventare così famose. Avviano riflessioni sul fatto se e quanto siano cambiati nel frattempo i processi stessi attraverso cui ottengono visibilità e notorietà prolungate e stabili le persone che consideriamo famose abbastanza da essere quasi universalmente conosciute. E se certi fenomeni eccezionali a cui alludiamo quando parliamo di cultura di massa nel Novecento siano oggi possibili allo stesso modo e negli stessi termini in cui lo erano un tempo.
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Capita a volte di fare riflessioni simili anche in circostanze più concrete, quando si tratta di misurare la possibile influenza esercitata oggi da persone famose su gruppi più o meno grandi di altre persone. All’inizio della campagna di vaccinazione di massa, durante la pandemia da coronavirus, circolarono sui media domande su quale personaggio pop vivente – Beyoncé? Michael Jordan? Tom Hanks? – fosse abbastanza popolare da poter orientare eventualmente le opinioni dei più scettici sul vaccino, agevolando il lavoro di persuasione delle autorità di sanità pubblica.
Il termine di paragone era l’accelerazione che la campagna di vaccinazione contro la poliomielite negli Stati Uniti subì nel 1956, in particolare tra gli adolescenti, dopo che l’allora ventunenne ma già famoso Elvis Presley accettò di farsi vaccinare davanti a giornalisti e fotografi prima di un suo spettacolo all’Ed Sullivan Show, una delle trasmissioni all’epoca più seguite nel paese.
I recenti Blonde, diretto dall’australiano Andrew Dominik, ed Elvis, diretto dall’australiano Baz Luhrmann, non sono i primi e verosimilmente non saranno gli ultimi film su Marilyn Monroe ed Elvis Presley. E che sia l’una che l’altro generino da circa 70 anni un interesse ininterrotto e ciclicamente attestato da libri, film e varie altre opere artistiche e prodotti culturali, sarebbe un fatto in sé sorprendente se non fosse considerato ormai del tutto normale.
Le ragioni della popolarità di Elvis e Marilyn nel tempo sono state attribuite, oltre che a capacità e talenti straordinari di entrambi, a una serie di avvenimenti e circostanze storiche particolari. In molte delle biografie e dei racconti che li riguardano la loro celebrità è stata spesso descritta come talmente gravosa da essere insostenibile e distruttiva per entrambi. E proprio la loro morte prematura è generalmente considerata uno dei molteplici fattori che hanno contribuito alla loro fama duratura, come ha ricordato di recente l’Economist.
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Ma la morte prematura non è una ragione sufficiente per spiegare il tipo di popolarità ottenuta da Elvis e Marilyn, considerando quante altre persone dello spettacolo, del cinema e della musica morte giovani, anche tra quelle eccezionalmente famose, non hanno generato gli stessi fenomeni associati a loro.
Tra questi fenomeni è spesso citata, per esempio, la smisurata quantità di imitazioni a tutti i livelli: dalle migliaia di imitatori professionisti di Elvis in tutto il mondo alle continue citazioni di Marilyn da parte di persone a loro volta molto famose. Come quella della cantante statunitense Madonna, che nel video musicale della canzone “Material Girl” del 1984 riprese esplicitamente la parte del film del 1953 Gli uomini preferiscono le bionde in cui Marilyn Monroe canta “Diamonds Are a Girl’s Best Friend”.
Alla base della fama di Elvis e Marilyn, emersa principalmente a cominciare dagli anni Cinquanta, ci sono poi ragioni storiche che a molti appaiono irripetibili, definite dall’Economist «cambiamenti sismici che potevano verificarsi soltanto una volta». E quei cambiamenti, di cui Elvis e Marilyn sono stati allo stesso tempo sia una concausa che una conseguenza, hanno a che fare sia con la nascita del rock’n roll che con il progressivo cambiamento dei costumi sessuali e della morale comune.
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Come scrisse nel 2007 il giornalista e scrittore britannico Ray Connolly, in un articolo in cui cercò di immaginare quante cose non sarebbero mai esistite senza Elvis, «le grandi personalità culturali sono uniche» e hanno capacità di cambiare il nostro mondo paragonabili a quelle di statisti e inventori. «Elvis, anche se quasi certamente non ne comprese il processo, ha fatto esattamente questo», scrisse Connolly, citando anche una celebre frase attribuita a John Lennon: «Prima di Elvis, non c’era niente».
Elvis, cresciuto a Memphis ascoltando musicisti neri, era «un tenore inesperto che cantava il blues» e «liberò il canto popolare dalla sua educata camicia di forza», sintetizza Connolly. Attraverso le sue canzoni e i suoi film, per la prima volta la musica afroamericana sedusse molti ascoltatori bianchi. E grazie a lui, la chitarra diventò lo strumento principale della musica rock e «un’immagine iconica e priapica, simbolo totemico della giovinezza alla fine del XX secolo».
Per molte ragazze alla metà degli anni Cinquanta, ha scritto l’Economist, Elvis rappresentò «un’incarnazione pubblica» del sesso fino a quel momento mai esistita negli Stati Uniti, in anni in cui le leggi restrittive che regolavano la moralità a Hollywood erano logore ma ancora in vigore. E un discorso simile vale anche per Marilyn, che in un’epoca culturale «ossessionata dal sesso e da come le donne lo facevano», ha scritto Vox, diventò «l’incarnazione del sesso stesso, tutta carne pallida e sinuosa e capelli biondo brillante, che irradiava una sensualità facile e gioiosa».
Il periodo del suo successo coincise di fatto con un allentamento delle precedenti restrizioni, alla fine degli anni Cinquanta. Il film del 1959 A qualcuno piace caldo, in cui Marilyn canta la celebre “I Wanna Be Loved by You” in abito trasparente, è citato come uno dei primi e più famosi a non essere censurati nonostante i continui riferimenti alle tematiche del sesso e del travestimento.
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Altre importanti caratteristiche della fama particolare di Elvis e Marilyn riguardano le abitudini di massa e lo stato della tecnologia negli anni del loro successo. Sebbene la frequentazione delle sale fosse già in diminuzione rispetto ai decenni precedenti, alla fine degli anni Cinquanta circa un terzo degli americani andava ancora al cinema ogni settimana, ricorda l’Economist. Oltre a quello, c’erano soltanto la radio e la televisione (pochi canali): Elvis era su tutti e tre i mezzi, e arrivava quindi anche agli spettatori e alle spettatrici meno giovani, che magari non lo apprezzavano ma comunque lo conoscevano.
«Anche gli anziani di oggi potrebbero benissimo disprezzare gli idoli degli e delle adolescenti su YouTube e TikTok, se solo sapessero chi sono», ha scritto l’Economist sintetizzando una delle differenze più macroscopiche tra gli anni di Elvis e Marilyn e il presente dal punto di vista dei rapporti tra i mezzi di comunicazione di massa e il pubblico. Le persone famose del XXI secolo potrebbero tecnicamente raggiungere chiunque nello stesso momento ma, in seguito alla proliferazione delle piattaforme di streaming e alla frammentazione del pubblico, di fatto nessuna di loro lo fa.
Come scrive l’Economist parafrasando l’artista statunitense Andy Warhol, «Internet ha reso famose innumerevoli persone per 15 minuti, ma rimanere famosi più a lungo è diventato più difficile, per non parlare del tempo sufficiente per definire un’epoca o raccogliere lo slancio per superarla».
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