La contraccezione in Italia dovrebbe già essere gratuita, ma non è così
La gratuità è stabilita da una legge che non è mai stata applicata, e ora l'AIFA sta discutendo se cambiare le cose
Negli ultimi giorni l’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, ha iniziato a discutere se rendere gratuita la contraccezione ormonale per le donne fino ai 25 anni (si parla di pillola, anello, cerotto, spirale e impianto sottocutaneo, ma non si sa se l’AIFA stia considerando tutti questi contraccettivi o solo alcuni). Oggi in Italia tutta la contraccezione, e non solo quella ormonale, è a pagamento: non è coperta in alcun modo dal sistema sanitario nazionale, nonostante la garanzia di una contraccezione gratuita e accessibile (che ha un ruolo fondamentale nella prevenzione delle gravidanze indesiderate) sia prevista dalla legge fin dagli anni Settanta.
Mercoledì c’è stata una riunione all’AIFA della Commissione tecnico scientifica (Cts, quella che valuta ed esprime pareri sulla classificazione dei farmaci ai fini della rimborsabilità) e del Comitato prezzi e rimborsi (Cpr, cioè la commissione che fa gli accordi con le aziende sul costo dei medicinali) per decidere il percorso che potrebbe portare alla rimborsabilità di alcuni contraccettivi ormonali.
Lo stesso giorno il ministro della Salute del governo uscente, Roberto Speranza, ha spiegato che sul percorso per la rimborsabilità di alcuni metodi contraccettiva l’AIFA «ha avviato una procedura, non da oggi ma da molto tempo». Ma ha anche aggiunto che «si tratta di una procedura che ha bisogno chiaramente di tempi tecnici». La Stampa ha scritto oggi che la Cts e la Cpr dell’AIFA «hanno deciso di prolungare ancora un’istruttoria che va avanti da mesi». E che poiché gli organi direttivi dell’Agenzia scadranno a novembre, e sono di nomina governativa, «è difficile che con i nuovi se ne faccia più qualcosa».
I dati e la situazione dell’Italia
Secondo i dati dell’AIFA, sono più di 2,5 milioni le donne che prendono la pillola contraccettiva in Italia, ma come spiega Marina Toschi, ginecologa che fa parte del direttivo dell’European Society of Contraception and Reproductive Health e che è membro di Pro-Choice, Rete italiana contraccezione aborto, nel nostro paese non è possibile avere dei dati certi sulla contraccezione in generale: «Non si sa infatti, ad esempio, quante spirali effettivamente si mettano, poiché la spirale non è considerata un farmaco, ma un dispositivo. Mancano dunque i dati, cioè le basi per poter poi fare dei ragionamenti economici in merito o degli interventi di salute pubblica conseguenti».
Nel rapporto nazionale dell’AIFA sull’uso dei farmaci in Italia riferito al 2021 si dice che l’Italia non è un paese con una lunga tradizione di pianificazione della gravidanza e che, ad oggi, rispetto ad altri paesi europei mostra livelli bassi di utilizzo della contraccezione moderna.
La situazione è confermata anche dall’Epf (European Parliamentary Forum for Sexual & Reproductive Rights) che conduce dal 2017 una ricerca su 46 stati dell’Europa geografica per monitorare in ogni paese l’accesso ai mezzi di contraccezione, il livello di consulenza sulla pianificazione familiare e la quantità di informazioni disponibili online sulla contraccezione.
A ciascun paese viene assegnato un punteggio complessivo corrispondente a un colore, che va dal verde per i paesi con il punteggio più alto, al verde chiaro, giallo, arancione e rosso per i paesi via via meno performanti. I paesi che si collocano in cima alla classifica sono Belgio, Francia (che dal primo gennaio 2022 ha esteso la contraccezione ormonale gratuita alle donne fino ai 25 anni, mentre prima la gratuità riguardava le ragazze fino a 18 anni) e Regno Unito. Il loro posizionamento dipende essenzialmente dal fatto che hanno dei programmi di rimborso per una vasta gamma di contraccettivi.
In questa classifica, l’Italia è gialla. Si trova dunque nel mezzo, agli stessi livelli più o meno di Serbia, Ucraina, Turchia, Croazia, Lituania, Lettonia, Bulgaria e Svizzera. Quello che determina il posizionamento dell’Italia è proprio la mancanza di forme di distribuzione gratuita o di rimborso dei contraccettivi e la scarsa informazione istituzionale soprattutto sul loro costo.
Un gruppo particolarmente vulnerabile quando si tratta dell’uso di contraccettivi e della loro non gratuità è quello delle persone più giovani. Un’altra ricerca dell’Epf spiega che l’età media del primo rapporto sessuale tra i giovani in Europa è di circa 17-18 anni, mentre l’età media del primo parto nell’Unione Europea è aumentata gradualmente e si è attestata intorno ai 29,4 anni, nel 2019. Questo significa che c’è un periodo di tempo piuttosto lungo durante il quale la stragrande maggioranza delle persone più giovani è sessualmente attiva e non vuole avere dei figli.
In quanto composto da studenti o giovani professionisti, dice l’Epf, questo gruppo di popolazione ha spesso mezzi finanziari limitati: una cosa che risulta ancora più rilevante se si pensa che la grande maggioranza dei paesi europei (72 per cento, Italia compresa, dove la pillola contraccettiva può costare dai 9 e fino a 20 euro al mese) non prevede nei propri sistemi sanitari nazionali delle coperture per i contraccettivi.
In Italia, spiega Toschi, «con il costo di un solo aborto chirurgico che potrebbe essere evitato se l’accesso alla contraccezione fosse libero e gratuito si potrebbero comprare cento spirali e metterle gratuitamente a chi ne ha bisogno».
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Secondo il rapporto dell’ISTAT sulla salute riproduttiva (l’ultima si riferisce al 2017), la maggioranza della popolazione italiana tra i 18 e i 54 anni (il 62 per cento circa) usa dei metodi contraccettivi. Nel rapporto si dice che «nonostante un maggior ricorso a metodi moderni (soprattutto pillola e preservativo), non si può ancora affermare che in Italia sia stata compiuta in modo definitivo la rivoluzione contraccettiva, intesa come transizione verso una diffusione di metodi moderni ed efficaci». Il coito interrotto, ad esempio, risulta essere il terzo metodo più usato per evitare una gravidanza (18,7 per cento).
In Italia la gratuità sarebbe prevista dalla legge
In Italia la gratuità della contraccezione è garantita dalla legge, che non viene però applicata.
La legge numero 405 del 1975, che istituisce i consultori, all’articolo 1 dice che queste strutture hanno tra i loro obiettivi anche quello di fornire i mezzi necessari a una procreazione responsabile. Più avanti, all’articolo 4, si dice esplicitamente che «l’onere delle prescrizioni di prodotti farmaceutici va a carico dell’ente o del servizio cui compete l’assistenza sanitaria» e che «le altre prestazioni previste dal servizio istituito con la presente legge sono gratuite per tutti i cittadini italiani e per gli stranieri residenti o che soggiornino, anche temporaneamente, su territorio italiano».
A sua volta, la legge 194 del 1978, che ha evitato che le donne dovessero continuare a ricorrere dall’aborto clandestino, all’articolo 2 parla di consultori sulla base della legge 405 e estende «la somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile» anche alle persone minori senza consenso dei genitori («Eravamo un paese più avanzato negli anni Settanta», commenta Toschi).
Nel 2017 era stato approvato un decreto del presidente del Consiglio dei ministri sulla definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, cioè i servizi e le prestazioni che il servizio sanitario nazionale è tenuto sempre a offrire. Tali aggiornamenti non sono ancora operativi, perché dal 2017 non sono stati ancora emanati una serie di decreti senza i quali, appunto, le nuove prestazioni non possono essere accessibili. Ma nel testo che li prevede si ribadisce che il servizio sanitario nazionale «garantisce alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie (…) la somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile».
Dagli anni Settanta a oggi, la contraccezione gratuita e accessibile non è stata però garantita in Italia. Nel tempo ci sono state proteste, petizioni, raccolte firme e interlocuzioni con le istituzioni e l’AIFA portate avanti da movimenti femministi, comitati o associazioni (come la Rete italiana contraccezione aborto) per riuscire a ottenere l’applicazione della legge. Senza successo.
Nel 2017, anzi, l’AIFA aveva riclassificato gli ultimi anticoncezionali ormonali che ancora erano a carico del servizio sanitario nazionale dalla fascia A (e dunque rimborsabili) in fascia C (e dunque a carico delle persone). La decisione aveva causato molte polemiche soprattutto perché le pillole di fascia A venivano prescritte per scopi terapeutici o alle persone più vulnerabili, donne con redditi bassi o persone migranti.
Una forma di gratuità esiste, ma
Spesso la gratuità della contraccezione è dipesa dalla buona volontà di aziende sanitarie, ospedali, consultori e regioni. Ma con forti limitazioni.
Diversi giornali, in questi giorni, stanno scrivendo che le regioni che in Italia garantiscono la contraccezione gratuita sono sei. Ma non è vero, dice Toschi, perché le regioni che effettivamente prevedono una qualche forma di gratuità della contraccezione distribuita nei consultori, per specifiche categorie di persone e comunque con molte limitazioni «sono Emilia Romagna, Toscana, e Puglia. La Puglia è stata la prima a prendere questa decisione, sotto la presidenza di Nichi Vendola». Da qualche giorno, all’elenco si è aggiunto anche il Lazio, ma solo per la pillola alle minori.
La Lombardia, spiega Toschi, viene spesso citata come una delle regioni che prevede la contraccezione gratuita: «Erroneamente: nel 2018 era stato approvato un ordine del giorno che prevedeva la contraccezione gratuita per le persone fino ai 24 anni, ma la gratuità è rimasta sempre e solo sulla carta. La stessa cosa è accaduta in Piemonte perché quanto deciso non è stato finanziato».
In questi già pochi e limitati casi di gratuità non si parla comunque quasi mai di preservativi, ma nemmeno di spirali e dispositivi sottocutanei, nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostenga che i migliori contraccettivi siano i cosiddetti LARC, cioè quelli a lunga durata d’azione reversibili (dall’inglese “Long Acting Reversible Contraception”). Possono essere suddivisi in due grossi gruppi: le spirali (o IUC) e i dispositivi sottocutanei.
Le spirali, dice Toschi, «offrono un’ottima copertura, hanno pochi effetti collaterali e, in generale, un basso costo. Quelle al progesterone, le più costose, sono terapeutiche per l’endometriosi o lo sviluppo di fibromi. Le IUC al rame sono anche le più “green”, perché non inquinano».
Insomma hanno un rapporto costo-benefici molto favorevole, ma ci sono due problemi: il primo è che durante i corsi di specializzazione all’università non viene insegnato a inserirle; il secondo è che per inserirle è necessario che il medico abbia un’assicurazione più costosa (molti non ce l’hanno) e che operi in un luogo approvato dall’azienda sanitaria locale (e spesso il processo di approvazione non avviene).
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Se l’AIFA decidesse la gratuità della pillola questa diventerebbe disponibile direttamente in farmacia. Nelle regioni che prevedono qualche forma di gratuità, per ottenere il contraccettivo è invece necessario andare nei consultori: sono le regioni ad acquistare il contraccettivo che poi viene distribuito nelle loro strutture.
La Stampa scrive che «a dividere gli esperti dell’AIFA» e a causare un ritardo nella decisione «è stato soprattutto l’impatto economico del passaggio alla gratuità della pillola». Se l’AIFA decidesse di rendere gratuita parte della contraccezione ormonale come ad esempio la pillola, spiega Repubblica, l’operazione costerebbe circa 200 milioni allo stato. Ma la Cpr dell’AIFA, cioè la commissione prezzi che fa gli accordi con le aziende sul costo dei medicinali, potrebbe comunque contrattare con le aziende produttrici prezzi più bassi, come di solito succede quando un farmaco passa a carico dello stato dopo essere stato a pagamento.