Il senso di Bruno Munari per le copertine dei libri
Una mostra a Milano raccoglie quasi 400 volumi che furono illustrati da uno dei più grandi designer italiani
Bruno Munari è stato uno dei più importanti designer italiani e nella sua lunga carriera fece tantissime cose diverse, dalle opere astratte del periodo del Futurismo all’orologio Swatch Tempo Libero, disegnato a 90 anni nel 1997, passando per il Supplemento al dizionario italiano, quel libricino che spiega il significato dei gesti che facciamo con le mani. Munari fu inoltre un illustratore di copertine di libri molto apprezzato dagli editori, che gli affidarono anche intere collane. In questo periodo a Milano si possono vedere quasi 400 copertine disegnate da lui in una mostra alla Kasa dei Libri, fino al 22 ottobre.
La mostra si apre con le copertine che Munari disegnò per Bompiani, e in particolare per la collana di narrativa “Uno al mese”, che ebbe inizio nel 1953 e raccoglieva libri di grande successo di autori stranieri, da Comma 22 di Joseph Heller ai noir di Patricia Highsmith, e che nel 1963 cambiò nome in “B-S”, da “bestseller”.
Una citazione di Umberto Eco, tratta dalla sua rubrica sull’Espresso “Bustina di Minerva” e di poco successiva alla morte di Munari nel 1998, racconta un retroscena:
Le copertine fatte da Munari per la Bompiani non sono così identificabili come quelle fatte per la Einaudi, per una semplice ragione. Munari sapeva che alla Einaudi gli prendevano la copertina così come l’aveva fatta, e invece [Valentino] Bompiani (che di copertine ne aveva azzeccate molte in vita sua) ci metteva il naso, prendeva le forbici e la colla, ci radunava in quattro per discutere due ore sull’abbassamento di un titolo, insomma una copertina da Bompiani costava, in tempo, lucro cessante e stipendi, come la produzione di un volume Treccani (però ci si divertiva). E quindi Munari, che conosceva il suo uomo, le copertine le schizzava giù, pronte per la modificazione, con gaio scetticismo.
Le «identificabili» copertine per Einaudi citate da Eco sono alcune delle immagini con cui i lettori italiani conobbero per la prima volta alcuni libri poi diventati classici, come il Diario di Anna Frank o Se questo è un uomo di Primo Levi, che per quanto non firmate vennero disegnate da Munari.
Una citazione dello stesso Munari esposta alla mostra spiega il suo metodo per le copertine: «Per fare una copertina cercavo e cerco di rendermi conto di quello che voleva comunicare lo scrittore e mi sforzavo di filtrare la sua stessa comunicazione con le mie immagini. Perché la prima comunicazione che si riceve da un libro è di tipo visivo. Dopo lo si legge. In vetrina, il libro comunica, prima di tutto, visivamente con il lettore».
Tra le altre copertine, ci sono anche quelle di una collana di saggistica tascabile di Bompiani chiamata “I Satelliti” e pubblicata tra il 1971 e il 1974. Fin dall’inizio c’era l’idea di farne uscire solo 49 numeri e così Munari pensò alla seguente idea per la grafica di collana: su ogni copertina ci sarebbe stato un grande cerchio nero su sfondo bianco, rappresentante un pianeta, per ospitare il titolo; e poi per ogni numero della collana uscito prima di quello corrente ci sarebbe stato un altro cerchio più piccolo, un “satellite” appunto. Sulla copertina del primo numero della collana, L’uomo come fine di Alberto Moravia, si vede solo un grande cerchio nero; su quella dell’ultimo, La scienza e la classe operaia di A.A. Bogdanov, un cerchio grande e 48 più piccoli.
Non fanno parte della mostra, per scelta del curatore Andrea Kerbaker, scrittore, bibliofilo, nonché fondatore e proprietario della Kasa dei Libri, quelle dei libri dello stesso Munari, su cui chiaramente il lavoro era diverso.
Ci sono invece delle riviste di cui disegnò le copertine, e tra queste, dei numeri della Rivista illustrata del Popolo d’Italia, un giornale fascista. Le copertine fatte da Munari per questo periodico erano di fatto state dimenticate e sono state trovate da Kerbaker nel cercare materiali per l’esposizione. Kerbaker si è stupito che non fosse più noto che Munari, successivamente grafico per Editori Riuniti, la casa editrice del Partito Comunista, avesse realizzato anche immagini di stampo fascista, e in uno dei testi esplicativi della mostra ha voluto dare attenzione a questa parte della storia.
Nei suoi appunti sulla mostra, Kerbaker racconta poi che non è stato semplice rintracciare tutte le copertine di Munari perché «i cataloghi delle case editrici, inclusi quelli storici, non aiutano: nessuno di loro, neppure i più accurati, menziona mai gli autori delle copertine». Nemmeno se di un grande designer come Munari.