L’OPEC+ ha annunciato una grossa riduzione della produzione di petrolio
Nonostante le pressioni internazionali: significa che il prezzo del petrolio salirà, ma forse non così tanto come si potrebbe pensare
Dopo essersi riuniti a Vienna in presenza per la prima volta dopo la pandemia, i leader dei paesi dell’OPEC+ (che include i 13 membri dell’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, tra cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, più altri paesi come la Russia) hanno annunciato una riduzione della produzione di greggio pari a 2 milioni di barili al giorno. È un calo importante, il primo davvero significativo dopo la riduzione da quasi 10 milioni di barili al giorno decisa nei primi mesi della pandemia, quando la mobilità era sostanzialmente ferma e il consumo di petrolio si era talmente ridotto da far diventare il suo prezzo negativo.
La decisione è stata giustificata dal calo della domanda globale di petrolio e dai timori di una recessione in arrivo.
Riducendo la produzione, l’obiettivo deliberato del cartello è di far aumentare il prezzo del greggio in circolazione. Questo rincaro si sommerebbe a quello molto più cospicuo del gas naturale, e molto probabilmente darà un’ulteriore spinta al rialzo dell’inflazione. L’OPEC+ segue infatti solo gli interessi dei grandi produttori, che hanno visto il prezzo del barile scendere del 25 per cento rispetto ai valori di giugno, insieme ai loro profitti.
La decisione di ridurre la produzione è stata presa nonostante le pressioni di moltissimi governi di tutto il mondo, soprattutto degli Stati Uniti, che avevano cercato di evitare un ulteriore aumento del costo dell’energia.
Non sembra comunque che la decisione di oggi possa provocare conseguenze enormi, nonostante le preoccupazioni. La produzione massima imposta dal cartello viene infatti divisa in quote tra i diversi paesi membri dell’OPEC e alcuni stanno già facendo fatica a produrre quanto dovrebbero: in pratica già oggi sarebbero in regola con i loro nuovi limiti senza dover ridurre la produzione. Secondo Bloomberg, un taglio di 2 milioni di barili al giorno, condiviso proporzionalmente tra i produttori, implicherebbe che solo otto paesi dovranno ridurre la produzione effettiva.
Di fatto, quindi, ci sarebbe un taglio reale di circa 880 mila barili al giorno, meno della metà di quanto annunciato.
La decisione dell’OPEC+ è comunque importante perché mostra esattamente come i produttori non siano disposti ad accettare profitti più bassi di quelli che l’alto prezzo del petrolio ha garantito loro in questi mesi (nonostante il prezzo stesse scendendo da giugno, resta comunque su livelli molto alti, e sembra destinato a rimanerci).
L’annuncio ha anche una notevole rilevanza politica, per esempio sui rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita, due paesi alleati. Il presidente americano Joe Biden aveva visitato l’Arabia Saudita a luglio proprio per cercare di convincere il principe ereditario Mohammad bin Salman ad aumentare la produzione di greggio, in modo che il prezzo del petrolio potesse ridursi e la pressione dei costi energetici sulle famiglie attenuarsi. Biden, peraltro, si era mostrato molto soddisfatto da quel viaggio e aveva detto che ci sarebbero stati presto degli sviluppi positivi. La decisione di oggi è quindi per lui una chiara sconfitta su questo fronte.
A novembre negli Stati Uniti si terranno le elezioni di metà mandato e l’obiettivo di Biden era anche quello di dimostrare agli elettori di essere riuscito a tenere a bada il prezzo della benzina alla pompa, che in questi mesi è aumentato tantissimo anche negli Stati Uniti, dove le persone erano abituate a valori ben più bassi.
Nonostante la visita di Biden e i tantissimi contatti di questi giorni tra i funzionari statunitensi e le controparti del Golfo, a guidare principalmente questa decisione dell’OPEC+ sembra essere stata proprio l’Arabia Saudita, con l’appoggio degli Emirati Arabi Uniti, ma soprattutto della Russia.
In particolare, quest’ultima ha bisogno di tenere alte le quotazioni del petrolio per sostenere la campagna militare e le casse pubbliche colpite dall’embargo economico dei paesi occidentali, oltre che dal tetto al prezzo del petrolio imposto dall’Unione Europea con l’ottavo insieme di sanzioni. Alcuni commentatori hanno letto in questa mossa un avvicinamento dell’Arabia Saudita verso gli interessi del presidente russo Vladimir Putin, a discapito della relazione con gli Stati Uniti.