All’Europa non piace il fondo tedesco da 200 miliardi per ridurre le bollette
Preferirebbe soluzioni più comunitarie per evitare di lasciare a se stessi i paesi più poveri: ma una soluzione ancora non c'è
La notizia del piano triennale da circa 200 miliardi di euro annunciato dal governo tedesco per ridurre il costo delle bollette fa discutere da giorni i governi e le istituzioni europee e sarà uno dei temi principali del Consiglio Europeo, l’organo che comprende i 27 capi di stato e di governo dell’Unione, che si riunirà venerdì a Praga, in Repubblica Ceca.
La reazione più significativa è stata una lettera aperta del commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni e del commissario al Mercato interno Thierry Breton pubblicata lunedì da diversi giornali, in cui i due criticano duramente il piano tedesco. La lettera è stata scritta a titolo personale, ma riflette le preoccupazioni di diversi funzionari e leader politici europei: «il gigantesco piano tedesco da 200 miliardi di aiuti di stato risponde a un bisogno che riteniamo legittimo, sostenere l’economia. Ma solleva anche alcune domande. Come faranno i paesi europei che non hanno la stessa disponibilità fiscale a sostenere imprese e famiglie?», si domandano Gentiloni e Breton.
Il timore, insomma, è che i paesi più ricchi dell’Unione decidano di affrontare la crisi energetica innescata dall’invasione russa dell’Ucraina con strumenti nazionali e non concordati con le istituzioni europee, lasciando a se stessi i paesi più poveri.
«Una risoluzione asimmetrica della crisi potrebbe peggiorare la situazione e far partire una gara a chi approva più sussidi fra i vari paesi», ha detto a Politico Georg Zachmann, esperto di politiche energetiche del rispettato think tank Bruegel. «Credo che un approccio europeo abbia molto più senso».
Al momento non è ancora attivo un piano europeo per ridurre gli aumenti esorbitanti delle bollette dell’energia. Qualche settimana fa la Commissione Europea aveva proposto un piano chiamato REPowerEU per diminuire progressivamente la dipendenza energetica dalla Russia e stanziare una serie di fondi che i singoli paesi potranno usare per contrastare la crisi energetica: circa 225 miliardi di euro dai prestiti non utilizzati del cosiddetto Recovery Fund, o Next Generation EU, e 20 miliardi da raccogliere fra i vari stati.
Martedì il Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui siedono i rappresentanti dei 27 governi dell’Unione, ha concordato la posizione negoziale di partenza sul piano REPowerEU per i negoziati delle prossime settimane con la Commissione e il Parlamento Europeo. La portata del piano resta comunque piuttosto limitata: nella migliore delle ipotesi si parla di 245 miliardi di euro, 9 miliardi in media per ognuno dei 27 paesi. Per fare fronte a una crisi che durerà almeno fino al 2024 servirebbero ancora più soldi.
Gentiloni e Breton propongono di stanziarli con un meccanismo simile allo SURE, la cosiddetta cassa di integrazione europea da 98 miliardi di euro. Fu approvata nei primi mesi della pandemia da coronavirus per permettere ai paesi più in difficoltà dell’Unione di prendere in prestito soldi a tassi di interesse bassissimi da utilizzare per pagare miliardi di euro di cassa integrazione per i lavoratori costretti a interrompere il proprio lavoro. L’Unione Europea aveva reperito i fondi per SURE con titoli venduti sui mercati finanziari, garantiti da un fondo speciale da 25 miliardi di euro “congelati” dai bilanci nazionali.
All’Italia dallo SURE sono arrivati in tutto 27,4 miliardi di euro di prestiti a tassi di interesse irrisori. «Ispirarsi al meccanismo SURE per aiutare gli europei e il sistema industriale durante la crisi attuale potrebbe essere una soluzione a breve termine», scrivono Breton e Gentiloni.
Gentiloni ha ribadito la proposta in una riunione della Commissione Europea tenuta martedì, mentre mercoledì ne ha avanzata una molto simile il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire durante l’Ecofin, il Consiglio dell’Unione che raduna i ministri dell’Economia e delle Finanze. In un modo o nell’altro finirà nelle discussioni che i capi di stato e di governo avranno al Consiglio Europeo di venerdì.
Al momento però i contorni della proposta rimangono poco definiti. Gentiloni e Breton non hanno chiarito quale disponibilità economica potrebbe avere – sarà più vicina ai 98 miliardi dello SURE o agli 806 del Next Generation EU? – e da quali paesi potrebbe essere appoggiato, oltre che dall’Italia e dalla Francia. David Carretta, esperto corrispondente da Bruxelles per il Foglio e Radio Radicale, ha fatto notare che in un discorso di fine agosto il cancelliere tedesco Olaf Scholz definì il programma SURE «una soluzione pragmatica» da prendere a modello per crisi future.
I paesi più conservatori dal punto di vista economico e fiscale però non sembrano entusiasti di finanziare un nuovo strumento di emergenza. «Saremmo preoccupati se la nostra reazione di default fosse l’ennesimo strumento: sarebbe davvero la risposta giusta al problema che stiamo cercando di risolvere?», ha detto al Financial Times Sigrid Kaag, ministra delle Finanze dei Paesi Bassi. Anche la Commissione Europea per ora ha preso le distanze dalla proposta di Gentiloni e Breton, sottolineando il suo carattere di «iniziativa personale dei commissari».
Nelle prossime settimane ci si aspetta comunque che la Commissione presenti regole aggiornate sugli aiuti di stato, che secondo Politico dovrebbero prevedere una maggiore flessibilità sui sussidi per aiutare imprese e privati a superare la crisi energetica. Dovrà quindi prendere una posizione ufficiale sul fondo da 200 miliardi proposto dalla Germania.