Quando Sinéad O’Connor strappò la foto del Papa in tv
Trent'anni fa, al "Saturday Night Live": da allora la carriera e la vita della cantautrice irlandese cambiarono radicalmente
Il 3 ottobre di trent’anni fa Shuhada Sadaqat, come si fa chiamare ora la cantautrice irlandese Sinéad O’Connor, fece parlare di sé (e compromise la sua intera carriera) perché strappò una foto di papa Giovanni Paolo II durante una puntata del programma televisivo statunitense Saturday Night Live. Lo fece per richiamare l’attenzione sulle accuse di abusi sessuali da parte dei preti cattolici in Irlanda: ampiamente insabbiati, pochi anni dopo quell’azione ampiamente documentati, e infine riconosciuti anche dai papi.
Sinéad O’Connor ha 55 anni, e fin dall’inizio della sua carriera si fece notare per i suoi comportamenti anticonformisti e per le sue tendenze ad andare contro i canoni del cosiddetto “show business”. Nel 1990 ottenne la fama internazionale con il suo secondo disco, che conteneva “Nothing Compares 2 U”, la canzone originariamente scritta e composta da Prince. Il video di quella canzone, con il viso di Sinéad O’Connor in primo piano, viene tutt’ora considerato come uno dei più riconoscibili e famosi nella storia dei videoclip.
Il suo terzo disco, “Am I Not Your Girl?”, una raccolta di cover di standard jazz, di pezzi cioè diventati parte del repertorio comune dei jazzisti, non ricevette l’accoglienza prevista. La cantante partì per la promozione del disco, e il 3 ottobre del 1992 partecipò al Saturday Night Live, cantando “War” di Bob Marley, canzone di denuncia contro la guerra e per l’uguaglianza tra esseri umani ispirata a un discorso tenuto all’ONU nel 1963 dall’imperatore d’Etiopia Haile Selassie.
Durante la sua interpretazione a cappella, O’Connor cambiò le parole finali del testo facendo esplicito riferimento alla questione della pedofilia nella Chiesa cattolica che da qualche anno era cominciata ad emergere pubblicamente negli Stati Uniti. E strappò di fronte alle telecamere la foto di Papa Giovanni Paolo II, dicendo “fight your real enemy”, “combatti il vero nemico”.
Quando partecipò al Saturday Night Live, nell’ottobre del 1992, O’Connor era già finita al centro di molte polemiche: aveva scelto di boicottare i Grammy Awards dove aveva ottenuto una candidatura per il Record of the Year, spiegando di non voler far parte «di un mondo che misura l’abilità artistica in base al successo materiale» e che stabilisce dunque quali siano i migliori dischi in base alle vendite. Poi si era rifiutata di cantare l’inno degli Stati Uniti prima dei suoi concerti negli Stati Uniti, perché gli inni nazionali «non hanno nulla a che fare con la musica in generale».
Ma lo scandalo che seguì allo strappo della foto fu enorme e distrusse, di fatto, la sua reputazione e la sua carriera.
Nel libro di memorie intitolato “Rememberings”, O’Connor ha spiegato che la sua versione è però molto diversa: dice che fu l’enorme successo di “Nothing Compares 2 U” a mettere realmente in crisi la sua carriera, mentre l’aver strappato la foto del Papa la fece tornare «sulla giusta strada». «Sono dovuta tornare a guadagnarmi da vivere esibendomi dal vivo ed è quello per cui sono nata. Non sono nata per essere una pop star». Racconta anche, però, come quel che ne seguì fu per lei «molto traumatizzante».
Poche settimane dopo il Saturday Night Live, O’Connor partecipò a un concerto al Madison Square Garden di New York in onore di Bob Dylan. Quando arrivò sul palco attese a lungo il silenzio del pubblico, che non arrivò. Lei cominciò comunque a cantare tra i fischi e le grida “War” e poi abbandonò in lacrime il palco. Al New York Times ha raccontato che inizialmente, sentendo i fischi, rimase così sorpresa che pensava fossero rivolti al modo in cui era vestita.
Fu criticata molto, pubblicamente, per aver strappato la foto del Papa. Joe Pesci minacciò di prenderla a schiaffi, Madonna le fece il verso strappando una foto di Joey Buttafuoco, un uomo condannato per stupro che in quegli anni era al centro di un caso di cronaca molto discusso. La cantautrice venne poi condannata dall’Anti-Defamation League, centinaia dei suoi dischi furono distrutti fuori dalla sede della sua casa discografica, e Frank Sinatra la definì «una stupida».
Sinead O’Connor scrisse una lettera pubblica in cui provò a raccontare la sua esperienza con la Chiesa cattolica in Irlanda, provocando però l’effetto contrario a quello sperato.
Oggi, il primo commento che si trova sotto al video della protesta di O’Connor su YouTube dice che quella fu la cosa migliore mai accaduta all’interno del Saturday Night Live. Il secondo dice che O’Connor aveva già allora ragione, che fu «molto coraggiosa» e che si schierò per tutti noi». In effetti gli abusi sessuali sui minori e il loro insabbiamento all’interno della Chiesa cattolica da lì a poco cominciarono ad essere al centro del discorso pubblico e lo stesso Giovanni Paolo II li riconobbe, ma solo nel 2001.
Il New York Times racconta che l’azione di denuncia di O’Connor nasceva anche dalla sua situazione personale.
Nell’autobiografia, O’Connor parla in modo molto dettagliato di come sua madre l’avesse abusata fisicamente fin da quando era una bambina. E il giorno che la madre morì, O’Connor prese l’unica fotografia appesa sul muro della camera da letto della madre: un’immagine del Papa. Conservò per anni quella foto, aspettando il momento giusto per strapparla. «L’abuso di minori è una crisi di identità e la fama è una crisi di identità, quindi sono passata direttamente da una crisi di identità all’altra», ha detto. E quando cercò di richiamare l’attenzione sugli abusi di minori nella Chiesa lo fece facendo leva sulla propria fama.
Nel 2016 i giornali internazionali si occuparono nuovamente di O’Connor quando scomparve per molte ore mentre si trovava a Chicago. In quell’occasione, aveva minacciato di uccidersi dopo che le era stata tolta la custodia del figlio 13enne, dicendo ai servizi sociali che avrebbero avuto «una celebrità morta per le mani» se non avessero cambiato la loro decisione. L’anno dopo pubblicò un lungo video sulla sua pagina Facebook in cui raccontava di vivere da settimane in un motel nel New Jersey e di essere stata abbandonata dalla famiglia.
Il New York Times ha raccontato che oggi O’Connor vive isolata, lontana da tutto («Ho comprato sedie scomode, perché non mi piace che le persone rimangano a lungo»). Si rade ancora la testa, ogni dieci giorni, e indossa lo hijab: si è convertita all’Islam nel 2018 e ha iniziato a farsi chiamare Shuhada Sadaqat. Negli ultimi sei anni è stata spesso ricoverata in strutture per la salute mentale, dice di soffrire di disturbi post-traumatici e borderline. La sua ultima esibizione in tv è del 2019.