Ad Amsterdam si continua a discutere di vietare i coffee shop ai turisti
La proposta della sindaca verrà probabilmente bocciata la prossima settimana, ma il problema per i residenti esiste
Mercoledì il consiglio comunale di Amsterdam voterà una proposta per vietare temporaneamente ai turisti i coffee shop, i famosi locali della città in cui si vende e consuma liberamente marijuana. Non ci si aspetta che la mozione passerà, ma a sostenerla è la stessa sindaca Femke Halsema, di centrosinistra, secondo cui il divieto servirebbe da un lato a contrastare il traffico illegale di droghe, dall’altro a limitare l’afflusso in città di turisti che contribuiscono poco all’economia locale e creano principalmente problemi e disagi ai residenti.
Sono molti anni che Amsterdam si confronta con questo problema, diventato nuovamente pressante quest’estate una volta che i turisti sono tornati ai livelli precedenti alla pandemia. Secondo una stima citata dal Guardian, 100 coffee shop su 166 in città servono di fatto a soddisfare la sola domanda dei turisti, che sono attirati in città anche dal celebre quartiere a luci rosse, dove si esercita legalmente la prostituzione. Questo tipo di turismo è storicamente malvisto da chi vive ad Amsterdam, e Halesma da tempo porta avanti una battaglia contro quelle che chiama «vacanze morali» in città.
Tra chi è d’accordo con lei c’è Claire Martens, leader locale del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, di centrodestra, secondo cui «è uno dei pochi interventi che possiamo fare per limitare i disagi nel centro e per cambiare la nostra immagine da droga e alcol». «Amsterdam è meglio di così, e i residenti meritano di meglio. Gli addii al celibato e i turisti europei che vengono in auto per fumare erba, dormono in macchina e fanno casino non aggiungono valore alla città», ha detto al Guardian. Tra i turisti di questa categoria, gli italiani sono tra i più numerosi, assieme agli inglesi.
Il divieto peraltro applicherebbe una legge nazionale già esistente, rispetto alla quale l’amministrazione di Amsterdam, come molte altre nei Paesi Bassi, aveva negoziato un’esenzione.
Oltre al problema del degrado e degli schiamazzi, secondo i suoi promotori il divieto servirebbe anche a contrastare il narcotraffico. La situazione giuridica della cannabis ad Amsterdam infatti è strana. Nei Paesi Bassi è teoricamente illegale possederla, venderla o produrla, ma visto il basso impatto sanitario e sociale ci sono ampi margini di tolleranza che comprendono i coffee shop, che possono venderla fino a un massimo di 5 grammi per singola transazione. È però illegale coltivarla per fini commerciali (se si esclude quella coltivata per fini medici sotto il controllo del Bureau voor Medicinale Cannabis), e perciò i coffee shop la comprano da imprese clandestine, su cui la polizia chiude più di un occhio. Il divieto limiterebbe evidentemente i loro affari.
Ma la vendita della cannabis è collegata al traffico di sostanze stupefacenti più pesanti principalmente per un altro motivo. Dai Paesi Bassi, lo stato europeo notoriamente più libertario da questo punto di vista, proviene infatti una larga parte delle droghe di sintesi prodotte nel continente, come metanfetamine ed ecstasy. Il traffico di sostanze stupefacenti è enorme, favorito dai grandi porti del paese dove arriva la cocaina dal Sud America. Molti turisti insomma vanno ad Amsterdam non solo per la marijuana e per la prostituzione, ma anche per la facilità con cui si possono comprare illegalmente altre droghe, dalla cocaina all’MDMA e alla ketamina.
Secondo i promotori del divieto, limitare i coffee shop ai residenti ridurrebbe la richiesta complessiva di droghe e quindi gli affari dei grandi spacciatori. Secondo i suoi oppositori, l’afflusso di turisti in cerca di stupefacenti continuerebbe, e il traffico di cannabis si sposterebbe semplicemente per le strade, dove avviene già quello delle altre sostanze illegali.