Che storia ha Lula
Il nuovo presidente del Brasile è considerato un simbolo della sinistra sudamericana e mondiale, con alle spalle una storia personale e politica notevole
Luiz Inácio Lula da Silva, 77 anni, ex sindacalista, governò il paese tra il 2003 e il 2011 (per due mandati) diventando un simbolo per la sinistra sudamericana e del mondo. Nel 2017 Lula (come lui stesso decise di chiamarsi dal 1982) venne arrestato per corruzione, incarcerato e poi scagionato dopo che fu accertato che il giudice che lo aveva condannato non era stato imparziale. Durante l’ultima campagna elettorale ha detto che se avesse vinto le elezioni avrebbe governato per tutti i brasiliani, ma che «i poveri avranno la priorità».
Lula nacque in una famiglia molto modesta nello stato brasiliano di Pernambuco, nel nord-est del paese. Lasciò la scuola dopo la quarta elementare, cominciò a lavorare a dodici anni come lustrascarpe, venditore di strada e poi in fabbrica, proseguendo gli studi e riuscendo a ottenere quello che in Italia corrisponde a un diploma di scuola superiore. Nel 1956 la famiglia si trasferì a San Paolo, dove Lula continuò a lavorare in una fabbrica di componenti per auto e ebbe un incidente sul lavoro in cui perse il mignolo della mano sinistra: è per questo che, con disprezzo, il presidente uscente Jair Bolsonaro, populista e di destra anche lui candidato per un nuovo mandato, lo chiama «nove dita».
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Fu in quel periodo che Lula cominciò a interessarsi alle attività del sindacato, facendo poi carriera al suo interno. Quegli anni furono molto complicati per il Brasile.
Alle presidenziali del 1961, con una campagna elettorale basata sulla lotta alla corruzione e forte del malcontento della popolazione più debole e povera, venne eletto Jânio Quadros con quasi il 50 per cento dei voti. La politica di Quadros si rivelò però fallimentare, poco incisiva e populista, e lui venne ben presto abbandonato sia dai partiti moderati e conservatori che dall’opinione pubblica, e venne ostacolato anche dal Congresso. Dopo soli 207 giorni di governo si dimise.
Le dimissioni di Quadros aprirono una profonda crisi politica. Vi fu il tentativo, portato avanti dalle forze armate brasiliane e da alcuni partiti politici appoggiati da banchieri e latifondisti, di trasformare il sistema politico nazionale da presidenzialista a parlamentarista, il cui vero obiettivo era indebolire l’insediamento del vicepresidente João Goulart, considerato una “minaccia comunista”. Goulart, grazie a un referendum, riuscì a insediarsi e ad avere pieni poteri. Avviò la riforma agraria e quella dell’istruzione, difese i diritti sindacali dei lavoratori e in un celebre discorso del 13 marzo 1964, durante una manifestazione di circa 100 mila persone, annunciò la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere.
Il mondo, intanto, era in piena Guerra fredda. Goulart fu considerato sempre di più una minaccia per gli Stati Uniti: alla fine di marzo il governo del presidente Lyndon Johnson ordinò di posizionare navi e aerei lungo la costa brasiliana, pronti se necessario a entrare in azione.
Tra il 31 marzo e il primo aprile del 1964 i carrarmati dell’esercito brasiliano ricevettero l’ordine di dirigersi verso Brasilia e Rio de Janeiro. Il presidente decise di non reagire, fu deposto e fuggì in Uruguay. Il 3 aprile del 1964 il presidente del Congresso dichiarò vacante la presidenza. Il 15 aprile il maresciallo Humberto de Alencar Castelo Branco divenne presidente del Brasile e ebbe inizio la dittatura militare, che durò per vent’anni.
Alla fine degli anni Settanta la sinistra iniziò a riorganizzarsi politicamente e all’inizio degli anni Ottanta, nel pieno della dittatura militare, un gruppo di professori universitari, intellettuali e dirigenti sindacali, tra cui Lula, fondarono il Partito dei Lavoratori, di sinistra e con idee progressiste.
Nel 1985, dopo un aumento delle tensioni sociali e la decisione di un ritorno graduale al governo civile, si tornò all’elezione diretta del presidente. Vinse Tancredo Neves. Nel 1986 fu eletto il nuovo Congresso, che assunse anche la funzione di Assemblea costituente. E anche Lula riuscì a farne parte. La nuova Costituzione fu promulgata nel 1988.
L’anno dopo, quando era ancora deputato, Lula si candidò alla presidenza con il Partito dei Lavoratori, ma perse. Dopo altri due tentativi falliti, nel 1994 e nel 1998, riuscì a essere eletto al ballottaggio con il 61 per cento dei voti alle elezioni del 2002, contro il candidato di centro José Serra del Partito della Social Democrazia Brasiliana (PSDB). Quando indossò la fascia presidenziale promise di lottare affinché ogni brasiliano facesse tre pasti al giorno. Il 29 ottobre del 2006 Lula venne riconfermato presidente, con oltre il 60 per cento dei voti al ballottaggio, sconfiggendo il candidato del PSDB Geraldo Alckmin che per le prossime elezioni Lula ha scelto come proprio vicepresidente.
Quando fu eletto per la prima volta, in molti temevano che il passato da sindacalista di sinistra di Lula sarebbe stato un freno per lo sviluppo economico del paese. Al contrario, i suoi otto anni di mandato, grazie anche a un contesto economico favorevole dovuto all’aumento del prezzo delle materie prime di cui il paese è ricco, segnarono uno dei più notevoli periodi di crescita della storia del Brasile, cosa che gli permise di allargare notevolmente la sua base elettorale e di conquistare anche l’appoggio degli imprenditori, tanto da ottenere la partecipazione alla coalizione di governo del suo secondo mandato del partito centrista PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro).
Nel corso dei suoi due mandati, Lula è stato spesso criticato per aver rinunciato o modificato le sue proposte iniziali a favore di posizioni sempre più moderate, tanto che una parte consistente del Partito dei Lavoratori se ne andò per formare movimenti più radicali. Lula ottenne comunque una grande popolarità in Brasile e all’estero, per esempio impegnandosi a ridurre la deforestazione amazzonica e ponendo al centro della sua politica i programmi sociali.
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Il programma “Fome Zero” (“Fame Zero”) aveva l’obiettivo di rafforzare l’agricoltura, prevenire le gravidanze precoci e mettere fine alla fame in Brasile, definita da Lula come la «peggiore arma di distruzione di massa»; “Bolsa Família” forniva invece aiuti finanziari alle famiglie più povere a patto che garantissero la scolarizzazione e la vaccinazione dei figli, e “Luz Para Todos” aveva l’obiettivo di rendere universale, a tutti i cittadini, l’accesso all’energia elettrica.
Quest’ultimo non fu però un successo. Sotto la sua presidenza, venne istituito il ministero per lo Sviluppo sociale e la Lotta alla fame e vennero migliorate le infrastrutture del Brasile (favorendo anche i privati, nonostante Lula fosse sempre stato critico sulla privatizzazione), ma molte delle riforme promesse da Lula non vennero portate a termine, secondo gli stessi movimenti che lo sostennero: alfabetizzazione, sviluppo delle popolazioni indigene e diminuzione della violenza della polizia, tra le altre cose.
André Singer, portavoce del primo governo Lula, ha spiegato di recente che è vero che Lula moltiplicò i programmi sociali contro la povertà, ma che in cambio portò avanti un programma che non comportò cambiamenti radicali nella società brasiliana, accettato in fondo anche dalle élite industriali e finanziarie del paese. Una delle caratteristiche del “lulismo” fu insomma secondo lui quella di creare uno stato sufficientemente forte per ridurre le disuguaglianze, ma senza rimetterne in discussione le strutture.
Con Lula il Brasile aumentò la propria influenza internazionale. In politica estera, Lula è stato definito un leader “pragmatico”, che ha cercato di mantenere buoni rapporti sia con l’allora presidente americano George W. Bush che con il leader venezuelano Hugo Chavez. In diverse occasioni è stato però accusato di non prendere posizione o di essere troppo morbido nei confronti di regimi non democratici (il Washington Post, nel 2010, lo definì «il miglior amico dei tiranni nel mondo democratico»). Uno degli obiettivi di Lula era che il Brasile ottenesse un seggio come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma non ebbe successo. Di Lula, in quegli anni, in Italia si parlò parecchio perché negò l’estradizione a Cesare Battisti, ex terrorista del gruppo di estrema sinistra Proletari armati per il comunismo. Di questo, Lula si è scusato «con il popolo italiano» lo scorso anno.
Nel giugno del 2010, poco prima della fine del suo secondo mandato, non potendosi più candidare per la terza volta consecutiva, Lula indicò Dilma Rousseff, ministra nel suo governo, per il ruolo di candidata del Partito dei Lavoratori alla presidenza della Repubblica. Che vinse.
Dal 2016 Lula venne coinvolto in una serie di inchieste per corruzione. Fu accusato, tra le altre cose, di aver ricevuto un appartamento come tangente in circostanze legate al grande scandalo che negli ultimi anni ha coinvolto Petrobras, la grande azienda petrolifera pubblica del Brasile. Condannato a 9 anni, e poi a 12 in appello, restò in carcere per oltre un anno perdendo i suoi diritti politici, tra cui la possibilità di candidarsi nuovamente alle elezioni presidenziali.
La sua condanna fu annullata nel 2021 dalla Corte suprema brasiliana. Il tribunale stabilì che il giudice che lo aveva condannato, e che fu poi nominato ministro della Giustizia dal presidente Bolsonaro, non era stato imparziale. Di conseguenza Lula venne scarcerato e scagionato, riacquisendo i diritti politici che aveva perso compresa la possibilità di candidarsi alle attuali presidenziali.
Rispetto alle varie inchieste per corruzione in cui è stato coinvolto, Lula si è sempre dichiarato innocente. C’è un vivace dibattito, in Brasile, tra i suoi sostenitori e i suoi critici se tale affermazione sia vera fino in fondo oppure no. Una parte di brasiliani lo ha sempre considerato una vittima di persecuzioni politiche, un’altra parte pensa invece che nella sua lunga carriera sia stato a un certo punto corrotto. Un terzo gruppo di brasiliani, spiega il País, pur non credendolo completamente innocente ritiene che le sue siano eventualmente colpe minori rispetto a quanto ha fatto per il Brasile, e comunque un elemento secondario rispetto all’obiettivo principale delle ultime elezioni: e cioè che Bolsonaro non venga confermato presidente.
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