Quando San Marino rischiò la guerra civile
65 anni fa la piccola repubblica era l'unica in Europa governata dai comunisti, finché sfiorando lo scontro armato i democristiani appoggiati dall'Italia presero il potere
Sessantacinque anni fa, nella piccola Repubblica di San Marino, a pochi chilometri da Rimini e Riccione, accadde un episodio della Guerra fredda poco conosciuto e poco raccontato. Viene ricordato come la crisi di Rovereta, o i fatti di Rovereta: San Marino rischiò la guerra civile, con comunisti e socialisti da una parte, appoggiati dai partiti omologhi italiani, e democristiani dall’altra, appoggiati dal governo italiano oltre che dal partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, allora guidata da Amintore Fanfani.
La Guerra fredda fu la contrapposizione permanente tra paesi comunisti dell’Est Europa, guidati dall’Unione Sovietica, e quelli occidentali appartenenti all’Alleanza Atlantica, capeggiati dagli Stati Uniti. Fu un confronto duro e teso, che rischiò di diventare guerra aperta e combattuta, e nucleare. Quella situazione di tensione perenne, la corsa agli armamenti sempre più potenti e soprattutto la collocazione politico-strategica dei vari paesi, contraddistinse la storia d’Europa e del mondo dal secondo dopoguerra fino alla caduta del muro di Berlino, nel 1989.
Questa situazione coinvolse anche San Marino, il piccolo stato indipendente al confine tra Emilia-Romagna e Marche, che negli anni Cinquanta era l’unico paese a guida comunista dell’Europa occidentale. Un piccolo puntino rosso in mezzo a un continente totalmente schierato con gli Stati Uniti.
Prima di arrivare però ai fatti di Rovereta, che avvennero tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre del 1957, bisogna spiegare come funziona la Serenissima Repubblica di San Marino. A guidare il paese sono due Capitani Reggenti, l’Eccellentissima Reggenza, in pratica due capi di stato che rimangono in carica pochissimo, solo sei mesi. Vengono eletti il 1° aprile e il 1° ottobre, due volte all’anno. A eleggerli è il Consiglio Grande e Generale, cioè il parlamento di San Marino, composto da 60 membri. Il sistema è multipartitico e i partiti hanno sempre rispecchiato, in piccolo, quelli italiani. Il governo è costituito dal Congresso di Stato: 10 ministri che guidano i vari settori dell’amministrazione pubblica. Sono nominati dai Capitani Reggenti su indicazione del Consiglio Grande e Generale.
La storia politica di San Marino nel Novecento ha molto ricalcato quella dell’Italia. Anche San Marino ebbe il suo periodo fascista. Il Partito Fascista Sammarinese (PFS) andò al potere il 1° ottobre 1922, poche settimane prima di quanto avvenne in Italia, e cadde tre giorni dopo quello italiano: il 28 luglio 1943 una grande manifestazione antifascista indusse il PFS a lasciare il potere. Quando in Italia nacque la Repubblica Sociale Italiana a Salò, anche a San Marino i fascisti tentarono di formare una repubblica fascista, il Fascio Repubblicano di San Marino. Nel settembre del 1944 gli inglesi occuparono per qualche mese la repubblica che durante la guerra era rimasta sempre neutrale, anche se governata dal partito fascista. Il nuovo partito fascista venne sciolto e 50 dirigenti e membri vennero processati.
Nel 1945 ci furono le elezioni e fu allora che la repubblica prese una strada diversa da quella italiana. Le elezioni furono vinte in maniera schiacciante dal Partito Comunista sammarinese e dal Partito Socialista sammarinese che insieme ottennero il 65% dei voti, battendo la coalizione guidata dal Partito Cristiano Democratico sammarinese.
Da allora il blocco di sinistra vinse ogni elezione per i dieci anni successivi, una anomalia nel contesto europeo. Il governo italiano, a guida democristiana, non apprezzava la politica sammarinese e non faceva nulla per nasconderlo. Nel 1955, durante il governo del democristiano Mario Scelba, venne istituito un blocco della polizia italiana ai confini con San Marino per impedire ai cittadini italiani di andare a giocare al casinò, da poco aperto nella Serenissima Repubblica.
San Marino era però comunque un paese occidentale, con importanti politiche sociali progressiste ma con un’economia di tipo capitalista. Nel 1956 le cose iniziarono a cambiare. I rapporti con l’Unione Sovietica divennero intensi e ufficiali tanto che l’URSS aprì a San Marino un’ambasciata dandole grande rilevanza. Il partito comunista, che guidava il governo, preparò un programma di cambiamenti strutturali che prevedeva la riforma delle istituzioni, la stesura di una costituzione scritta, che San Marino non aveva, e soprattutto uno sviluppo dell’economia in senso collettivistico.
Il governo italiano fece forti pressioni, soprattutto sul Partito Socialista Sammarinese, perché le riforme non venissero approvate: nel 1957 una fazione contraria all’alleanza con i comunisti si staccò e fondò il Partito Socialista Indipendente Sammarinese. I consiglieri che abbandonarono la maggioranza furono cinque. A quel punto la situazione era di parità perfetta: 30 parlamentari del blocco di sinistra e 30 del blocco centrista.
Il giorno prima dell’elezione dei due Capitani Reggenti, che sarebbero stati in carica dal 1° ottobre fino a marzo, un consigliere, Attilio Giannini detto Piciulà, lasciò il Partito Socialista Sammarinese e aderì agli scissionisti spostando la maggioranza dei consiglieri a favore del blocco di centro. I due partiti di sinistra reagirono depositando la lettera di dimissioni di tutti i consiglieri della vecchia maggioranza, compresi quelli che si erano spostati nella compagine centrista. Era infatti consuetudine, per garantire la fedeltà al partito, che i consiglieri, al momento dell’elezione, firmassero lettere di dimissioni in bianco da consegnare ai dirigenti. In questo modo, tutti i consiglieri eletti con il partito comunista e con quello socialista decaddero e si dovettero convocare le elezioni, che furono fissate per il 3 novembre.
La sera del 30 settembre i membri della nuova maggioranza a guida democristiana occuparono uno stabilimento in disuso in una zona chiamata Rovereta, in una lingua di territorio strategicamente confinante con l’Italia. Lì il 1° ottobre, in concomitanza con la fine del mandato dei Capitani Reggenti, fu annunciata la nascita di un autoproclamato governo provvisorio, il governo di Rovereta, che fu subito riconosciuto dall’Italia.
Nella stessa giornata i carabinieri italiani circondarono su tre lati il territorio di Rovereta nella parte italiana. Il governo autoproclamato fece appello ai corpi militari della repubblica e alla gendarmeria, mentre in piazza della Libertà si riunirono i sostenitori delle forze di sinistra che rivendicavano la legittimità del governo in carica. Il governo del Palazzo, come è chiamato a San Marino, di sinistra, istituì un Corpo di Milizia Volontaria. Entrambi i governi disponevano di milizie armate, e dall’Italia giunsero armi a entrambe le fazioni.
Per due settimane i due gruppi si fronteggiarono ma non si arrivò mai a uno scontro armato. Il 14 ottobre 1957 il governo del Palazzo dichiarò di «cedere alla sopraffazione», abbandonò la sede e il nuovo governo, appoggiato da quello italiano, si insediò. Un cronista sammarinese dell’epoca, scrisse:
In cento braccia inesperte è stata cucita una fascia. Cento dita potevano premere il grilletto. I primi fucili rudimentali sono stati sostituiti talvolta da armi moderne ed automatiche spuntate come funghi sotto la pioggia e non tutti i funghi erano nostrani.
Due anni dopo, nel 1959, si svolsero le elezioni. Le vinse il Partito Democratico Cristiano Sammarinese che avrebbe governato la repubblica per molti anni.