L’omino del Monopoli indossa un monocolo, vero?
Falso, ma lo crediamo in molti per via del cosiddetto effetto Mandela, che ci porta a elaborare falsi ricordi collettivi
Molte persone a cui viene chiesto di ricordare le fattezze dell’omino mascotte del gioco da tavolo “Monopoli”, che esiste dagli anni Trenta, affermano che quell’elegante e baffuto signore in frac e cilindro porta anche un monocolo. Non ne ha mai avuto alcuno, in nessuna edizione del gioco. Il fatto che in tanti ricordino di sì è uno dei numerosi e citati esempi del cosiddetto effetto Mandela, un fenomeno che si verifica quando una convinzione falsa ma riferita a un fatto reale è condivisa da un gruppo di persone abbastanza ampio da renderla una realtà comunemente accettata.
Sebbene i processi di diffusione di false convinzioni fossero all’epoca già studiati da tempo, l’espressione «effetto Mandela» fu coniata nel 2009 da una blogger statunitense, Fiona Broome, dopo aver scoperto su Internet che molte altre persone oltre a lei pensavano che il politico e attivista sudafricano Nelson Mandela fosse morto in carcere negli anni Ottanta. In realtà, nel 2009, Mandela era vivo (sarebbe morto quattro anni dopo): liberato nel 1990, dopo 27 anni di prigionia, era stato in seguito presidente del Sudafrica dal 1994 al 1999.
L’esempio posto da Broome sembrava riferirsi a una sorta di scherzo della memoria condiviso: un ricordo errato di qualcosa che era comunque facilmente verificabile, di cui le persone erano convinte in modo inconscio e senza averci mai fatto troppo caso. All’epoca, invece, molti degli studi di psicologia riferiti a fenomeni di questo tipo si concentravano soprattutto sui rapporti tra false credenze e teorie del complotto, e quindi su processi che coinvolgevano oltre ai ricordi anche pregiudizi e convinzioni difficili da sradicare.
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La convinzione errata su Mandela diventò rapidamente argomento di discussioni molto partecipate su diversi forum e su Reddit, dove gli utenti ancora oggi condividono falsi ricordi basati su dettagli inesatti di eventi realmente accaduti o di fatti di cultura popolare. E li condividono, prima di tutto, per scoprire se e quanto siano comuni quei loro falsi ricordi anche tra altre persone.
Alcuni ricordano che il logo dell’azienda di abbigliamento Fruit of the Loom sia una cornucopia piena di frutta: ma in realtà non c’è alcuna cornucopia. Altri ricordano un film degli anni Novanta interpretato dal giocatore di basket Shaquille O’Neal, nei panni di un genio della lampada, e intitolato Shazaam anziché Kazaam. E altri ancora, ricordando il film Disney La spada nella roccia, dimenticano che la spada è conficcata in un’incudine sulla roccia, non direttamente nella pietra.
Per non dire delle frasi celebri di film citate male da moltissime persone. Nel film della saga di Star Wars L’Impero colpisce ancora Darth Vader non dice «Luke, sono tuo padre» ma «No, io sono tuo padre». In Biancaneve e i sette nani la strega non dice «Specchio, specchio delle mie brame» ma «Specchio, servo delle mie brame». E nel film Il silenzio degli innocenti il dottor Hannibal Lecter non pronuncia mai la frase «Salve, Clarice»: dice «Buongiorno» la prima volta o «Buonasera, Clarice» un’altra volta, ma mai «Salve, Clarice».
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La premessa ovvia di qualsiasi spiegazione dell’effetto Mandela è che, eccezioni letterarie a parte, non esiste una memoria perfettamente accurata. Secondo i risultati di un esperimento condotto da ricercatori della University of Toronto e pubblicato nel 2020 in uno studio sulla rivista Psychological Science, nel 76 per cento dei casi le persone commettono almeno un errore nel riferire i dettagli verificabili di un evento che ricordano, e nel 46 per cento dei casi ne commettono almeno due.
L’aspetto sorprendente dell’effetto Mandela non è che le persone ricordino male un evento, ovviamente, ma che gruppi più o meno estesi di persone ricordino un fatto allo stesso modo e diversamente da come andò realmente. Che è un caso attestato in un’ampia e crescente letteratura scientifica, oltre che in numerosi esempi che attirano divertite attenzioni su Internet.
In un recente esperimento di psicologia, due ricercatrici statunitensi, Deepasri Prasad del Dartmouth College e Wilma Bainbridge della University of Chicago, hanno presentato a un gruppo di persone tre versioni alternative di una stessa immagine, tra cui quelle del logo di Fruit of the Loom e dell’omino del Monopoli. Sapendo che soltanto una delle tre versioni era quella corretta, le persone hanno indicato la versione giusta soltanto il 33 per cento delle volte: nella maggior parte dei casi hanno scelto la stessa immagine sbagliata. E, in successivi esperimenti, alcune persone hanno continuato a scegliere la versione sbagliata anche dopo aver visto l’immagine corretta.
Per uno studio di psicologia pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica Cortex, un gruppo di ricerca delle Università di Edimburgo, Trento e Suor Orsola Benincasa di Napoli chiese a 180 persone cosa ricordassero dell’orologio della stazione di Bologna danneggiato nell’attentato avvenuto alle 10:25 del 2 agosto 1980.
Soltanto l’11 per cento delle persone intervistate – tutta gente che passava abitualmente dalla stazione o ci lavorava – ricordava correttamente che l’orologio era stato in seguito riparato nel giro di pochi mesi. Aveva quindi ripreso a funzionare regolarmente fino al 1996, quando in seguito a un guasto fu presa la decisione di lasciarlo fermo alle 10:25 per commemorare le persone morte nell’attentato. Ma la maggioranza delle persone intervistate ricordava che l’orologio era rimasto fermo alle 10:25 fin dal giorno dell’attentato.
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Diverse ricerche sulla memoria pubblicate nell’ultimo decennio mostrano come la formazione dei ricordi individuali sia un processo dinamico e costantemente condizionato da molteplici fattori. Tendiamo a disporre e sistemare i singoli ricordi all’interno di narrazioni strutturate e coerenti, anche a scapito dell’accuratezza, in un processo che coinvolge sia particolari stati emotivi individuali sia il modo in cui elaboriamo le informazioni ricavate da vari stimoli esterni nel corso del tempo.
I molti ricordi dell’orologio della stazione di Bologna fermo alle 10:25 fin dal giorno dell’attentato, in un certo senso, non sono il risultato di un errore sorprendentemente condiviso nel processo di formazione del ricordo. Sono piuttosto il risultato di condizionamenti validi per la maggior parte delle persone e verosimilmente riconducibili all’influenza dei media e dei racconti, rafforzati dalle molte fotografie e dai molti video del giorno dell’attentato, in cui l’orologio era effettivamente fermo alle 10:25.
Altri studi hanno dimostrato come fattori anche relativamente banali, non legati alla disinformazione né agli stati emotivi delle persone, possano normalmente condizionare la memoria. Può capitare di ricordare male le cose per effetto di una spinta a organizzare le informazioni in un modo che sia semanticamente coerente e linguisticamente omogeneo.
La tendenza a ricordare la mascotte del Monopoli con un monocolo potrebbe, per esempio, derivare dall’associazione del monocolo ad altre raffigurazioni dell’aristocrazia coerenti con l’immagine del ricco omino del Monopoli. Ma potrebbe anche avere a che fare, banalmente, con l’assonanza tra le parole «Monopoli» e «monocolo».
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