L’uomo e le scarpe dei nuovi record della maratona
Con le avanzatissime Nike Alphafly 2, Eliud Kipchoge si è avvicinato un altro po' a correre una maratona competitiva in meno di due ore
di Gabriele Gargantini
Già alle Olimpiadi di Londra del 1908 alcuni atleti corsero la maratona, la prima davvero lunga circa 42 chilometri, in meno di tre ore. Il primo a correrla in meno di due ore e mezza fu Sohn Kee-chung nel 1936. Kee-chung era coreano ma corse per il Giappone, paese che all’epoca aveva occupato il suo. E nel 1960, alle Olimpiadi di Roma, l’etiope Abebe Bikila andò vicinissimo a metterci meno di due ore e 15 minuti, correndo scalzo.
Il 25 settembre di quest’anno, a Berlino, il 37enne keniano Eliud Kipchoge ha stabilito un nuovo record mondiale della maratona, correndola in due ore, 1 minuto e 9 secondi e abbassando di trenta secondi il suo precedente primato del 2018. Il nuovo record rende ancora più vicino il superamento di una delle più importanti barriere simboliche dello sport, quella della maratona in meno di due ore. Una barriera, o un cosiddetto “muro”, che Kipchoge ha già superato nel 2019 a Vienna, correndo però in condizioni peculiari e sfruttando aiuti tecnologici e tecnici che non rendono quel record omologabile.
Anche in questi ultimi giorni, comunque, oltre che della straordinarietà della prestazione di Kipchoge si è parlato molto anche delle sue scarpe.
Sono decisamente cambiati i tempi da quando Bikila poteva riuscire, scalzo, a correre la maratona più veloce di chiunque altro. Oggi le scarpe sono determinanti e c’è chi si chiede se quelle usate da Kipchoge, le Nike Air Zoom Alphafly NEXT% 2, non lo siano troppo. Chi non gradisce l’importanza di queste scarpe cita studi su quanto migliorano le prestazioni; chi pensa invece sia giusto usarle, fa notare che fa parte del progresso e che peraltro le stanno usando in tantissimi, eppure solo ai piedi di Kipchoge permettono di avvicinarsi al muro delle due ore.
Nato nel 1984, quando il record mondiale della maratona era ancora sopra le due ore e 8 minuti, Eliud Kipchoge corse la sua prima maratona ufficiale meno di dieci anni fa, nell’aprile del 2013. Prima era stato un ottimo mezzofondista, vincitore di due medaglie olimpiche nei 5.000 metri; dopo è diventato uno dei migliori maratoneti di sempre, probabilmente il migliore. Delle diciassette maratone che ha corso ne ha vinte quindici; ha poi vinto le maratone olimpiche di Rio de Janeiro e Tokyo e, nel 2018, ha stabilito il primo dei sue due record mondiali mettendoci due ore, 1 minuto e 39 secondi per fare 42,195 chilometri.
Nel 2019, anche grazie al supporto dell’azienda chimica britannica Ineos e sempre con un paio di Nike ai piedi, Kipchoge corse a Vienna una maratona in un’ora, 59 minuti e 40 secondi.
Quel risultato fu almeno tre cose insieme: un’incredibile prova atletica, un’efficace operazione di marketing e una potente dimostrazione di come preparazione e tecnologia possano migliorare certe prestazioni. Tra le altre cose, Kipchoge beneficiò infatti di decine di eccellenti corridori che, alternandosi, tenevano un alto ritmo di corsa attorno a lui, le cosiddette “lepri”. Ebbe inoltre modo di stare in scia a un’auto che proiettava sull’asfalto una linea laser per segnalargli la strada da fare per restare sotto alle due ore.
Il record del 25 settembre Kipchoge lo ha fatto invece in una maratona regolamentare: quella di Berlino, che per clima e tipo di percorso ben si addice ai record.
Per completare la maratona in 2 ore, 1 minuto e 9 secondi, Kipchoge ha corso a una velocità di pochissimo inferiore ai 21 chilometri orari, con un ritmo medio di 2 minuti e 52 secondi al chilometro. I suoi primi dieci chilometri li ha corsi in 28 minuti e 23 secondi: un tempo da finale olimpica dei 10.000 metri. Il passaggio alla mezza maratona lo ha fatto in meno di un’ora: per metà gara ha avuto cioè un ritmo tale da scendere sotto il muro delle due ore. Tra l’altro, avrebbe potuto sicuramente abbassare di qualche altro secondo il suo record se, poco prima dell’arrivo, non avesse leggermente rallentato per festeggiare il risultato che sapeva di aver raggiunto.
Alto un metro e 67 centimetri per poco più di 50 chili, Kipchoge è un talento raro, di cui spesso si evidenziano sia le qualità mentali che le peculiarità atletiche e fisiologiche. Senza queste caratteristiche probabilmente non riuscirebbe a correre le maratone come le corre ormai da anni.
E poi ci sono le scarpe, le Nike Air Zoom Alphafly NEXT% 2.
Come ha scritto L’Équipe è in parte «grazie al contributo delle sue scarpe di ultima generazione» che Kipchoge «può tenere ritmi mai visti prima e soffrire meno nella seconda metà di gara». Sempre all’Équipe, l’ex maratoneta francese Christelle Daunay ha detto: «Con i nuovi modelli si possono fare carichi di allenamento più pesanti, avere meno infortuni e recuperare più in fretta». A chi ha gambe, fiato, falcata e tecnica di corsa per poterselo permettere, queste scarpe consentono inoltre di migliorare l’economia di corsa, di fatto diminuendo le vibrazioni e proteggendo i muscoli dalle conseguenze dei costanti e ripetuti impatti sull’asfalto.
Negli anni Kipchoge e gli altri maratoneti hanno usato diverse evoluzioni di queste scarpe di nuova generazione. Nel 2019 Kipchoge indossava le Nike Vaporfly e le Nike Air Zoom Alphafly NEXT% 2 — o più semplicemente le Alphafly 2— già erano ai suoi piedi, e a quelli di diversi maratoneti, durante la maratona Olimpica di Tokyo.
È da un po’ più cinque anni che cambiano i modelli ma non granché la sostanza: ci sono, sia per i maratoneti che per gli amatori, scarpe diverse e migliori di prima.
– Leggi anche: Le scarpe più veloci del mondo
Nike, che sta puntando molto sull’immagine e sui record di Kipchoge, sta facendo infatti scarpe caratterizzate da una spessa suola di gomma e schiuma, dal largo e alto tallone (c’è chi le chiama “scarpe col tacco”) e dalla presenza di lamine in fibra di carbonio che permettono di trasformare gli impatti con l’asfalto in tanti piccoli rimbalzi o slanci in avanti.
Scarpe che per migliorare l’efficacia e la meccanica dei movimenti riducono fino quasi ad annullare la dispersione di energia che c’è ogni volta che un piede tocca terra. Consentono inoltre ai maratoneti di fare maggiori cambi di ritmo durante la gara. Come ha notato L’Équipe, Kipchoge «sembra quasi aver inventato un nuovo modo di correre la maratona, che è il test di resistenza per eccellenza e nella quale la gestione progressiva delle energie era sembrata finora la chiave di volta».
Le Alphafly 2 costano 300 euro. Nike le presenta come «scarpe da gara su strada» e aggiunge: «Le unità Zoom Air e la schiuma ZoomX a tutta lunghezza offrono il sistema di ammortizzazione Nike con un ritorno di energia elevatissimo, per una maggiore elasticità a ogni passo. Il sottile battistrada in gomma migliora la trazione e incrementa il volume di ZoomX sotto l’ammortizzazione Zoom Air. La schiuma aggiuntiva non solo aumenta l’elasticità, ma migliora anche la transizione dal tallone all’avampiede».
Le Alphafly 2 sono in vendita perché ci sono regole della World Athletics (la Federazione mondiale di atletica leggera, prima nota come IAAF) che prevedono che gli atleti non possano indossare scarpe che non sono in commercio. E poi perché queste scarpe Nike, così come di altre marche che negli ultimi tempi hanno proposto modelli simili, hanno comunque un mercato; anche tra runner amatoriali, per i quali, tra l’altro, l’eccessivo o errato uso di scarpe così performanti diventa perfino controproducente.
Chi come la Nike produce e vende queste scarpe si trova infatti a dover bilanciare due necessità. Da un lato quella di rispettare regole e limitazioni della World Athletics, che per esempio impone un’altezza massima del tacco. Dall’altra c’è invece quella di dover promuovere un prodotto in tutta la sua unicità, lasciando intendere agli eventuali acquirenti che valga la pena investire 300 euro per correre più veloci. Un modello di alcuni anni fa, una sorta di precursore delle Alphafly 2, era chiamato “4%” in riferimento a studi secondo i quali aumentavano del 4 per cento l’efficacia della corsa.
Kipchoge – che resta un’atleta fenomenale, e lo sarebbe anche correndo scalzo – non sembra comunque aver abbandonato l’idea di correre una maratona competitiva in meno di due ore: un record che sarebbe senz’altro più storico di quello di Vienna.
Only @EliudKipchoge is faster than himself. Congratulations on beating your own world record in Berlin and pushing us all to reimagine our limits. pic.twitter.com/BVKEQ5CDcc
— Nike (@Nike) September 25, 2022
Ben oltre una vittoria nelle maratone di Boston e New York (le uniche importanti che gli mancano) e forse ancor più di diventare il primo nella storia a vincere tre maratone olimpiche (cosa che potrebbe fare nel 2024 a Parigi), l’abbattimento del muro delle due ore è infatti la più grande sfida che Kipchoge potrebbe superare. «Di sicuro non finisce qui» ha detto dopo il nuovo record: «I limiti alla fatica sono ancora tutti da scoprire».
– Leggi anche: Tutto lo sport di Ineos