Il governo britannico di Liz Truss ha fatto crollare la sterlina
Proponendo un enorme taglio alle tasse per i più ricchi e misure che sono state contestate e giudicate rischiose per l’economia
Negli ultimi giorni la sterlina britannica ha perso moltissimo valore, arrivando ai minimi storici nel cambio con il dollaro, dopo che il governo della prima ministra Liz Truss aveva presentato un piano economico che prevede enormi tagli delle tasse alle fasce più ricche della popolazione, da finanziare a debito. Il piano ha l’obiettivo di favorire la crescita economica ma è stato giudicato rischioso e poco responsabile: ha creato così tanto scompiglio sui mercati finanziari che la Banca d’Inghilterra, la banca centrale britannica, ha perfino valutato un acquisto massiccio di valuta per fermare il ribasso della sterlina. L’intervento non c’è stato ma la situazione sui mercati finanziari è rimasta tesa.
La manovra economica presentata dal governo Truss venerdì prevede i più alti tagli delle tasse da 50 anni, in controtendenza con la cautela sui conti pubblici che ha caratterizzato l’ultimo decennio. Ci sono molte perplessità e contestazioni sia a livello finanziario, perché gli investitori si stanno interrogando sulla sostenibilità delle finanze britanniche, sia a livello politico, dove la manovra è stata vista come un aiuto soprattutto alle imprese e alle fasce più ricche della popolazione, in un momento economico delicato in cui a soffrire dell’aumento dell’inflazione sono soprattutto i più poveri.
Cosa prevede la manovra di Truss
«È l’inizio di una nuova era», ha dichiarato venerdì in Parlamento il nuovo Cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng, il corrispondente del nostro ministro dell’Economia, presentando le misure per trasformare «il circolo vizioso della stagnazione nel circolo virtuoso della crescita».
Il governo ha annunciato la cancellazione dell’aliquota fiscale più alta, che era del 45 per cento per i redditi superiori alle 150 mila sterline l’anno (circa 170 mila euro), e ha ridotto dal 20 al 19 quella minima. Le imprese poi non dovranno affrontare l’aumento delle imposte societarie dal 19 al 25 per cento che era stato previsto dal precedente governo di Boris Johnson, e che Kwarteng ha abolito rinunciando così a un gettito di 12 miliardi di sterline all’anno (circa 13 miliardi di euro). È stato cancellato anche l’aumento dei contributi previdenziali per lavoratori e datori di lavoro, misura che costerà altri 14 miliardi di sterline, per lo più destinati a un aumento dei fondi al sistema sanitario nazionale.
La riduzione delle tasse sarà finanziata a debito, che è un modo azzardato di coprire le spese di un taglio permanente. Infatti non è prudente dal punto di vista finanziario, perché non garantisce un sistema credibile e sostenibile di finanziamento alla misura. Nei prossimi anni il governo dovrà decidere in che modo rendere permanente questo taglio, aumentando le entrate, quindi introducendo altre tasse, o riducendo alcune spese, perché il ricorso all’indebitamento dovrebbe avvenire solo per spese eccezionali.
Oltre ai tagli alle tasse il governo britannico ha confermato anche i costosi interventi per aiutare famiglie e imprese a far fronte ai rincari delle bollette per sei mesi.
L’ufficio britannico per la gestione del debito pubblico ha fatto sapere che a seguito dell’annuncio ha rivisto al rialzo i piani di emissione del debito di 72,4 miliardi di sterline (circa 80 miliardi di euro), per un totale di 234 miliardi di sterline in più nel solo 2022 (circa 250 miliardi di euro).
È stato anche abolito il tetto ai bonus dei banchieri, una misura che aveva imposto l’Unione Europea dopo la grande crisi finanziaria del 2008 per dissuaderli dal fare investimenti azzardati in vista di lauti guadagni personali. Questa misura non comporta spese per le casse dello stato ma veicola messaggi importanti: il Regno Unito vuole prendere le distanze dall’Unione Europea dopo Brexit, attraendo allo stesso tempo i favori dei grandi manager della City di Londra, cioè il quartiere finanziario della capitale britannica.
L’obiettivo è tornare a far crescere il Pil del 2,5 per cento, in netto contrasto con la previsione della Banca d’Inghilterra che vede il Regno Unito già in recessione.
La prima ministra Liz Truss, durante la campagna elettorale per succedere a Boris Johnson nella guida dei conservatori e del governo, non ha mai nascosto i suoi ideali liberisti. Le sue proposte economiche sembrano guardare a un approccio cosiddetto “trickle down”, che implica aumentare il benessere dei più ricchi per favorire la crescita. I più ricchi investirebbero, consumerebbero, creerebbero nuove aziende e posti di lavoro, e la crescita economica arriverebbe infine anche alle fasce più povere, ma in via residuale, con un “trickle down”, ossia uno sgocciolamento verso il basso.
È una teoria economica che era molto in voga negli anni Ottanta e che ha ispirato la politica economica del presidente statunitense Ronald Reagan. Le cose da allora sono diverse, la classe media si è abituata a un livello di benessere che non è più solo calato dall’alto. Molti commentatori si sono rivelati scettici su questa ricetta. Tra i tanti, anche l’Economist è stato molto critico: ha dedicato un duro editoriale a Liz Truss, che «se opterà per politiche in stile anni Ottanta, come un taglio delle tasse e burocrazia e poco altro, allora sarà ricordata come una reazionaria, non una radicale».
Truss sembra ispirarsi molto anche all’ex prima ministra britannica Margaret Thatcher, che governò nello stesso periodo di Reagan e le cui politiche furono orientate alle privatizzazioni e alla riduzione delle tasse per i più ricchi, volte a limitare il più possibile il ruolo dello stato nella vita economica del paese, tagliando i fondi ai servizi pubblici britannici con enormi conseguenze per la classe lavoratrice, con cui instaurò un durissimo conflitto sociale.
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Cos’è successo sui mercati finanziari
La reazione dei mercati è stata immediata. I titoli di stato inglesi hanno perso tantissimo valore e i loro rendimenti hanno raggiunto il 4 per cento, un valore molto alto e che non si vedeva dal 2010. Più il prezzo di un titolo scende, più il rendimento che assicura sarà alto: è una relazione inversa che rappresenta il fatto che più un titolo è percepito come rischioso, più gli investitori chiederanno un tasso di interesse elevato, il cosiddetto premio per il rischio.
Un commento del Financial Times ha fatto notare come nel mercato dei titoli di stato inglesi degli ultimi 35 anni non ci sia mai stato un movimento così brusco dei prezzi e dei rendimenti. Neanche grandi eventi come l’uscita del Regno Unito dal Sistema monetario europeo (SME), un sistema che serviva ad ancorare le valute europee a cambi fissi le une con le altre, l’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, la crisi finanziaria del 2008, Brexit o la pandemia da coronavirus avevano prodotto gli stessi effetti di questo provvedimento del governo.
Ma le conseguenze più gravi riguardano la sterlina, il cui valore ha iniziato a scendere velocemente già nella serata di venerdì, subito dopo l’annuncio. Neanche la pausa del fine settimana è servita a calmare gli investitori. La sterlina, che valeva 1,12 dollari prima dell’annuncio del Cancelliere dello Scacchiere inglese, ha toccato nella serata di venerdì il valore di 1,08 dollari per poi scendere lunedì al minimo storico di 1,035 dollari: è il calo più ampio da quando è misurabile.
Nel corso della giornata la valuta è poi risalita leggermente, mentre si faceva sempre più diffusa la voce di un intervento straordinario della Banca d’Inghilterra. L’intervento non è poi arrivato e la banca centrale inglese ha rassicurato che il suo prossimo intervento sarà nel mese di novembre, come da calendario, ribadendo in questo modo la sua indipendenza dalle scelte politiche.
Il ribasso della sterlina in realtà sta avvenendo da mesi a causa di un dollaro sempre più forte, ma molti commentatori sono concordi nel dire che la moneta sconta problemi solo inglesi, dato che rispetto ad altre valute ha perso molto di più. Il calo si è accentuato parecchio dalla giornata di venerdì e riflette infatti una sfiducia nei confronti della sterlina stessa: la valuta inglese ha perso valore anche nei confronti dell’euro (è scesa del tre per cento solo la settimana scorsa).
Perché il piano non è piaciuto
Gli investitori internazionali hanno dato un loro giudizio sulla direzione verso cui sembra andare la politica economica inglese, proprio come quando con Brexit la sterlina perse il 10 per cento. Non è piaciuto l’abbandono di una linea di prudenza nei conti pubblici, dopo periodi di grande spesa come la pandemia e gli scorsi mesi in cui tutta l’Europa ha dovuto far fronte a consistenti rincari dell’energia.
La mossa è stata giudicata particolarmente avventata anche per il contesto straordinario che il paese (assieme a tutto il mondo, per la verità) sta vivendo. Le banche centrali stanno aumentando i tassi di interesse di riferimento per combattere l’inflazione. L’obiettivo deliberato è quello di fare in modo che l’economia rallenti giusto quanto basta per far abbassare i prezzi: lo stanno facendo, per esempio, la Federal Reserve americana, in modo anche piuttosto aggressivo, la Banca Centrale Europea, ma anche la stessa Banca d’Inghilterra, che proprio la settimana scorsa ha annunciato l’aumento di uno 0,50% dei tassi.
Decidere di indebitarsi per cifre così importanti proprio quando il costo di prendere denaro a prestito aumenta ha fatto riflettere gli investitori sulla credibilità delle scelte di questo governo. Per placare le preoccupazioni, il Cancelliere dello Scacchiere Kwarteng ha annunciato nel fine settimana che sta lavorando anche a un piano di riduzione del debito pubblico nel medio termine, i cui dettagli saranno pubblicati a novembre. L’annuncio tuttavia non è stato sufficiente.
Finanziare a debito un taglio permanente delle tasse è un rischio, soprattutto in un contesto internazionale così complicato. Inoltre, con una sterlina debole le importazioni diventeranno relativamente più costose, soprattutto quelle di energia che si pagano in dollari. Di conseguenza l’inflazione, che ad agosto ha già toccato l’8,6 per cento, potrebbe aumentare ulteriormente, riducendo ancora il potere d’acquisto delle famiglie e delle imprese.
Il pacchetto presentato venerdì è stato molto criticato anche perché concentra gran parte delle risorse per ridurre le tasse ai contribuenti più ricchi, proprio nel momento in cui sono le fasce più povere della popolazione a dover affrontare l’aumento dei prezzi e i rincari dell’energia.
I cittadini inglesi a reddito medio e basso potranno beneficiare ben poco dall’impatto complessivo di tutte le politiche fiscali e previdenziali annunciate. Secondo il centro studi Resolution Foundation, i contribuenti con un reddito da 200 mila sterline all’anno (circa 220 mila euro) avranno un beneficio fiscale di 5.220 sterline (quasi 6 mila euro), che sale a oltre 55 mila (oltre 61 mila euro) per quelli che guadagnano 1 milione di sterline. Quelli invece con un reddito pari a 20 mila sterline (circa 22 mila euro) avranno un risparmio di solo 157 sterline (175 euro). Gli abitanti di Londra o delle regioni meridionali, quelle tradizionalmente più benestanti, guadagneranno in media tre volte in più rispetto a chi vive nel nord-est, nello Yorkshire o in Galles.
Inoltre, la Resolution Foundation ha anche avvertito che per realizzare la promessa di Kwarteng di far scendere il debito nel medio termine sarebbero necessari tagli alla spesa pari a 35 miliardi di sterline (39 miliardi di euro) nel 2026-27. Un pacchetto di queste dimensioni sarebbe all’altezza dei tagli annunciati da George Osborne, che fu Cancelliere dello Scacchiere nel 2010: quei tagli rappresentarono uno dei più grandi piani di austerità della storia recente del Regno Unito.
Insomma, il piano non è risultato credibile né a livello finanziario, perché gli investitori temono per la sostenibilità delle finanze pubbliche, né a livello economico, perché prevede di aumentare il debito proprio quando i tassi di interesse sono in aumento, né a livello sociale, perché non sostiene le fasce più povere della popolazione messe in difficoltà dal carovita.
Le contestazioni politiche
Anche a livello politico le riforme economiche di Truss sono una scommessa rischiosa, che ha provocato gravi contestazioni non soltanto dall’opposizione del Partito laburista. Favorire così tanto le fasce più ricche può perfino mettere a rischio la maggioranza parlamentare dei conservatori, perché rischia di farle perdere l’appoggio dei parlamentari delle aree più operaie e sindacalizzate del paese.
Si tratta dei parlamentari del cosiddetto “red wall”, cioè quei territori dell’Inghilterra del Nord dove un tempo c’erano grandi fabbriche e movimenti operai importanti. Qui i cittadini votavano convintamente per il Partito laburista, di centrosinistra, ma da una decina d’anni si sono convertiti al Partito conservatore. Il legame si è poi rafforzato con il referendum su Brexit, quando il voto per il leave è stato preponderante proprio nei sobborghi industriali.
Alle elezioni del 2019, furono proprio i voti del “red wall” a garantire ai conservatori di Boris Johnson un successo storico e una maggioranza parlamentare eccezionalmente ampia. Johnson, al tempo, promise politiche di lotta alle disuguaglianze e di sostegno all’occupazione per le zone economicamente depresse del “red wall”. Ma Truss, con il suo piano economico, le ha di fatto ripudiate, mettendo a rischio le recenti conquiste elettorali del suo partito e creando molto scompiglio tra i parlamentari conservatori che hanno seggi in quell’area.