DART si è schiantata sull’asteroide

La sonda della NASA ha centrato il suo obiettivo, un test importante per sperimentare sistemi di deviazione degli asteroidi per salvare la Terra

di Emanuele Menietti

L'asteroide Dimorphos visto dalla sonda DART 11 secondi prima dell'impatto (NASA/Johns Hopkins APL)
L'asteroide Dimorphos visto dalla sonda DART 11 secondi prima dell'impatto (NASA/Johns Hopkins APL)
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Nella notte tra lunedì e martedì, la sonda DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA ha completato la propria missione colpendo il piccolo asteroide Dimorphos, per provare a deviarne il percorso. Il test, avvenuto a 11 milioni di chilometri dalla Terra, potrebbe rivelarsi essenziale per evitare in futuro disastrose collisioni di asteroidi con il nostro pianeta. Come previsto, nell’impatto la sonda si è distrutta e nei prossimi giorni saranno analizzati i dati dell’esperimento per verificare di quanto sia cambiata l’orbita di Dimorphos.

DART – che aveva una massa di oltre 600 chilogrammi e un corpo centrale pressoché cubico con 1,3 metri di lato – era partita dalla Terra alla fine di novembre del 2021 per raggiungere Dimorphos, un asteroide con una larghezza massima di 160 metri, che orbita intorno a un asteroide più grande, Didymos, con un diametro massimo di 780 metri. Mantenendosi a una distanza media di circa 1,2 chilometri, Dimorphos compie un giro completo intorno a Didymos ogni 12 ore. Dopo l’impatto con DART, il piccolo asteroide dovrebbe avvicinarsi lievemente a quello più grande, riducendo di una decina di minuti il periodo orbitale, cioè il tempo che impiega per compiere ogni giro intorno al proprio compagno.

Nelle ultime fasi prima dell’impatto, avvenuto all’1:14 (ora italiana), la sonda si è dovuta guidare da sola verso il proprio obiettivo utilizzando i sistemi di navigazione automatica, che avevano il compito di distinguere l’asteroide più grande da quello più piccolo e infine di centrare l’obiettivo.

Nel suo avvicinamento prima della collisione, DART ha scattato diverse fotografie di Dimorphos inviandole alla Terra. Le immagini, pubblicate nelle ore seguenti all’impatto dalla NASA, mostrano l’asteroide che diventa sempre più grande fino a un’ultima parziale immagine, inviata dalla sonda poco prima che si distruggesse. Insieme agli altri dati raccolti, le immagini sono preziose perché mostrano nel dettaglio le caratteristiche della superficie dell’asteroide, una vista non così frequente e per questo utile per scoprire nuove cose su questi oggetti spaziali.

A osservare le conseguenze dell’impatto c’era inoltre un testimone: LICIACube, un piccolo satellite (cubesat) grande più o meno quanto una scatola da scarpe, gestito dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) e costruito da Argotec, azienda spaziale di Torino specializzata nella produzione di microsatelliti. LICIACube aveva viaggiato per quasi un anno insieme a DART e si era poi separato dalla sonda per posizionarsi a circa mille chilometri di distanza dall’impatto.

Il cubesat, per il quale è in programma un passaggio ravvicinato a Dimorphos ad appena 55 chilometri di distanza, ha il compito di raccogliere dati che permetteranno di analizzare la struttura e l’evoluzione della nube di detriti, che si è sollevata in seguito all’impatto. Le sue osservazioni saranno inoltre preziose per ottenere dati sulle caratteristiche della superficie dell’asteroide, e sul cratere che si è formato al momento della collisione.

Nei prossimi giorni Dimorphos sarà tenuto sotto controllo da numerosi telescopi sulla Terra e dai telescopi spaziali Hubble e James Webb, il più potente osservatorio nello Spazio. Le osservazioni serviranno per misurare le minime variazioni della luminosità apparente dell’asteroide e del suo compagno Didymos, in modo da verificare l’avvenuta modifica dell’orbita. Saranno inoltre impiegati per raccogliere dati sulla nube che si è prodotta in seguito all’impatto, importante per calcolare l’entità dello scontro e stimarne le conseguenze.

Le osservazioni nei prossimi giorni si concentreranno soprattutto sulla rilevazione delle variazioni di luminosità. Dal punto di osservazione sulla Terra, Dimorphos passa davanti e dietro a Didymos, producendo di continuo piccole eclissi. Calcolando la loro durata si può stimare la velocità con cui l’asteroide più piccolo gira intorno a quello più grande, ottenendo dati per verificare se effettivamente l’impatto con DART abbia comportato una variazione del periodo orbitale.

Didymos in alto a sinistra e Dimorphos in basso a destra, circa 2 minuti e mezzo prima dell’impatto con DART (NASA/Johns Hopkins APL)

In orbita intorno al Sole ci sono miliardi di asteroidi e loro frammenti. Gli astronomi ipotizzano che gli asteroidi siano ciò che è rimasto del “disco protoplanetario”, il grande ammasso di polveri e gas in orbita intorno al Sole miliardi di anni fa dal quale si formarono i pianeti e i satelliti naturali del sistema solare. Quasi tutti gli asteroidi si trovano nella “fascia principale”, un grande anello di detriti che gira intorno al Sole, tra le orbite di Marte e di Giove.

Collisioni e altri eventi possono turbare le orbite di alcuni di questi asteroidi, portandoli ad avvicinarsi al nostro pianeta e sono proprio questi a essere tenuti sotto controllo. I sistemi di rilevazione e tracciamento degli asteroidi più vicini hanno permesso di catalogarne quasi diecimila con diametro di almeno 140 metri, che nel caso di un impatto potrebbero causare grandi devastazioni su scala regionale. Nessun asteroide conosciuto sembra costituire un pericolo diretto per la Terra per il prossimo secolo, ma è comunque importante non farsi trovare impreparati.

Per questo negli ultimi anni vari gruppi di ricerca hanno lavorato ad alcune soluzioni sperimentali per “deflettere” gli asteroidi, cioè per far cambiare loro orbita. La tecnica più esplorata e promettente, l’impattatore cinetico, consiste nell’urtare con una sonda l’asteroide quando è ancora molto lontano dalla Terra, in modo che il suo nuovo percorso non incroci più quello del nostro pianeta. DART aveva precisamente l’obiettivo di sperimentare questa tecnica.

(NASA)

Il problema è che gli esperimenti in laboratorio e le simulazioni al computer, per quanto accurate, non sono sufficienti per prevedere pienamente gli effetti dell’impatto di un veicolo spaziale. Gli asteroidi non hanno una densità omogenea, hanno forme molto diverse tra loro e altre caratteristiche fisiche difficili da prevedere e includere in una simulazione. Un test dal vero può quindi offrire molti dettagli in più per raccogliere dati e derivare informazioni sul modo migliore per deviare un asteroide che in futuro potrebbe minacciare la Terra.

Tra quattro anni circa, l’Agenzia spaziale europea (ESA) tornerà a far visita a Dimorphos e Didymos con la missione Hera per fornire nuovi dettagli sulle loro condizioni. La nuova missione fa parte dell’Asteroid Impact and Deflection Assessment (AIDA), una importante collaborazione tra agenzie spaziali dedicata allo studio e allo sviluppo di sistemi per deviare gli asteroidi. L’amministratore della NASA, Bill Nelson, ha commentato con entusiasmo l’esito della missione DART, passato dalla distruzione della sonda: «DART rappresenta un successo senza precedenti per la difesa planetaria, ma è anche una missione che ci rende uniti e offre benefici per tutta l’umanità. Oltre a essere impegnata a studiare il cosmo e il nostro pianeta, la NASA è al lavoro anche per proteggere la nostra casa, e questa collaborazione internazionale ha trasformato la fantascienza in scienza, dimostrando un nuovo modo per proteggere la Terra».