Cosa succede da qui alla formazione del governo
Il 13 ottobre si insedierà il nuovo parlamento, poi cominceranno le consultazioni: per il governo ci vorrà almeno un mese
Lo spoglio dei voti alle elezioni politiche è ormai ultimato, e il risultato emerso è piuttosto netto: ha vinto la coalizione di destra con il 44 per cento dei voti, sufficienti a garantirle almeno la maggioranza assoluta. Il numero esatto dei seggi assegnati a ciascuna forza politica non è ancora noto, perché il meccanismo con cui si assegnano è piuttosto complicato soprattutto alla Camera e quindi avremo i nomi di tutti gli eletti tra circa una settimana.
Dopodiché, il primo passaggio istituzionale importante che ci aspetta è l’insediamento del nuovo parlamento. Il 13 ottobre tutte le persone che hanno ottenuto un seggio si riuniranno nelle rispettive camere e verranno proclamate ufficialmente elette. Secondo la Costituzione la convocazione delle nuove camere deve avvenire entro venti giorni dal voto, e la data del 13 ottobre era stata individuata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, già quando aveva annunciato la data delle elezioni. In questa circostanza verranno anche risolte alcune eventuali questioni rimaste in sospeso, come l’individuazione del collegio di elezione per un deputato che risulti eletto in diversi collegi plurinominali.
A questo punto dovrebbe dimettersi il governo, ma quello in carica è già dimissionario dallo scorso luglio. Allora Mattarella aveva «preso atto» delle dimissioni del presidente del Consiglio, Mario Draghi, che era però rimasto in carica per il cosiddetto “disbrigo degli affari correnti”, una formula istituzionale che in sostanza si riferisce all’ordinaria amministrazione. Il passaggio di consegne avverrà dunque soltanto dopo la nomina del prossimo governo da parte del presidente della Repubblica.
Subito dopo essersi insediati, i nuovi eletti dovranno svolgere il loro primo compito istituzionale: scegliere i presidenti di Camera e Senato. La votazione avviene a scrutinio segreto e serve la maggioranza dei due terzi dell’aula nei primi tre scrutini, mentre dal quarto in poi basta la maggioranza assoluta. Nella scorsa legislatura le due votazioni si tennero circa venti giorni dopo il giorno dell’elezione.
Nei giorni successivi si passa all’elezione dei vicepresidenti delle due camere, dei questori (che hanno il compito di mantenere l’ordine durante i lavori e assicurarsi che il regolamento delle camere venga rispettato) e dei segretari. Di solito questi ruoli se li spartiscono le forze politiche che hanno ottenuto più voti, comprese quelle che con ogni probabilità costituiranno l’opposizione in parlamento. L’elezione di presidenti e vicepresidenti è anche il primo passaggio in cui i partiti si confrontano, trattano e pesano le rispettive influenze prima di formare il governo.
Una volta conclusi questi passaggi, cominciano al palazzo del Quirinale le consultazioni del presidente della Repubblica con i partiti, necessarie per giungere alla formazione di un governo. Verosimilmente inizieranno a circa un mese dal voto, forse prima visto che il passaggio di consegne deve avvenire con una certa velocità: a ottobre va presentata la prima bozza della legge di bilancio, da approvare poi entro la fine dell’anno.
Da prassi si comincia con i neoeletti presidenti di Camera e Senato, poi si procede con le delegazioni dei vari partiti, ma l’ordine con cui le consultazioni avvengono è a discrezione del presidente e dettato solamente dal galateo istituzionale. Questa fase serve per verificare a che punto sia il dialogo tra i partiti e se è già stato raggiunto un accordo per formare una maggioranza parlamentare: l’esito delle elezioni lascia pochi dubbi, la coalizione di destra è autosufficiente e avrà la maggioranza da sola.
Dopo le consultazioni il presidente affida l’incarico al leader in grado di tenere insieme questa maggioranza, che a meno di grosse sorprese dovrebbe essere Giorgia Meloni, stando agli accordi presi tra i partiti di destra prima delle elezioni.
Probabilmente non succederà, ma se non si trova un accordo Mattarella può tentare una mossa interlocutoria, per esempio affidare a una figura terza un mandato esplorativo, ossia un incarico per fare ulteriori indagini in parlamento alla ricerca di una maggioranza. Ma è un’opzione adottata solo quando in parlamento la situazione è frammentata, come all’inizio della scorsa legislatura, quando ci vollero in tutto circa tre mesi per formare il governo sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle.
A questo punto la persona incaricata di formare il nuovo governo accetta l’incarico, di solito «con riserva» anche se è certa di riuscire a formare una maggioranza. Dopo un’ultima verifica della possibilità di formare un governo, la persona incaricata torna al Quirinale e «scioglie la riserva» in presenza del presidente della Repubblica, che firma i decreti di nomina del nuovo capo del governo e dei ministri: secondo la Costituzione è il presidente della Repubblica a nominare il presidente del Consiglio e, su sua proposta, i ministri.
Mattarella comunque può anche decidere di opporsi alla nomina dei ministri proposti, specie nei ruoli più delicati: un esempio recente ci fu nel 2018, quando la Lega e il Movimento 5 Stelle tentarono di mettere il controverso economista Paolo Savona (teorico dell’uscita dall’euro) al ministero dell’Economia, e Mattarella mise il veto.
Se tutto fila liscio il nuovo presidente del Consiglio e i ministri assumono le loro funzioni giurando “nelle mani” del presidente della Repubblica, come si dice riprendendo la formula usata nell’articolo 93 della Costituzione. Entro dieci giorni dal decreto di nomina, infine, il governo deve presentarsi in entrambe le camere e ottenere il voto di fiducia dei parlamentari.