Non si può finanziare tutto con la lotta all’evasione fiscale
È una promessa fatta in campagna elettorale da tutti i partiti per coprire riforme e misure, ma è da sempre poco credibile
di Mariasole Lisciandro
Durante questa campagna elettorale praticamente tutti i partiti hanno promesso di finanziare le loro misure e proposte con i proventi derivanti dalla lotta all’evasione fiscale. È un’abitudine diffusa di quasi ogni periodo pre elettorale, perché consente da un lato di mantenere una certa vaghezza sulle coperture finanziarie delle misure in programma, e dall’altro di mostrare la volontà di ridurre l’evasione fiscale, una scelta che ottiene sempre grande consenso.
L’evasione fiscale è quindi considerata un grande bacino di denaro da cui attingere per finanziare le cose più diverse, che spesso costano decine e decine di miliardi. Ma nella pratica l’idea di finanziare importanti riforme con la lotta all’evasione fiscale non è credibile, come si è visto più volte in passato. I motivi per cui il rientro dell’evasione non è un buono strumento di finanziamento sono principalmente tre.
Innanzitutto, la lotta all’evasione si compone di tutto quell’insieme di controlli e accertamenti sui redditi di persone e aziende che si cerca di rendere sempre più efficace con le nuove tecniche informatiche di incrocio delle banche dati e, per esempio, con la limitazione all’uso del contante. I risultati però non sono facilmente prevedibili, proprio perché frutto di attività di controllo a posteriori, ed è difficile pensare di poter fare affidamento su precise risorse quando non è possibile quantificarle prima.
Le misure di recupero, poi, hanno sempre avuto un’efficacia incrementale, nel senso che ogni anno si recupera sempre qualcosa in più, ma difficilmente l’incremento può essere tale da poter finanziare misure molto costose: di fatto, è molto rischioso promettere che i fondi recuperati dall’evasione fiscale aumenteranno enormemente da un anno all’altro, come spesso fanno i partiti.
Infine, se anche con un po’ di ottimismo potessimo pensare di poter cancellare definitivamente il fenomeno e di far incassare allo stato il 100 per cento delle tasse che gli spettano, uno scenario piuttosto improbabile, comunque non ci sarebbero abbastanza soldi per finanziare tutto quello che promettono i partiti.
Ecco perché è difficile prendere sul serio le promesse di realizzare importanti progetti con i proventi della lotta all’evasione: non si può sapere in anticipo a quanto ammonteranno, difficilmente si tratterà di cifre esorbitanti e se anche si recuperasse tutto comunque i soldi non basterebbero per ogni cosa.
Quanto vale l’evasione
Nel 2019 per la prima volta l’evasione tributaria e contributiva in Italia è scesa sotto la soglia di cento miliardi di euro. Secondo gli ultimi dati disponibili, la differenza tra quanto è dovuto e quanto realmente viene versato dai contribuenti, il cosiddetto tax gap, nel 2019 è stato pari a 99,2 miliardi di euro: 86,5 miliardi sono le imposte evase (come IRPEF, IVA, IRES e IRAP), mentre 12,7 miliardi i contributi non pagati (cioè tutti quei pagamenti che servono per finanziare le pensioni e le prestazioni assistenziali come la malattia, la maternità e così via).
Si tratta complessivamente di un 3 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Per la verità, il totale evaso è in riduzione da anni: rispetto al 2014 il gettito mancante totale nel 2019 si è ridotto di 9,9 miliardi di euro. E anche la propensione all’evasione, ossia la percentuale di imposte evase sul totale di quelle dovute, si è alquanto ridotta.
Questa riduzione generalizzata riguarda quasi tutte le imposte: si è ridotto il gap dell’IVA, dell’IRES e dell’IRAP. Si poi è ridotta eccezionalmente l’evasione del canone Rai, dopo che nel 2016 il governo di Matteo Renzi lo inserì in bolletta: la propensione all’evasione scese istantaneamente dal 36 per cento del 2015 al 9,9 per cento.
Tuttavia l’IRPEF, la cui riforma prevista dal governo di Mario Draghi è stata definitivamente abbandonata, è ancora piuttosto evasa, soprattutto quella che dovrebbe essere pagata da autonomi e imprese. È l’imposta più evasa in Italia, con un gettito mancante di 32,2 miliardi di euro nel 2019. Manca allo stato il 69 per cento dell’IRPEF dovuta dagli autonomi e dalle imprese, mentre solo il 2,8 per cento di quella dovuta per il lavoro dipendente irregolare.
La lotta all’evasione nei prossimi anni
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha posto obiettivi ambiziosi di riduzione dell’evasione fiscale. La propensione all’evasione deve ridursi del 5 per cento entro il 2023 e del 15 per cento entro il 2024 rispetto al livello del 2019. Il che vuol dire che nel giro di due anni lo stato dovrà fare in modo che le tasse evase si riducano di 12 miliardi e che la propensione all’evasione arrivi al 15,8 per cento, rispetto al 18,5 per cento del 2019, come ha detto al Corriere della Sera Alessandro Santoro, presidente della commissione di esperti nominata dal governo per misurare ogni anno l’evasione fiscale.
Si tratta di una riduzione alquanto ambiziosa, soprattutto se si tiene conto che tra il 2014 e il 2019 la sola evasione fiscale, che è al netto di quella contributiva, si è ridotta proprio di quasi 12 miliardi. Nei prossimi due anni si dovrà ottenere lo stesso risultato che è stato ottenuto in cinque.
Senza considerare che in questo periodo sono stati introdotti due strumenti su larga scala e che hanno funzionato molto bene per ridurre l’evasione dell’IVA, come lo split payment e la fatturazione elettronica. Ma più si riduce il tax gap più è difficile ridurlo ancora, perché si tratta di passare a strumenti più sofisticati, ma che daranno risultati solo marginalmente migliori.
Diverse dalla riduzione del tax gap, che implica operazioni e strategie preventive che riducano strutturalmente le imposte evase, sono le operazioni di accertamento e controlli sui redditi condotte dall’Agenzia delle Entrate. Il recupero annuale in questo caso è più sostanzioso, ma appunto imprevedibile essendo condotto a posteriori.
Cosa promettono i partiti
Praticamente tutti i partiti hanno scritto nel loro programma che intendono finanziare grosse misure e riforme con i proventi derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.
Il Partito Democratico nel suo programma propone di aumentare gli stipendi netti dei lavoratori fino a ottenere una mensilità in più, riducendo tutte quelle tasse sul lavoro a carico del dipendente e del datore di lavoro che compongono il cosiddetto cuneo fiscale. Finanzierebbe la misura con gli obiettivi di recupero dell’evasione fissati dal Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza. Secondo i calcoli del sito lavoce.info la misura ne costerebbe 17 all’anno, quindi i proventi che indica il PD non basterebbero, dato che si potrebbe contare solo su 12 miliardi in due anni.
La lista composta da Italia Viva e Azione, guidata da Carlo Calenda, propone che «ogni euro già recuperato dall’evasione torni in tasca ai contribuenti», quindi che «ogni anno la riduzione strutturale del tax gap del triennio precedente vada automaticamente destinata al fondo per la riduzione della pressione fiscale. Secondo noi queste risorse, derivanti dalla maggiore fedeltà fiscale degli italiani, devono tornare nelle tasche dei contribuenti onesti». Come dicevamo, è difficile pensare di finanziare interventi strutturali come la riduzione delle tasse con i proventi della lotta all’evasione, che sono variabili nel corso del tempo e non rappresenterebbero una copertura credibile nel lungo periodo.
Veniamo alla coalizione di destra. Come aveva fatto notare l’economista e candidato del Partito Democratico Carlo Cottarelli, sottoposto anche a fact-cheking del sito Pagella Politica, nel programma della coalizione non si menziona neanche una volta l’evasione fiscale. Non si indicano proposte, anche vaghe, su come combatterla e neanche se ne parla come possibile fonte di coperture finanziarie.
Ma la Lega da sempre sostiene che per finanziare la sua flat tax, ossia un’aliquota IRPEF unica al 15 per cento, si potrebbero usare le risorse raccolte dalla lotta all’evasione fiscale. Lo conferma anche nel portale che ha creato apposta per spiegare il funzionamento della misura. Le stime dicono che per com’è disegnata a pieno regime costerebbe fino a 58 miliardi. L’evasione dell’IRPEF ne vale 32, quindi anche in questo caso non si riuscirebbe a finanziarla neanche se si riuscisse a raccogliere tutta l’imposta non pagata.