Quando abbiamo cominciato a usare l’oppio?
Un gruppo di ricerca israeliano dice di averne trovato tracce in una tomba del 1.500 a.C., ma ci sono ancora molte cose poco chiare
Ci sono molte cose che non sappiamo sulla storia antica di alcune delle sostanze che chiamiamo droghe, e in particolare su quando si cominciò a utilizzarle non come medicinali ma per i cosiddetti scopi “ricreativi”, cioè per rilassarsi o provare sensazioni piacevoli di vario genere. Un nuovo studio israeliano, da poco pubblicato sulla rivista Archaeometry, ha aggiunto un piccolo tassello alle ricerche su questo tema per quanto riguarda l’oppio, la resina da cui si possono ottenere sostanze come la morfina e l’eroina: in una tomba del 1.500 a.C. trovata nel 2017 a Tel Yehud, vicino a Tel Aviv, sono stati trovati dei vasi che secondo un gruppo di ricercatori anticamente contenevano oppio.
L’oppio si ottiene lasciando seccare il lattice delle capsule dei semi del papavero da oppio (Papaver somniferum). Contiene vari principi attivi, tra cui morfina, codeina e tebaina, e tutte le sostanze che ne sono derivate sono dette «oppiacei». Gli «oppioidi» invece sono tutte le sostanze che hanno effetti fisiologici come quelli di morfina, codeina e tebaina, ma possono anche essere sintetiche.
Tendiamo ad associare il papavero da oppio all’Afghanistan, dove da decenni viene coltivato per ottenere l’eroina, ma in realtà questa pianta può crescere in gran parte del mondo e, secondo le ricerche archeologiche, fu originariamente domesticata, cioè coltivata per la prima volta in Europa occidentale, e forse in Italia, nel Neolitico. Pare che sia l’unica pianta che fu domesticata nell’Europa occidentale. Il sito più antico dove sono stati trovati semi di papavero da oppio in quantità tali da indicare una coltivazione risale al 5.622-5.478 a.C. e si trova in una zona sommersa dal lago di Bracciano, nel Lazio.
Dall’Italia poi la coltivazione del papavero da oppio si diffuse, nel corso dei millenni, in altre zone d’Europa e poi in Asia.
Se però è relativamente facile seguire la diffusione del papavero da oppio come coltura, grazie al ritrovamento di semi in siti di età diverse, è ben più difficile sapere che usi facessero di questa pianta le persone che vivevano in tempi antichi. Secondo gli autori dello studio israeliano – realizzato da ricercatori dell’Autorità per i beni archeologici di Israele, dell’Università di Tel Aviv e dell’Istituto Weizmann – il fatto che vasi contenenti tracce di oppio siano stati trovati in una tomba ci dice qualcosa in più sulle usanze funebri di quell’epoca nel territorio allora chiamato Canaan.
«Non sappiamo però quale fosse il ruolo dell’oppio nelle cerimonie», ha spiegato Vanessa Linares, prima autrice dello studio. Per Ron Be’eri dell’Autorità per i beni archeologici di Israele si possono fare due ipotesi: «Può darsi che i partecipanti ai riti funebri cercassero di evocare lo spirito dei parenti morti per portare avanti delle richieste e usassero l’oppio per raggiungere uno stato estatico. Alternativamente è possibile che l’oppio, posizionato vicino al corpo del defunto, avesse la funzione di aiutarne lo spirito a uscire dalla tomba».
Be’eri ha comunque specificato che si tratta di congetture, perché non esistono fonti scritte sulle usanze dei cananei.
Ciò che ormai abbiamo dedotto da numerosi ritrovamenti archeologici è che il papavero da oppio venne domesticato per essere utilizzato come alimento: i suoi semi sono molto oleosi, e nel Neolitico erano le uniche fonti di oli vegetali note in Europa occidentale insieme ai semi di lino. A un certo punto furono scoperte le proprietà farmacologiche dell’oppio, ma è difficile stabilire esattamente quando.
Paolo Nencini, farmacologo comportamentale che ha insegnato Farmacologia all’Università La Sapienza di Roma, esperto di storia delle sostanze psicoattive e consulente del Post per Cose spiegate bene. Le droghe in sostanza, ha di recente riassunto ciò che sappiamo e non sappiamo sugli usi antichi del papavero da oppio in un articolo pubblicato sulla rivista The Social History of Alcohol and Drugs. Tra le altre cose l’articolo spiega che per il momento non ci sono prove di usi ricreativi nell’antichità in tutta la regione del Mediterraneo.
Sappiamo solo che verso la fine dell’Età del Bronzo il papavero da oppio cominciò a essere associato a significati simbolici, di carattere religioso, perché a partire dalla civiltà minoica – quella dell’isola di Creta – e fino all’età imperiale romana venne associato alle rappresentazioni di alcune divinità. È molto probabile che fosse legato alla fertilità, dato che le capsule dei papaveri, le stesse da cui peraltro si ottiene l’oppio, contengono numerosi semi.
Ci sono delle ipotesi sull’uso dell’oppio in contesti religiosi relativamente alle sue proprietà psicoattive perché, nonostante i ritrovamenti archeologici di semi dimostrino che gli antichi greci usavano il papavero, le fonti scritte precedenti al Quarto secolo a.C. non lo citano: potrebbe indicare che l’oppio aveva un ruolo in riti religiosi di cui non si parlava esplicitamente.
Nencini ha detto che lo studio israeliano, per quanto sottoposto a revisione tra pari (peer-review), contiene delle inesattezze nell’introduzione storica sull’oppio (dice che le prime menzioni dell’oppio in testi scritti si trovano in documenti sumeri del 3.000 a.C., una teoria sconfessata più volte), ma ha aggiunto che è un esempio della vivacità della ricerca su questi temi.
Per Linares un importante contributo dello studio a cui ha partecipato è che mostra come l’oppio fosse un bene al centro di commerci “internazionali” nell’Età del Bronzo perché alcuni dei vasi in cui ne sono state trovate tracce erano originari di Cipro. «Questo ci dice anche che era una sostanza importante».
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