Ci sarà un’indagine sulla morte di Mahsa Amini, dice il presidente iraniano
Cioè sul caso della donna morta in carcere una settimana fa e che ha innescato le grandi proteste antigovernative di questi giorni
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha detto giovedì che sulla morte di Mahsa Amini, che ha provocato le grandi proteste popolari in corso in questi giorni in diverse città dell’Iran, sarà svolta una indagine «rapidamente», ma ha anche condannato gli «atti di caos» che secondo lui stanno compiendo i manifestanti.
Amini era una donna di 22 anni morta in carcere il 16 settembre a Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo. La notizia della sua morte – che il regime ha attribuito a cause naturali, ma che sembra essere stata legata a un successivo pestaggio probabilmente compiuto dalla polizia – ha provocato enormi proteste in tutto il paese. Le manifestazioni sono cominciate nel Kurdistan iraniano (la parte occidentale dell’Iran, dove Amini viveva) e si sono estese a gran parte del paese, compresa la capitale Teheran. La polizia ha risposto con violenza, anche sparando sui manifestanti: secondo stime delle organizzazioni per i diritti umani sarebbero morte almeno 31 persone finora.
Giovedì i manifestanti hanno incendiato le stazioni di polizia di varie città, e ci sono stati ancora gravi scontri. Le donne stanno avendo un ruolo centrale nella protesta, e da giorni circolano video di iraniane che bruciano il proprio velo e si tagliano i capelli in luoghi pubblici, eventi eccezionali in un paese in cui il dissenso è sistematicamente represso dal regime.
La protesta non si può definire propriamente un movimento, non ha un’organizzazione centralizzata né un leader riconosciuto, e dunque è relativamente complicato capire cosa vogliano i manifestanti. Tra le richieste più frequenti, tuttavia, c’è l’allentamento delle dure leggi morali che vincolano la vita degli iraniani e delle iraniane (compreso l’obbligo di portare il velo per le donne) e lo scioglimento della polizia religiosa. Alcuni dei manifestanti sono più audaci, e uno slogan comune in questi giorni è: «Morte al dittatore!», in riferimento alla Guida suprema Ali Khamenei, la principale figura politica e religiosa dell’Iran.
Amazing bravery! In this recent video received from the city of Amol in Northern Iran, Iranians are defying the riot police, which are trying to run away. Iranians are risking their lives to say no to this regime. The West mustn't negotiate with it#IranProtests #MahsaAmini pic.twitter.com/PT1EtGRD0j
— Masih Alinejad 🏳️ (@AlinejadMasih) September 21, 2022
Il presidente Raisi, che giovedì ha parlato a New York a margine della riunione dell’Assemblea generale dell’ONU, ha detto di aver contattato la famiglia di Amini e che il caso è nelle mani del sistema giudiziario iraniano. «La nostra più grande preoccupazione è salvaguardare i diritti di tutti i cittadini», ha detto.
Anti-government protests in #Tehran continued Wednesday evening, September 21. Protesters near Tehran's Hafez Bridge chanted: "We will fight, we will die, we will take back #Iran !" #IranProtests #IranProtests2022 #MahsaAmini #Mahsa_Amini pic.twitter.com/GNIHqKH9C2
— Maziar Bahari (@maziarbahari) September 22, 2022
In realtà, in Iran, le autorità stanno cercando di reprimere le manifestazioni con vari mezzi. Internet è stato bloccato in gran parte del paese e il ministero dell’Intelligence ha fatto sapere pubblicamente che partecipare alle proteste è illegale e che chiunque lo farà sarà perseguibile legalmente. Per venerdì, inoltre, le autorità hanno organizzato contro-manifestazioni a sostegno del regime.