Da dove arriva Giorgia Meloni
Dalla militanza nell’organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale all'ascesa a capo della destra italiana e al governo
Giorgia Meloni deve il suo primo successo politico a quattro voti. Era il 28 marzo 2004: a Viterbo si teneva il terzo congresso di Azione Giovani, l’organizzazione giovanile di Alleanza Nazionale, il partito guidato da Gianfranco Fini. I candidati alla carica di presidente erano due: Giorgia Meloni, romana, 27 anni, e Carlo Fidanza, milanese, di un anno più vecchio.
A quell’elezione Giorgia Meloni era arrivata dopo 12 anni di militanza. Era entrata per la prima volta in una sede del Fronte della Gioventù nel 1992. Lì aveva incontrato quella che definisce da allora «la sua comunità».
Quando nel 1994 Gianfranco Fini decise la trasformazione in Alleanza Nazionale del Movimento Sociale Italiano, cioè il partito che raccoglieva i nostalgici del fascismo, anche l’organizzazione giovanile del partito cambiò nome. Da Fronte della Gioventù divenne Azione Giovani. L’MSI era il partito creato nel 1946 dai reduci della Repubblica Sociale Italiana, collaborazionista con la Germania nazista, fondata da Benito Mussolini nel 1943 nel Nord Italia. L’MSI era un partito di ispirazione dichiaratamente fascista e lo era di conseguenza anche il suo movimento giovanile, il Fronte della Gioventù. Tutto l’MSI confluì in Alleanza nazionale, tranne poche eccezioni, e così fu per il Fronte della Gioventù che divenne, appunto, Azione Giovani: mantenne lo stesso simbolo, una mano nera che reggeva una fiaccola tricolore. Lo stesso simbolo, con qualche modifica, è oggi l’emblema di Gioventù Nazionale, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia.
All’epoca tra gli appartenenti al movimento giovanile non c’era un vero imbarazzo nel rivendicare l’appartenenza a una destra radicale che si richiamava al fascismo. La stessa Giorgia Meloni, in un’intervista del 1996 circolata prima di queste elezioni, definiva Benito Mussolini un buon politico che aveva agito solo per il bene dell’Italia. La connotazione identitaria di estrema destra nel Fronte della Gioventù era molto forte. In parte lo è ancora oggi, in quello che è l’erede di quel movimento giovanile.
Nel luglio del 2022 una rappresentanza di militanti di Gioventù Nazionale ha partecipato a Verona al raduno Fortress, organizzato da Fortezza Europa, gruppo egemone nell’estrema destra veronese. Per l’occasione, sul palco si sono esibiti anche i Gesta Bellica, un gruppo che canta canzoni come “Società Multirazziale”, il cui testo dice: «Dicon che mi devo rassegnare/che è l’inizio di una nuova età/furti droga musi neri/ma tutto questo non mi va/Società multirazziale accampamenti per la mia città/vogliono la casa ed il lavoro ma tutto questo non mi va/Bianco Potere Bianco!».
Alleanza Nazionale, come era stato sempre per il Movimento Sociale Italiano, i cui congressi prima del grido finale e unitario «Duce Duce» prevedevano inevitabilmente risse e sediate in testa, era divisa in correnti, che animavano anche il movimento giovanile. A Viterbo, nel 2004, la candidatura alla carica di presidente di Meloni era sostenuta dalla corrente Destra Protagonista, guidata da Ignazio La Russa, tuttora al suo fianco, e da Maurizio Gasparri, che oggi invece è in Forza Italia. Con Meloni c’erano anche i cosiddetti Gabbiani, che prendevano il nome dal libro Il gabbiano Jonathan Livingston, tradizionalmente un romanzo assai citato nella destra. Specialmente la frase: «Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare. Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano».
Il leader del gruppo era Fabio Rampelli, il “Grande Gabbiano”, primo sponsor di Giorgia Meloni e oggi suo braccio destro. Pochi giorni fa, prima del voto, Rampelli ha dato un’intervista al settimanale tedesco Stern ripetendo una frase che spesso si sente negli ambienti della destra italiana, e cioè che il fascismo ha avuto anche elementi positivi.
Sempre con Meloni era schierata la sezione di Colle Oppio, la più famosa e forte di Roma, ex baluardo (quasi un bunker, anche architettonicamente) del vecchio MSI. I dirigenti più vicini a Fini erano riuniti nella corrente Nuova Alleanza, il cui leader era Adolfo Urso, oggi anche lui in Fratelli d’Italia, e in cui c’era anche Altero Matteoli, morto nel 2017. Non avevano preso posizione ma poi, per motivi puramente tattici, e cioè depotenziare la corrente di La Russa e Gasparri, decisero di appoggiare il rivale di Meloni, Carlo Fidanza.
Quello di Fidanza, che dopo il congresso di Viterbo divenne un meloniano convinto, è un nome che nel 2021 ha creato molto imbarazzo alla leader di Fratelli d’Italia: un servizio del sito Fanpage, con telecamera nascosta, lo riprese mentre spiegava al giornalista in incognito come dare denaro in nero al partito. Nello stesso servizio, sempre ripreso di nascosto, lui e altri partecipanti a un raduno elettorale facevano battute antisemite e saluti romani.
Allora giovane leader della Curva Nord interista di Milano, Fidanza era il candidato della Destra sociale (che a sua volta aveva una sottocorrente, i Capitani Coraggiosi), guidata da Francesco Storace e Gianni Alemanno. Era la corrente più attenta ai temi sociali, antiamericana e antimperialista. Voleva, come dicevano i suoi esponenti, «rubare la palla nel campo degli avversari», cioè la sinistra. Non a caso al congresso di Viterbo il gruppo di Fidanza si presentò sotto lo slogan «Una scelta d’amore», tratto da uno scritto di Bobby Sands, eroe della lotta irlandese contro l’occupazione britannica (Bobby Sands fu il primo dei dieci detenuti del carcere di Long Kash a morire dopo 65 giorni di sciopero della fame, nel 1981).
Lo slogan di Giorgia Meloni era invece «Figli d’Italia», di ispirazione patriottica e risorgimentale. Da quello slogan nascerà poi anni dopo Fratelli d’Italia. Al congresso di Viterbo, Fidanza e la destra sociale avevano la maggioranza, ma poche ore prima del voto accadde qualcosa: un gruppo di sostenitori di Fidanza contestò apertamente il fatto che il segretario del partito, Gianfranco Fini, avesse compiuto una visita in Israele. Alcuni dei delegati più contestatori indossavano una kefiah, la sciarpa copricapo araba: nella destra radicale della seconda metà del Novecento, l’antisemitismo che aveva caratterizzato fascismo e nazismo si manifestava nel sostegno alla causa palestinese. Uno dei delegati vicini a Fidanza, come ricorda Francesco Boezi nel libro Fenomeno Meloni: Viaggio nella “Generazione Atreju”, basò interamente il suo intervento sul fatto che una svolta filoisraeliana non poteva essere storicamente accettata.
Quattro dei delegati della corrente Nuova Alleanza che avrebbero dovuto votare Fidanza, impauriti da quella deriva troppo estremista, cambiarono idea e votarono Meloni. Lei celebrò quella vittoria scrivendo nei suoi ringraziamenti i versi di una canzone di Francesco Guccini, “Cyrano”:
«Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna. Gli orpelli e l’arrivismo? All’amo non abbocco, e al fin della licenza io non perdono e tocco…».
Meloni avrebbe citato cantautori di sinistra anche in altre occasioni. Tra le sue frasi preferite ce n’è una di Francesco De Gregori: «Se mi cercherai, sempre e per sempre, dalla stessa parte mi troverai».
La militanza di destra per Giorgia Meloni era iniziata nel luglio del 1992. Lei la fa risalire ai giorni successivi all’omicidio di Paolo Borsellino, avvenuto a Palermo 19 luglio 1992. Nel suo libro, Io sono Giorgia (è il suo secondo, ne aveva scritto uno nel 2011, Noi crediamo) racconta che la sua fu una scelta d’istinto. Probabilmente contò il fatto che Borsellino era un uomo di destra, con posizioni vicine all’MSI. Fu alla sezione dell’MSI della Garbatella, il quartiere in cui viveva, che Meloni iniziò la sua militanza. Altri hanno fatto risalire la sua scelta al fatto che il padre, che aveva lasciato la famiglia non occupandosi più minimamente delle proprie figlie, fosse comunista. Lei però questo non l’ha mai confermato. Del padre, in un’intervista rilasciata al programma Le Belve, disse:
«Quando morì non provai né odio né dispiacere. Non provai nulla. Era come se fosse morto un personaggio della tivù, solo questo».
Meloni è cresciuta con la madre e la sorella Arianna, che l’ha sempre seguita nella sua attività politica. A un ragazzo che le chiedeva perché fosse contraria alle adozioni da parte delle persone single ha recentemente risposto parlando di se stessa:
«Considero giusto, per intenderci, che lo Stato italiano non consenta l’adozione da parte dei single e penso che non mi dirai per questo che sono “singleofoba”, come non sono omofoba. Lo considero giusto perché penso che un bambino abbia diritto a crescere con un padre e una madre. Io sono cresciuta in una famiglia monogenitoriale. Non posso dire di essere stata infelice, ma mi è mancato un padre? Sì, non posso negarlo. Se lo dico tolgo qualcosa all’amore incondizionato di mia madre? No».
Si è molto scritto del fatto che la militanza di Giorgia Meloni iniziò in un quartiere difficile e di sinistra. In realtà, quando Meloni cominciò a frequentare il Fronte della Gioventù e l’MSI gli “anni di porfido”, come i giovani neofascisti chiamavano gli anni Settanta riferendosi ai sanpietrini utilizzati negli scontri con la polizia, erano finiti da tempo. Alle elezioni del 1994 nella circoscrizione Garbatella-Ostiense di Roma vinse il candidato di Forza Italia. La scuola che Meloni frequentava in quegli anni, l’Amerigo Vespucci, poi diventato Centro per la formazione professionale Ernesto Nathan, non era particolarmente orientata a sinistra.
Lì Meloni divenne una leader delle proteste, da destra, della riforma della scuola promossa dall’allora ministra dell’Istruzione Rosa Russo Iervolino. Fondò in quel periodo un gruppo studentesco che si diede il nome di Antenati. Anche questa una citazione: era il 1993, l’anno dell’uscita al cinema di Jurassic Park, il film di Steven Spielberg. La riforma Iervolino era definita da Meloni e dagli altri attivisti «jurassica». E contro il mondo giurassico si battevano gli antenati, cioè i Flintstones protagonisti del celebre cartone animato prodotto da Hanna-Barbera. Fu una delle prime volte in cui la destra tentò di non lasciare il monopolio della contestazione di una riforma della scuola ai movimenti di sinistra.
Meloni racconta anche con orgoglio di come all’esame di maturità si scontrò con i professori di sinistra: aveva scelto per la prova scritta di italiano il tema sull’immigrazione. «Dopo mezz’ora», scrive nel suo libro, «sbottai: “Scusate, devo segnalarvi che voi qui state facendo un processo alle mie idee”». Poi minacciò di fare ricorso al Tar, il Tribunale amministrativo regionale.
Dalla sezione della Garbatella, Meloni passò alla sezione di Colle Oppio, la più importante. Lei la definisce «baluardo di cultura, militanza politica e legalità». La vita era proprio quella della militanza («la militanza non va in vacanza», si diceva in quegli anni) con volantinaggi, affissioni di manifesti, organizzazione di comizi, iniziative nel quartiere, dibattiti a volte lunghissimi. Meloni ricorda una vivace discussione partita dalla domanda se Tom Cruise, nel film L’Ultimo Samurai, avesse fatto bene o no ad affrontare i cannoni armato solo della spada della tradizione, la katana.
Nella sezione di Colle Oppio c’era la serata del “richiamo del corno” (il corno di Boromir nel Signore degli Anelli). Durante quelle riunioni si leggevano testi di Antoine de Saint-Exupéry ma anche di Fabrizio de André, dello scrittore francese collaborazionista Pierre Drieu La Rochelle e del filosofo della nuova destra Alain de Benoist, di Corneliu Zelea Codreanu, fondatore della Croce di ferro, movimento fascista e nazista rumeno, del poeta Ezra Pound e del filosofo Ernst Jünger, ma anche di Ernesto Che Guevara. I Gabbiani, la cui sede di riferimento era Colle Oppio, puntavano molto su quello che chiamavano il superamento degli steccati, cioè l’uscita della destra dalla marginalità politica in cui era stata sempre relegata.
Ma soprattutto durante il “richiamo del corno”, a Colle Oppio si leggevano i libri di J.R.R. Tolkien, da sempre scrittore di riferimento della destra e del neofascismo (i campi estivi del Fronte della Gioventù si chiamavano Campi Hobbit). Ognuno aveva il suo personaggio preferito. Per Giorgia Meloni era Sam: «Senza di lui Frodo non avrebbe mai compiuto la missione. Sa che non saranno le sue gesta a essere cantate in futuro, ma non è per la gloria che rischia tutto. “Sono le piccole mani a cambiare il mondo”, dice Tolkien». Un altro dei testi a cui Meloni è più legata è Le porte di fuoco, di Steven Pressfield, che racconta la battaglia delle Termopili e l’impresa dei 300 soldati spartani che, guidati da Leonida nel 480 avanti Cristo, combatterono contro i persiani.
Sei anni dopo il suo ingresso nel partito, nel 1998, Giorgia Meloni si candidò alle primarie nel municipio XI di Roma: le vinse e venne poi eletta consigliere provinciale. Nel 2004, con l’elezione a presidente di Azione Giovani, divenne prima presidente donna di un’organizzazione giovanile di destra. In quell’anno iniziò a lavorare nel giornale di partito Secolo d’Italia.
Nel 1998 era stata lei, già dirigente di Azione Giovani, a organizzare la prima manifestazione di Atreju, il raduno politico di partito che si tiene ogni anno a Roma. Dal 2014 è organizzato da Gioventù Nazionale, il movimento giovanile di Fratelli d’Italia. Il nome Atreju è l’ennesimo riferimento caro alla destra: è il protagonista della Storia infinita, il romanzo di Michael Ende da cui fu tratto nel 1984 un film diretto da Wolfgang Petersen. Atreju è il personaggio che combatte contro il Nulla che dilaga perché «la gente ha rinunciato a sperare e dimentica i propri sogni», e che annuncia: «Se tanto dobbiamo morire, preferisco morire lottando».
Atreju è sempre stato il luogo dove Meloni ha presentato i punti più importanti della sua agenda politica. Sul palco sono stati ospiti leader politici italiani ed europei. L’ospite che Meloni ricorda con più commozione è il primo ministro ungherese Viktor Orbán, invitato nel 2019. Disse Orbán sul palco di Atreju:
«Siamo in lotta per la giusta causa in circostanze ingiustamente difficili. La mia brutta notizia per voi è che le cose restano così: questa lotta resterà sempre ingiustamente difficile. Chi accetta deve sapere a cosa va incontro. Non dobbiamo però commettere un errore: non dobbiamo cadere nell’autocommiserazione. Dobbiamo fare come dicevano i nostri antenati: “Confida in Dio ma tieni asciutta la polvere da sparo”».
Al termine del discorso tutto il pubblico di Atreju, dirigenti compresi, si alzò in piedi e intonò la canzone Avanti ragazzi di Buda, scritta da Pier Francesco Pingitore nel 1966 per celebrare la rivolta ungherese di dieci anni prima contro l’Unione Sovietica. Quella canzone negli ultimi anni è diventata un inno della destra radicale. Chi frequenta gli stadi, soprattutto a Roma e Milano, sa che viene intonata dai gruppi ultras a braccio teso.
Si dice che una delle doti più rilevanti di Meloni sia la coerenza. Sicuramente è rimasta sempre coerente nel confermare la sua amicizia e comunanza di intenti con Orbán, così come è rimasta coerente con le battaglie che intraprese quando era presidente di Azione Giovani, quelle che vengono definite all’interno di Fratelli d’Italia battaglie per i “valori non negoziabili”.
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Da presidente del movimento giovanile fece stampare un manifesto con la foto di un bambino il cui testo era: «Luca avrebbe voluto fare l’astronauta ma non è mai nato. Qualcuno ha deciso per lui. Difendi la vita, sempre». Durante la presidenza Meloni, Azione Giovani condusse battaglie contro la pillola RU 486, si batté poi contro i Dico, il disegno di legge Diritti e Doveri delle persone stabilmente conviventi, e contro qualsiasi progetto di unione civile. Organizzò sit-in contro la legalizzazione della cannabis e poi, quando era già in parlamento, si batté contro il divorzio breve. Sono battaglie e temi che Giorgia Meloni non ha mai abbandonato. La trasmissione di MTV Avere Vent’anni la intervistò e la seguì nel 2006 prima e durante una manifestazione a Milano. Dal palco attaccò la sinistra perché voleva liberalizzare la cannabis e perché candidava al parlamento l’attivista trans Vladimir Luxuria.
Proprio nel 2006, a 29 anni, Meloni venne eletta alla Camera dei deputati, la parlamentare più giovane della XV legislatura. Aveva fatto molta carriera nel partito. Di lei tutti dicevano che studiava tantissimo. Determinata, buona oratrice, ottima organizzatrice in un partito molto gerarchizzato in cui la militanza contava ancora parecchio, piaceva a tutti o quasi, anche tra gli avversari. Con Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, ha sempre avuto un buon rapporto ed è, o meglio era, amica del ministro della Salute Roberto Speranza. L’amicizia si è raffreddata dopo i duri e frequenti attacchi di Fratelli d’Italia per la gestione della pandemia.
Meloni ha molti amici ed estimatori ma ha, a destra, anche un’avversaria: Alessandra Mussolini. Tra le due l’antipatia è sempre stata esplicita e dichiarata. Si sono offese e a volte insultate, gli scontri si sono placati solo quando Mussolini ha abbandonato l’attività politica.
Nel 2006 Meloni divenne vicepresidente della Camera. Lei racconta che Fini la convocò nel suo ufficio e le disse: «Non pensavo di arrivare a tanto con te… Senti, ho deciso che farai la vicepresidente della Camera». Due anni dopo, con il centrodestra al governo e Silvio Berlusconi presidente del Consiglio, Fini la convocò nuovamente nel suo ufficio: «Senti, ho pensato a te per un posto nel governo». Meloni divenne così ministro della Gioventù (prima di lei si chiamava ministero delle Politiche giovanili). Molti suoi attuali collaboratori dicono che i dirigenti di Alleanza Nazionale la spinsero verso cariche visibili e prestigiose perché pensavano di poterla controllare e dirigere agilmente, ma che poi la personalità e le capacità si imposero in breve tempo.
Nel 2009 Alleanza Nazionale tenne il suo ultimo congresso e confluì nel Popolo della Libertà, il partito unitario del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi. Oggi Giorgia Meloni dice che Fini rischiò di distruggere la gloriosa storia della destra italiana. Ma l’unico dirigente a opporsi alla nascita del partito unico fu allora il triestino Roberto Menia. Nessun altro mostrò il minimo dissenso, nemmeno Meloni.
Quando, dopo solo un anno, lo scontro all’interno del Popolo della Libertà tra Berlusconi e Fini divenne così intenso da portare a una scissione, Meloni decise di restare con Berlusconi. Nel suo libro scrive che sarebbe stata pronta a seguire Fini se lui avesse voluto rifondare un partito di destra, ma le sue intenzioni erano invece quelle di «assecondare il gioco della sinistra di colpire un governo che aveva il consenso della gente e difendeva l’interesse nazionale».
Giorgia Meloni restò nel PdL seguendo sempre la disciplina del partito. Quando però nel 2012 Silvio Berlusconi, dopo averle promesse, decise che non si sarebbero svolte le primarie per decidere chi sarebbe stato il candidato alla presidenza del Consiglio alle elezioni del 2013, Meloni se ne andò. Con Guido Crosetto e Ignazio La Russa fondò Fratelli d’Italia. Alle prime elezioni politiche, nel 2013 il partito prese l’1,9% dei voti, cinque anni dopo il 4,3%. Nel 2016 Meloni si candidò a sindaca di Roma, prese poco più del 20% dei voti, comunque molti di più di quelli presi dalla lista di Fratelli d’Italia. Arrivò terza dopo Virginia Raggi e Roberto Giachetti.
In tutti questi anni Meloni è sempre rimasta all’opposizione: prima dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, poi del Conte 1, del Conte 2 e infine del governo Draghi. Nel frattempo ha cercato di ripulire il partito eliminando il più possibile l’iconografia nostalgica fascista, anche se non ha rinunciato al vecchio simbolo della fiamma che campeggiava già sotto la scritta MSI nel 1946. In passato aveva condotto campagne politiche assieme a Simone Di Stefano, diventato poi segretario nazionale di CasaPound e che oggi è al fianco di Gianluigi Paragone in Italexit. Ma da tempo ha interrotto quella frequentazione, così come ha interrotto quella con Giuliano Castellino, dirigente di Forza Nuova in carcere per l’assalto alla sede della CGIL dell’ottobre del 2021.
Oggi Meloni dice di non avere nulla a che fare con il fascismo, ma non ha mai detto di essere antifascista. Quando le è stato chiesto cosa pensava della dichiarazione di Fini che definì, proprio nel corso della sua visita in Israele, il fascismo «male assoluto», ha risposto che allora non si era dissociata da quella frase, senza però spiegare se oggi la condivide. Si arrabbia quando i militanti di qualche circolo di Fratelli d’Italia si fanno fotografare con immagini di Mussolini o impegnati nel saluto romano, ma non è mai stata sentita esprimere un giudizio negativo sul fascismo.
Come lei si comportano, e parlano, la maggior parte dei dirigenti di Fratelli d’Italia, soprattutto quel cerchio nemmeno troppo ristretto che la circonda fin dai tempi di Azione Giovani. Di se stessa Giorgia Meloni dice, con l’ennesima citazione, questa volta dal Libro della Giungla: «La forza del branco è il lupo ma la forza del lupo è il branco. Io sono il volto e il nome attraverso cui quella comunità si rappresenta ma se quella comunità non ci fosse anche io non sarei nulla».
C’è una canzone che, secondo la sua comunità, racconta bene Giorgia Meloni. Gliela dedicò, ai tempi in cui era presidente di Azione Giovani, il gruppo musicale Aurora, che fa parte del cosiddetto “rock identitario”, di estrema destra e militante. Si intitola “Coatto antico” e dice:
Coatto antico in un corpo da bambina/Ce tieni un core grosso e na mente fina/Coatto antico dici troppe parolacce/Ma quanta grazia con il trucco e con le trecce/Coatto antico ma quanto sei coatto/anche se hai quegli occhi da cerbiatto/mi guardi e sorridi con i tuoi occhioni/ma quando serve quadrati c’hai i cojoni.
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