Quali sono le aspettative dei partiti per le elezioni
A due giorni dal voto, esistono delle percentuali e dei criteri sulla base dei quali si valuterà se saranno andati bene o male
A due giorni dalle elezioni politiche la campagna elettorale è entrata nella fase in cui i partiti iniziano a fissare le aspettative in vista dei prossimi giorni, e manca poco al momento in cui giornali e addetti ai lavori parleranno soprattutto di percentuali, risultati eclatanti, vittorie e sconfitte.
Stabilire se un partito abbia vinto o perso è molto semplice in alcuni casi – un terzo dei seggi del prossimo parlamento verrà assegnato nei collegi uninominali, dove viene eletto il candidato che ottiene anche un solo voto in più degli avversari – ma di norma assai più complicato. Bisogna contestualizzare il risultato con le percezioni e i dati dei sondaggi all’inizio della campagna elettorale, tracciare confronti con le elezioni precedenti, valutare quanto abbia inciso la strategia pensata dai dirigenti, soppesare l’effettiva ricaduta concreta di un certo risultato, e mettere a confronto quanto ottenuto da alleati e avversari.
Prendiamo la Lega, guidata da Matteo Salvini. A meno di sorprese otterrà uno dei migliori risultati della sua storia elettorale, e farà parte della nuova maggioranza di governo. Eppure negli ultimi tre anni ha perso circa due terzi dei consensi ottenuti alle Europee del 2019, nelle regioni del Nord che rappresentavano il suo principale bacino di voti rischia seriamente di essere superata da Fratelli d’Italia, e militanti e dirigenti parlano di una crisi di identità da risolvere, con o senza Salvini.
Nelle ultime settimane nelle chiacchiere con i giornalisti diversi dirigenti della Lega hanno fatto circolare delle percentuali sotto le quali la leadership Salvini dovrà considerarsi a rischio. Si è parlato soprattutto del 10 per cento dei voti: un risultato che per la Lega degli anni Novanta sarebbe stato considerato ottimo, ma che segnalerebbe un crollo rispetto alle Europee del 2019, quando il partito superò il 34 per cento. Per giudicare il risultato della Lega bisognerà anche tenere conto di quanto sarà distante dai voti presi alle elezioni politiche del 2018 – fu il 17 per cento – e quale sarà il distacco da Fratelli d’Italia, per capire il grado di subalternità che la Lega dovrà mantenere nei confronti del suo principale alleato nella coalizione di destra.
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Un altro partito il cui risultato sarà complesso da decifrare sarà il Movimento 5 Stelle. Nel 2018 stravinse le elezioni ottenendo quasi un voto su tre, ma già alle Europee dell’anno successivo scese al 17 per cento. Al momento sembra lontanissimo dalle percentuali del 2018, mentre quelle dell’anno successivo appaiono alla portata. Dall’inizio della campagna elettorale il M5S sembra inoltre avere invertito una tendenza che lo vedeva in calo costante dall’inizio della legislatura. Con quale percentuale il suo leader Giuseppe Conte potrà dire di avere «vinto»? Dipenderà anche dal risultato della Lega, e da chi fra questi due partiti potrà dire di essere arrivato terzo dopo Fratelli d’Italia e Partito Democratico.
La condizione del PD sembra in effetti più semplice da valutare. Gli ultimi sondaggi lo davano certo del secondo posto, intorno al 20 per cento dei consensi: distante sia da Fratelli d’Italia sia dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. Se dovesse essere superato e finire terzo, otterrebbe il peggiore risultato della sua storia sia in termini di piazzamento sia, verosimilmente, di percentuali. Se anche dovesse mantenere il secondo posto ma andare peggio del 2018, quando prese poco meno del 19 per cento e l’allora segretario Matteo Renzi si dimise subito, sarebbe difficile parlare di un buon risultato.
Parlando con Repubblica giovedì, Letta si è rifiutato di parlare di percentuali e ha aggiunto che «oltre al dato della lista ci sono altri fattori che decideranno la partita, come la quota maggioritaria dei collegi e il dato della coalizione». Se insomma il PD finisse sopra il 20 per cento e vincesse in alcuni collegi ritenuti contendibili, come alcune città del Centro e del Sud, Enrico Letta potrebbe comunque avere degli argomenti per ricandidarsi a segretario al prossimo congresso, previsto per marzo.
Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni viene invece considerato il vincitore annunciato di queste elezioni. Il primato di partito più votato non sembra in discussione. Nonostante gli ultimi sondaggi lo dessero fra il 23 e il 24 per cento ci si aspetta che possa ottenere qualche punto in più e avvicinarsi al risultato del M5S nel 2018 e della Lega nel 2019. Se invece ne dovesse ottenere qualcuno in meno, e finisse poco sopra il 20 per cento, commentatori e avversari potrebbero argomentare che «non ha sfondato», come si dice nel gergo politico. Rimane comunque un partito che fino a tre anni fa galleggiava fra il 5 e il 6 per cento.
Appena sotto ai partiti che si giocheranno i primi posti ce ne sono due il cui risultato verrà messo in relazione per via di un elettorato assai sovrapponibile, almeno secondo i sondaggisti: il cosiddetto Terzo Polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, e Forza Italia. Negli ultimi sondaggi entrambi erano dati sopra il cinque per cento ma sotto al dieci, con variazioni all’interno del margine di errore del 3 per cento.
Negli ultimi giorni Calenda ha alzato l’asticella. «Vorrei prendere un voto che sia robustamente sopra le due cifre. Dodici, tredici, quattordici per cento», ha detto a SkyTg24. Cioè circa il doppio di quanto gli accreditavano gli ultimi sondaggi. Più realisticamente potrà dire di avere ottenuto un buon risultato se supererà Forza Italia, il partito più moderato della coalizione di destra; viceversa Forza Italia – in calo costante ormai da molti anni – uscirebbe rafforzata se riuscisse a ottenere più voti del Terzo Polo.
Esiste comunque la possibilità, a prescindere dalle percentuali e dal risultato del Terzo Polo, che Forza Italia esca ulteriormente ridimensionata da queste elezioni: per esempio se ottenesse un numero di parlamentari così basso da non essere indispensabile a Lega e Fratelli d’Italia per formare un governo. In fase di trattativa il suo potere contrattuale si ridurrebbe molto, e così anche la possibilità di incidere in un eventuale governo.
Ancora più in basso si trovano una serie di partiti più piccoli il cui obiettivo principale sembra soprattutto superare lo sbarramento del 3 per cento a livello nazionale: l’alleanza fra Sinistra e Verdi sembra quella più in grado di riuscirci, mentre Italexit e +Europa sembrano un passo indietro. Tutti e tre questi partiti potranno vendere l’ingresso in parlamento come un successo. Unione Popolare, la lista di sinistra guidata dall’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, negli ultimi sondaggi sembrava invece sensibilmente lontana da questo obiettivo.