Circa 200 cetacei sono morti sulla costa occidentale della Tasmania
Erano stati trovati spiaggiati mercoledì: non è la prima volta che succede, ma le cause non sono chiare
Mercoledì in una spiaggia lungo la costa occidentale della Tasmania, nel sud dell’Australia, sono stati trovati arenati circa 230 globicefali, cetacei della famiglia dei delfini che possono arrivare fino a sette metri di lunghezza. Le squadre di soccorso hanno fatto sapere che nel giro di poche ore dopo essersi spiaggiati quasi tutti sono morti: ne sono sopravvissuti solo una trentina.
Non è la prima volta che in Tasmania si verificano spiaggiamenti di massa simili, le cui cause però non sono note: nei giorni scorsi quattordici capodogli erano stati trovati morti su una spiaggia di King Island, una delle isole che fanno parte della Tasmania, circa 300 chilometri più a nord.
I globicefali erano stati trovati nella zona di Macquarie Harbour, una baia con l’acqua poco profonda vicino alla città di Strahan. Già due anni fa, a settembre del 2020, più di 450 globicefali erano stati trovati spiaggiati sempre a Macquarie Harbour. Fu lo spiaggiamento di massa più grave della storia dell’Australia: in quel caso furono salvati circa 110 dei 470 cetacei trovati nella baia.
Mercoledì le autorità del governo locale avevano organizzato interventi di soccorso per cercare di salvare i globicefali; allo stesso tempo alcune barche di pescatori avevano cercato di trainare verso il largo altri cetacei che erano arrivati vicino alla spiaggia ma erano riusciti a rimanere in acqua. Le condizioni meteorologiche imprevedibili, le onde alte fino a 15 metri e le condizioni di salute degli animali, spesso già critiche, hanno tuttavia complicato le operazioni di soccorso.
Sam Gerrity, uno skipper della zona, ha detto al New York Times che i globicefali avevano continuato a essere spinti verso riva a causa delle onde dell’oceano, che aveva descritto come «semplicemente troppo impetuoso». Gerrity, uno tra i volontari che avevano dato assistenza ai globicefali nel 2020, aveva stimato che almeno il 95 per cento dei cetacei che si sono spiaggiati sarebbe morto nel giro di poche ore.
Al di là delle ipotesi che si possono fare, per il momento le cause dello spiaggiamento rimangono misteriose, come spesso accade in questi casi. Vanessa Pirotta, biologa della Macquarie University specializzata in cetacei, ha spiegato che ogni evento è diverso e non è prevedibile. Secondo Pirotta, non è nemmeno detto che il fatto che lo spiaggiamento di due anni fa fosse avvenuto nella stessa area e nello stesso periodo possa offrire qualche indicazione utile a capirne di più.
Fenomeni simili si verificano da sempre tra i cetacei e sono frequenti specialmente con i globicefali, che vivono in gruppi di circa 50 esemplari e hanno una struttura sociale molto coesa (secondo alcune stime la popolazione totale è di circa 300mila esemplari). In generale è possibile che lo spiaggiamento sia dovuto alla perdita dell’orientamento, per esempio se il gruppo segue un esemplare malato o che viene disorientato da qualcosa di particolare che ha visto nelle acque in cui sta nuotando. È anche possibile che abbiano influito in qualche modo condizioni ambientali mutate a causa del cambiamento climatico, per esempio acque con temperature più calde o il mutamento dell’habitat degli animali di cui si nutrono.
Da quando si hanno testimonianze affidabili al riguardo, sembra che il più esteso spiaggiamento di cetacei sia avvenuto nel 1918 in Nuova Zelanda, quando a morire furono un migliaio di globicefali. In Tasmania invece se ne erano spiaggiati circa 300 anche nel 1935. Se c’è un lato positivo in questa situazione, ha osservato Pirotta, è che le informazioni che si ricaveranno dalla morte degli animali potranno dare un contributo alla ricerca sul fenomeno.
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