L’Islanda contro Iceland
Cioè contro la catena di supermercati britannici che dal 2014 ha registrato il suo nome come marchio nell'Unione Europea
Da qualche anno l’Islanda è impegnata in una disputa legale con una catena di supermercati britannica che si chiama Iceland, ovvero “Islanda” in inglese, e riguarda il fatto che il marchio dell’azienda sia registrato nell’Unione Europea. Lo stato islandese lo contesta e nel 2019 aveva ottenuto che la catena di supermercati non potesse più avere l’esclusiva della parola “Iceland”. Poi però Iceland aveva fatto ricorso e il 9 settembre è cominciato il procedimento davanti all’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO).
Iceland esiste dal 1970, quando il suo primo negozio venne aperto a Oswestry, una città inglese vicina al Galles. Il suo nome è dovuto al fatto che fin dagli inizi vendeva principalmente alimenti surgelati. Per un breve periodo della sua storia, dal 2005 al 2009, la catena fu di proprietà di una grande società di investimento islandese, Baugur, che però fallì a causa della crisi economica cominciata nel 2008. La proprietà di Iceland passò ad alcune banche islandesi fino a che nel 2012 la catena non fu comprata da un consorzio guidato da Malcolm Walker, che l’aveva fondata 42 anni prima e dopo varie vicissitudini era uscito dall’azienda.
Nel 2014 Iceland Foods Limited (il nome dell’azienda per intero) ottenne la registrazione del suo marchio nell’Unione Europea e l’anno successivo cominciarono i problemi con l’Islanda. L’origine della disputa fu dovuta a una campagna di Íslandsstofa, la società partecipata dallo stato islandese che promuove le esportazioni, che prevedeva l’uso dello slogan «Inspired by Iceland», “Ispirato dall’Islanda”, sui prodotti alimentari esportati. In virtù della registrazione del proprio marchio, Iceland cercò di impedire che lo slogan venisse usato.
Inizialmente Íslandsstofa e Iceland cercarono di trovare una soluzione senza ricorrere a tribunali, ma senza successo, e così Íslandsstofa e il ministero degli Esteri islandesi chiesero all’EUIPO di togliere a Iceland il marchio registrato nell’interesse delle aziende islandesi. Secondo l’Islanda infatti questo impedisce di pubblicizzare i prodotti islandesi come tali nell’Unione Europea.
Nel 2019, quando l’Islanda aveva ottenuto una prima vittoria legale sulla questione, l’allora ministro degli Esteri Guðlaugur Þór Þórðarson aveva detto: «Festeggio per questo risultato, anche se non mi sorprende in alcun modo perché va contro il buonsenso che una società straniera possa ottenere diritti esclusivi sul nome di uno stato sovrano». Richard Walker, figlio di Malcolm e attuale direttore della catena, aveva invece detto che Iceland avrebbe preferito raggiungere un accordo amichevole e che non pensava che l’esistenza del marchio registrato potesse impedire alle aziende islandesi di promuovere i loro prodotti come provenienti dall’Islanda.
È probabile che bisognerà aspettare fino al prossimo anno perché i membri dell’EUIPO si esprimano nuovamente sul caso. E anche a quel punto non è detto che la vicenda si concluderà perché entrambe le parti potranno ulteriormente fare appello contro la decisione rivolgendosi alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
In ogni eventualità la vicenda potrebbe fare da precedente per altre dispute simili. Ci sono altri paesi che si trovano in situazioni simili a quella dell’Islanda – ad esempio la Svizzera e la Giamaica – e altri mercati in cui parole vicine a nomi di paesi sono state registrate come marchi. Negli Stati Uniti ad esempio la parola “Icelandic”, “islandese”, è a sua volta un marchio registrato.