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  • Giovedì 22 settembre 2022

Venticinque persone sono indagate per le violenze nel carcere di Ivrea

Sono accusate di pestaggi e trattamenti umilianti contro i detenuti avvenuti diversi anni fa in una stanza nota come “l'acquario”

Il carcere di Ivrea (Foto ministero della Giustizia)
Il carcere di Ivrea (Foto ministero della Giustizia)
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Venticinque persone sono indagate dalla procura di Torino per una serie di violenze ai danni dei detenuti avvenute tra il 2015 e il 2016 nel carcere di Ivrea. Oltre alle violenze un’altra ipotesi di reato riguarda la falsificazione di verbali. Non è invece ipotizzato il reato di tortura perché i fatti sono antecedenti alla sua introduzione nel codice penale. A essere indagati sono agenti della polizia penitenziaria, medici e detenuti considerati omertosi che avrebbero coperto le violenze. L’inchiesta riguarda fatti avvenuti sei o sette anni fa mentre oggi, secondo ciò che ha detto l’attuale garante dei detenuti, Raffaele Orso Giacone, la situazione è cambiata.

L’inchiesta riguarda una decina di casi: le indagini erano state aperte dalla procura di Ivrea ma sono state poi prese in carico dalla procura generale di Torino che aveva accolto un ricorso presentato nel 2020 dall’allora garante dei detenuti, Paola Perinetto. 

A verbale ci sono i racconti di alcuni detenuti su ciò che avveniva in una cella al piano terra del carcere. La stanza, chiamata “Acquario”, aveva le pareti lisce, le finestre oscurate e viene descritta come una sorta di sala d’aspetto senza panca. 

Uno dei racconti risale all’11 novembre 2015 quando un detenuto, secondo le accuse riportate su La Voce nell’edizione di Ivrea, sarebbe stato picchiato da sette agenti: in due gli tenevano le braccia ferme e gli altri lo picchiavano mentre un medico presente sorseggiava un caffè. Al 25 novembre risale un altro episodio: un detenuto sarebbe stato picchiato con calci, pugni e colpi di manganello. Il referto medico parlava di “estese ferite al volto, al naso e al costato”. La relazione di servizio affermava però che il detenuto aveva perso l’equilibrio sul pavimento scivoloso «e sbatteva la faccia contro una cella». Un altro episodio riguarderebbe un detenuto prima picchiato e poi lasciato nudo in infermeria per una notte. Anche in questo caso, il rapporto parlò di «scivolamento su materiale residuo lanciato per terra dai detenuti».

In un altro caso, dopo quello che secondo le accuse sarebbe stato un pestaggio, la relazione di servizio raccontò che il detenuto si era fatto male volontariamente da solo nella saletta d’attesa dell’infermeria pronunciando queste parole: «Ora mi faccio male cosi vi rovino pezzi di merda».

Altri episodi sarebbero avvenuti dopo una rivolta, nell’ottobre del 2016. Le indagini, come riporta sempre La Voce, sono state gestite dalla procura di Torino dopo l’esposto presentato in seguito alla richiesta di archiviazione da parte della procura di Ivrea. A presentare un’istanza richiedendo che l’indagine fosse presa in carico dalla procura di Torino era stato il garante dei detenuti e un avvocato dei detenuti stessi. Questo tipo di richiesta, detta di “avocazione”, può essere fatta al procuratore generale, quindi il più alto in carica a livello regionale, che se ce ne sono i motivi può decidere di prendere in carico quell’indagine togliendola alla procura che se ne stava occupando.

Nel caso specifico, esaminando gli atti, il procuratore generale di Torino presso la corte d’Appello, Francesco Saluzzo, aveva deciso che «le indagini espletate dalla Procura della Repubblica di Ivrea appaiono, sotto vari profili, carenti». Non andavano quindi archiviate, come chiesto dalla procura di Ivrea, ma anzi andavano riprese da capo. Ha scritto il procuratore generale Saluzzo:

Contrariamente a quanto si sosteneva in una richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Ivrea è presente documentazione medica in ordine alle lesioni riportate da un detenuto giunto in infermeria per essere medicato per escoriazioni e sanguinamento nasale e che presentava numerose escoriazioni su gambe, braccia e polsi (manette) e che ha riferito di essere stato immobilizzato e trasportato di peso da alcuni agenti di polizia penitenziaria. Nessuna indagine è stata svolta per circostanziare i fatti e i maltrattamenti con riguardo. 

Repubblica e l’associazione Antigone riportano un’altra valutazione della procura di Torino:

Le uniche indagini svolte si sono concretizzate nell’acquisizione, presso la Casa circondariale di Ivrea, del registro delle sanzioni disciplinari, da cui risulta che dal 7 al 17 agosto 2015 il detenuto è stato sottoposto a isolamento, in esecuzione di quanto deliberato dalla direzione della casa circondariale di Vercelli, dunque, in mancanza di qualsiasi indagine volta a fissare il quando del pestaggio asseritamente patito dal detenuto.

Sempre Repubblica e Antigone riportano che la procura torinese aveva scritto, avocando le indagini, che la procura di Ivrea per lo svolgimento delle indagini si era avvalsa della polizia penitenziaria dello stesso carcere, «alla quale appartengono gli indagati e le persone che in virtù di tali indagini avrebbero potuto essere indagate».

L’avvocato Celere Spaziante, che assiste una decina di agenti indagati, ha detto alla Stampa: «Al netto del fatto che confidiamo di provare l’insussistenza delle contestazioni, faccio presente come siamo lontanissimi dagli scenari già evocati nell’inchiesta del carcere di Santa Maria Capua Vetere. I miei clienti sono amareggiati per le bugie dette sul loro conto. I manganelli? Non sono in dotazione in carcere e non ci possono entrare». 

Sempre alla Stampa, l’attuale garante dei detenuti, Raffaele Orso Giacone, ha spiegato che oggi la situazione nel carcere di Ivrea è cambiata: «Io non vedo situazioni di violenza nel carcere di Ivrea in questo momento. Vedo altri problemi, altre questioni che però sono altrettanto importanti. Ma quello direi no». Le questioni su cui pone l’attenzione il garante sono quella sanitaria legata soprattutto al fatto che i medici a gettone (cioè professionisti “a chiamata”, che lavorano per società private o cooperative), pur garantendo l’assistenza, non possono prescrivere ricette o inviare i detenuti a fare visite specialistiche. I tempi quindi a volte si allungano troppo. Inoltre, come avviene in molti altri istituti, mancano sia agenti di custodia che educatori.